LA CROAZIA DOPO 12 MESI DALL'INGRESSO NELL'UNIONE EUROPEA, E' TRACOLLATA. ADESSO VUOLE USCIRNE (VIVA)
venerdì 18 ottobre 2013
Zagabria
- A festeggiare, il primo luglio scorso, l’ingresso della Croazia nel
club dell’Unione Europea in qualità di ventottesimo membro effettivo fu
soprattutto l’élite politico-economica al timone di questa ex-scheggia
della defunta Jugoslavia.A partire dalla coalizione di governo
progressista al potere da due anni dopo il lungo dominio dei
conservatori dell’HDZ per arrivare agli ambienti finanziari legati a
doppio filo al mondo austro-tedesco.
Lo scetticismo dell’opinione pubblica, sconfitto da una non
eccezionale mobilitazione degli entusiasti ( al referendum sull’ingresso
nell’unione, svoltosi nel febbraio del 2012, si recarono alle urne non
più del 44% degli aventi diritto) si è preso una sonante rivincita non
più di un anno dopo allorquando, nell’aprile 2013, la scelta dei 12
fortunati destinati a rappresentare la piccola repubblica
nell’europarlamento fu boicottata da 4 elettori su 5 stabilendo quasi un
record storico di scarsa affluenza battuto solamente dal 16% della
Slovacchia.Ma il misfatto era già stato compiuto ed i buoi erano già
fuggiti dal recinto per finire nel vagone piombato di eurolandia.
La tentazione, quasi il bisogno fisiologico, di rientrare nell’alveo
europeo dopo decenni di isolamento nel regime da caserma titino e nella
difficile navigazione tra i marosi balcanici una volta ottenuta la
libertà a prezzo di una breve ma sanguinosa guerra con il vicino serbo
aveva prevalso sulle ragioni ed i timori dei più accorti oppositori. Ma ,
con ogni evidenza,ignorando bellamente la tempesta del debito che stava
travolgendo il continente costringendo il padrone del vapore tedesco,
assecondato dai docili burocrati dell’unione, ad imporre una draconiana
terapia di austerity agli stati spendaccioni. A pochissima distanza
dall’evento, molti osservatori interessati (fra cui proprio la business
community teutonica) redigono un bollettino fallimentare sull’andamento
di questi primi cento giorni di Zagabria nel suo nuovo ruolo di stellina
comunitaria.
La Waterloo si sostanzia con i dati terrificanti dell’export locale,
spina dorsale della piccola economia croata. Al -6% dell’ultimo semestre
contribuisce il calo deciso fino a luglio ed il tracollo del -19%
rilevato ad agosto. E tutto ciò nonostante il paese abbia deciso di
rinviare l’adesione alla moneta unica europea cosa che avrebbe
determinato un cataclisma addirittura peggiore. Con la disoccupazione
oltre il 20% (la terza peggiore dopo Grecia e Spagna), il rapporto
deficit-PIL ben al di sopra del fatidico 3%, la necessità di ricorrere
alla procedura di salvataggio , come già messo in opera per la stessa
Grecia, l’Irlanda ed il Portogallo, è più una certezza che un’ipotesi.
L’impressione che, a tirar le somme, si sia fatto il passo più lungo
della gamba aleggia un po’ovunque; non che fossero mancati gli
avvertimenti anche autorevoli: il campione dell’antieuropeismo Nigel
Farage, per citarne uno, aveva a suo tempo tentato di dissuadere dal
grave passo spendendosi a favore del no nella campagna referendaria. E
così il prossimo Natale, festività ancora molto sentita nella cattolica
Croazia, rischia di recare in dono la dannata sensazione di essere
passati dalla padella jugoslava alla brace europea.
Salvatore Antonaci
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