Noi ex cittadini, ora sudditi del Trattato Transatlantico
Scritto il 06/2/14
C’era una volta lo Stato di diritto. Con il Ttip, il Trattato
Transatlantico in via di approvazione semi-clandestina da parte degli Usa e dell’Unione Europea, nessun governo avrà più il potere di tutelare liberamente i diritti dei cittadini: scuola, sanità, ambiente, economia,
sicurezza alimentare. L’ultima parola spetterà a tribunali speciali,
chiamati a tutelare gli interessi del business contro quelli del
cittadino. Allo Stato “colpevole” di difendere il suo popolo, con leggi a
garanzia del lavoro e del welfare
pubblico, non resterà che pagare salatissime sanzioni.
E’ chiaramente
eversivo il carattere del super-trattato che potrebbe entrare in vigore
tra due anni, scritto sotto dettatura delle maggiori multinazionali e
delle grandi lobby americane ed europee, col placet dell’Unione Europea.
In pratica, a diventare legge – contro l’interesse pubblico dei
cittadini – sarà il profitto dei “padroni dell’universo”. Un
super-diktat, il loro, che sembra voler azzerare in un colpo solo due
secoli di democrazia occidentale.
I nuovi “tribunali” orwelliani dotati di poteri speciali, accusa Lori
Wallach su “Le Monde Diplomatique” in un intervento ripreso da “Micromega”, riconosceranno
anche il diritto del capitale ad acquistare sempre più terre, risorse
naturali, strutture, fabbriche, e senza alcuna contropartita: le
multinazionali non avranno alcun obbligo verso gli Stati e potranno
avviare delle cause dove e quando vorranno. Per capire quello che
succederà basta sfogliare i giornali: società europee hanno già avviato
contenziosi legali contro l’aumento del salario minimo in Egitto o
contro la limitazioni delle emissioni tossiche in Perú, grazie alla
protezione di trattati come il Nafta.
Altro esempio: il gigante delle
sigarette Philip Morris, contrariato dalla legislazione anti-tabacco
dell’Uruguay e dell’Australia, ha portato i due paesi davanti a un
tribunale speciale. E il gruppo farmaceutico americano Eli Lilly intende
farsi giustizia contro il Canada, “colpevole” di aver varato un sistema
di brevetti che rende alcuni medicinali più accessibili. E ancora: il
fornitore svedese di elettricità Vattenfall esige diversi miliardi di
euro dalla Germania per la sua “svolta energetica”, che norma più severamente le centrali a carbone e promette un’uscita dal nucleare.
«Non ci sono limiti alle pene che un tribunale può infliggere a uno
Stato a beneficio di una multinazionale», continua Lori Wallach. Un anno
fa, l’Ecuador si è visto condannato a versare la somma record di 2
miliardi di euro a una compagnia petrolifera. E anche quando i governi
vincono il processo, essi devono farsi carico delle spese giudiziarie e
di varie commissioni, che ammontano mediamente a 8 milioni di dollari
per caso, dilapidati a discapito del cittadino. «Calcolando ciò, i
poteri pubblici preferiscono spesso negoziare con il querelante
piuttosto che perorare la propria causa davanti al tribunale». Lo ha
appena fatto il Canada, «abrogando velocemente il divieto di un additivo
tossico utilizzato dall’industria petrolifera». A partire dal 2000, il
numero di questioni sottoposte ai tribunali speciali è decuplicato,
creando un fiorente vivaio di consulenti finanziari e avvocati d’affari.
E’ l’habitat in cui sguazzano le super-lobby dei poteri forti, come il
Trans-Atlantic Business Dialogue. Le stesse che dettano le loro regole – da anni – alla Commissione Europea, la quale poi le trasforma puntualmente in direttive comunitarie.
Creata nel 1995 con il patrocinio della Commissione di Bruxelles e del ministero del commercio Usa,
la super-lobby Tabd non è altro che «un raggruppamento di ricchi
imprenditori», impegnato in un “dialogo” «altamente costruttivo» tra le
élite economiche dei due continenti, l’amministrazione di Washington e i
commissari di Bruxelles. Il Tabd «è un forum permanente che permette
alle multinazionali di coordinare i loro attacchi contro le politiche di
interesse generale che restano ancora in piedi sulle due coste
dell’Atlantico». Il suo obiettivo, pubblicamente dichiarato, è di
eliminare quelle che definisce come «discordie commerciali» (trade
irritants), vale a dire di operare sui due continenti secondo le stesse
regole e senza interferenze da parte dei poteri pubblici.
Di fatto,
archiviati i tradizionali strumenti di pressione, le super-lobby oggi si
apprestano a ricattare gli Stati con minacce estorsive, dettando
direttamente le nuove leggi. La Camera di Commercio Usa
e la potente lobby “Business Europe”, ovvero «due tra le più grandi
organizzazioni imprenditoriali del pianeta», hanno espressamente
richiesto ai negoziatori del Ttip di riunire attorno a un tavolo di lavoro
un campionario di grossi azionisti e di responsabili politici affinché
questi «redigano insieme i testi di regolamentazione» che avranno
successivamente forza di legge negli Stati Uniti e in Unione Europea.
Di fatto, aggiunge Lori Wallach, le multinazionali mostrano una
notevole franchezza nell’esporre le loro intenzioni: sugli Ogm, ad
esempio, la Monsanto auspica che «il baratro che si è scavato tra la
deregolamentazione dei nuovi prodotti biotecnologici negli Stati uniti e
la loro accoglienza in Europa» sia presto colmato, proprio grazie al
Trattato Transatlantico che imporrebbe agli europei il loro catalogo di
organismi geneticamente modificati. E l’offensiva non è meno vigorosa
sul fronte della privacy. La Coalizione del commercio digitale (Digital
Trade Coalition, Dtc), che raggruppa industriali del Net e del hi-tech,
preme sui negoziatori del Ttip per togliere le barriere che impediscono
ai flussi di dati personali di riversarsi liberamente dall’Europa verso
gli Stati Uniti. E l’Us Council for International Business (Uscib), un
gruppo di società che ha massicciamente rifornito la Nsa di dati
personali, «l’accordo dovrebbe cercare di circoscrivere le eccezioni,
come la sicurezza e la privacy, al fine di assicurarsi che esse non siano ostacoli camuffati al commercio».
Anche le norme sulla qualità nell’alimentazione sono prese di mira.
L’industria statunitense della carne vuole ottenere la soppressione
della regola europea che vieta i polli disinfettati al cloro.
All’avanguardia di questa battaglia, il gruppo “Yum!”, proprietario
della catena di fast food Kentucky Fried Chicken (Kfc), può contare
sulla forza d’urto delle organizzazioni imprenditoriali. Un gruppo di
pressione come l’Istituto Americano della Carne, deplora «il rifiuto
ingiustificato [da parte di Bruxelles] delle carni addizionate di
beta-agonisti, come il cloridrato di ractopamina», un medicinale
utilizzato per gonfiare il tasso di carne magra di suini e bovini. A
causa dei rischi per la salute degli animali e dei consumatori, la
ractopamina è stata bandita in 160 paesi, tra cui gli stati membri dell’Unione Europea,
la Russia e la Cina. Per la filiera statunitense del suino, invece, il
divieto di impiegare quella sostanza «costituisce una distorsione della
libera concorrenza a cui il Ttip deve urgentemente porre fine».
Avvertono i produttori americani di suino: «Non accetteremo altro
risultato che non sia la rimozione del divieto europeo della
ractopamina».
Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, gli industriali
raggruppati in “Business Europe”, denunciano le «barriere che colpiscono
le esportazioni europee verso gli Stati Uniti, come la legge americana
sulla sicurezza alimentare». Dal 2011, essa autorizza infatti i servizi
di controllo a ritirare dal mercato i prodotti d’importazione
contaminati. Anche in questo caso, i negoziatori del Ttip sono pregati
di fare tabula rasa. Si ripete lo stesso con i gas a effetto serra.
L’organizzazione “Airlines for America” (A4A), braccio armato dei
trasportatori aerei statunitensi, ha steso una lista di «regolamenti
inutili che portano un pregiudizio considerevole alla [loro] industria» e
che il Ttip, ovviamente, ha la missione di cancellare. Al primo posto
di questa lista compare il sistema europeo di scambio di quote di
emissioni, che obbliga le compagnie aeree a pagare per il loro
inquinamento a carbone. Bruxelles ha provvisoriamente sospeso questo
programma; A4A esige la sua soppressione definitiva in nome del
«progresso». Se nessuno fermerà il Trattato Transatlantico, il destino
della nostra civiltà sembra praticamente segnato.
Nessun commento:
Posta un commento