MES: tutto quello che non vi dicono e che dovreste sapere
Per salvare un mostro, l'euro, stiamo facendo a pezzi le nostre Costituzioni e quei diritti che l'Unione Europea con la Carta di Nizza intendeva tutelare.
di Paolo Becchi e Alessandro Bianchi
In molti si rincorrono oggi a criticare un Trattato internazionale, il
cosiddetto Fiscal compact, che avrà i suoi effetti dirompenti e
drammatici per il nostro paese dal prossimo anno. A chiedere la
rinegoziazione di un accordo che prevede per il nostro paese l'obbligo
del perseguimento del pareggio di bilancio per Costituzione, quello del
non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5%
del Pil e una significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un
ventesimo (5%) all'anno, fino al rapporto del 60% sul PIL nell'arco di
un ventennio, sono, in modo sorprendente e tragicomico, anche quei
partiti che l'hanno ratificato in Parlamento nel luglio del 2012 dietro
le direttive dell'allora premier Mario Monti. La campagna elettorale per le elezioni europee di maggio, del resto, è iniziata
e il regime del partito unico che governa il paese dall'ex Commissario
dell'Unione Europea, Monti, a Renzi, passando per Letta, continua nella
sua opera di mistificazione verso una popolazione, della quale non
interessa nemmeno più il voto.
Troppo poco, a torto, si sa di un altro Trattato internazionale, quello istitutivo il Meccanismo europeo di stabilità (MES),
che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha istituito una nuova
governance europea per la gestione della crisi. Il MES ha già prodotto
risultati pratici tangibili e enormi. L'Italia, considerando anche il
vecchio Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) di cui il Mes è
stato l'erede, ha già versato 46 miliardi di euro dei 125 miliardi
previsti fino al 2017. Soldi che chiaramente potevano essere utilizzati
per rilanciare la nostra economia attraverso quei progetti eternamente
sospesi per la mancanza di coperture. Al contrario, il MES ha permesso
alle banche del Nord Europa di riprendere i crediti contratti nei paesi
del Sud, in default a causa delle asimmettrie economiche insostenibili
prodotte dalla moneta unica e emerse in maniera drammatica nel 2010. Il
tutto è stato venduto all'opinione pubblica come un Fondo salva Stati.
Ma è proprio così?
- Il MES: la natura del Trattato.
Il meccanismo europeo di stabilità – European Stability Mechanism o ESM
– è un Trattato intergovernativo, che, in modo complementare al Fiscal
Compact, ha di fatto istituito una nuova governance europea di gestione della crisi, parallela a quella costituita dai Trattati istitutivi dell'Unione Europea.
La creazione del MES è stata decisa nel Consiglio europeo del 16-17
dicembre 2010. In quell'occasione si è raggiunto l'accordo per avviare
la procedura di revisione semplificata (ai sensi dell'art. 48 del
Trattato dell'Unione Europea) riguardo all'art. 136 del Trattato
funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e si è potuto introdurre il
nuovo paragrafo 3, con il quale si riconosce in modo esplicito il potere
degli Stati membri la cui moneta è l'euro di dar vita ad un'istituzione
finanziaria permanente, il MES appunto, con sede a Lussemburgo, non
previsto originariamente dai trattati.
Dato che per creare il MES si è modificato appunto il Trattato,
bisognava anche consultare il Parlamento, il quale, ahinoi, con una
risoluzione tra l'altro velocissima, ha dato il 23 marzo 2011 parere
positivo pur sollevando diverse obiezioni. Senza tener modo in alcun
modo delle critiche del Parlamento europeo e recependo solo alcune
modifiche introdotte dal Consiglio, il Trattato è entrato in vigore il
27 settembre 2012, con l'avvenuto deposito da parte di un certo numero
di Stati firmatari degli strumenti di ratifica. Il MES ha istituito un'organizzazione internazionale permanente con un capitale sociale pari a 700 miliardi di euro,
di cui solo 500 prestabili, rinnovabile all'infinito attraverso una
decisione dell'istituzione stessa. Decisione della quale, a parte la
Germania che l'ha escluso attraverso la sentenza del 12 settembre del
2012 della sua Corte costituzionale, i Parlamenti nazionali non potranno
più avere voce in capitolo.
- Perché si è deciso di costituire il MES?
Per far fronte alla crisi della zona euro che nel 2010 stava portando
al collasso della moneta unica, si è deciso di ricorrere ad un accordo
di diritto internazionale, con regole proprie che fuoriescono dal
sistema normativo comunitario, e creare un ente finanziario che ha come
obiettivo quello di correggere gli squilibri finanziari maturati
nell'ambito della zona euro. La finalità del MES non consiste quindi nel “salvataggio” degli Stati, ma, come ha spiegato molto bene Lidia Undiemi
in una conferenza organizzata alla Camera e come dimostrerà in un suo
libro di prossima pubblicazione, nella creazione di una governance
politica intergovernativa attraverso la quale potere intervenire tutte
le volte che l'instabilità – a monte generata da una crisi della
“bilancia dei pagamenti” – mette in discussione la sopravvivenza della
moneta unica.
- Cosa prevede il MES? Schematicamente sono questi i punti più importanti del Trattato che devono essere compresi meglio:
- Il MES si baserà su un capitale garantito dagli Stati membri che
utilizzerà sui mercati, dai quali attingerà poi le risorse richieste.
(art.3 del Trattato istitutivo del MES)
- Il MES “avrà piena personalità giuridica e capacità giuridica”,
potrà quindi acquistare e alienare beni immobiliari e mobili o stipulare
dei contratti. Tutti i suoi beni, fondi e averi godranno dell'immunità
totale da qualunque procedimento giudiziario e saranno esenti da
restrizioni, regolamentazioni, controlli e moratorie. (art. 32)
- Per aver accesso all'assistenza del MES, gli Stati dovranno
rispettare le regole relative al Patto di stabilità e di crescita, i
criteri di convergenza e i Memorandum d'intesa. Prima di ogni erogazione
d'aiuti viene fatto firmare un Memorandum. Si tratta di un legame
fondamentale e troppo spesso sottovalutato con il cosiddetto Fiscal
Compact, che rende i due trattati un unicum politico nella creazione di
quella nuova governance europea. (Punto 5 del Preambolo)
- È stata, infine, introdotta una deroga alla regola dell'unanimità e
le decisioni più urgenti saranno prese a maggioranza qualificata. (art.
4)
- Si tratta di un meccanismo democratico?
Vista l'importanza che il MES ha assunto e assumerà nella gestione
della politica interna dei vari Paesi che hanno chiesto e chiederanno il
suo aiuto è anzitutto importante osservare che il MES è costruito con soldi pubblici, ma viene gestito senza mai passare attraverso un organo democraticamente eletto.
La governance e l'istituzione è infatti tripartita tra il Consiglio dei
governatori formato dai ministri delle finanze della zona euro, un
Consiglio d'Amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e
da un Direttore generale, che è responsabile dell'intera organizzazione,
nominato a maggioranza qualificata dal Consiglio dei Governatori. Il
diritto di voto di ogni stato membro non ha eguale valore ma varia al
variare della quota versata. È dunque evidente che il MES è saldamente
nelle mani dei governi nazionali e poiché la Germania è il maggior
contribuente è anche il paese che ha il maggior peso nelle decisioni.
Tre sono i punti che devono essere messi maggiormente sotto i riflettori.
Primo. L'istituzione intergovernativa ed i membri dell'organizzazione – compresi quelli dello staff – sono per Trattato immuni
da procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti
nell'esercizio delle loro funzioni (art. 32, punto 1). Gli atti scritti e
i documenti ufficiali redatti sono inviolabili: non è previsto alcun
meccanismo d'accesso. Persino i locali e gli archivi del MES sono
inviolabili. Il direttore generale del MES può revocare revocare
l'immunità di qualsiasi membro del personale del MES eccetto se stesso
(art. 35). Insomma è intoccabile.
Secondo. L'esperienza dei Paesi dove ha operato effettivamente il MES. I
casi di Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro ci forniscono già quattro
indizi che fanno più di una prova: attraverso il MES, i
creditori internazionali della Troika si sostituiscono di fatto nella
gestione della “politica economica” del paese debitore. Lo
Stato che chiede un prestito deve, infatti, sottostare ad una “rigorosa
condizionalità” nell'ambito di un programma di aggiustamento
macroeconomico e di progressivo rientro del suo debito pubblico. Tali
condizioni possono spaziare da un programma di correzioni
macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità
predefinite. Il Paese in difficoltà che ha bisogno del prestito deve in
poche parole cedere la propria sovranità nella definizione delle scelte
di politica economica. Imporre ad una nazione in difficoltà un'agenda
economica per soddisfare le richieste di un'istituzione finanziaria,
perlopiù deresponsabilizzata grazie all'immunità, è qualcosa che va
aldilà di ogni regola democratica.
Terzo. Il MES è infine un'organizzazione che opera concretamente come tutti gli enti finanziari e quindi eroga prestiti,
rivolgendosi al mercato con l'obiettivo ultimo di un profitto. I
privati – tra cui rientrano finanziatori come Nomura, Goldman Sachs,
Merril Lynch e praticamente tutti i principali istituti di investimento
mondiali – sono poi ammessi (punto 12 del Preambolo), in qualità di
osservatori, a partecipare alle riunioni che hanno ad oggetto la
valutazione della concessione del credito al paese richiedente, nonché
la definizione delle rigorose prescrizioni da imporre alla nazione
“minacciata”. Questa ingerenza si traduce nel serio rischio che a
dettare le disposizioni di politica economica da applicare nel
territorio dello Stato debitore siano coloro che concedono i soldi al
fondo. La sovranità dei singoli Stati membri rischia quindi di essere sostituita da una governance economica privata in grado di imporsi facilmente sugli organi sovrani dei vari Paesi membri.
- Il caso specifico della Grecia: il topo da laboratorio della nuova governance europea.
Il paese che in modo tragicomico Mario Monti aveva definito il grande successo
dell'euro, la Grecia, dopo tre anni di Troika vive una situazione
praticamente post-bellica. Con il 28% di disoccupazione, uno stato
sociale che semplicemente non esiste più e con la progressiva perdita di
tutti i “gioielli di Stato” a causa delle privatizzazioni imposte tra
le “rigorose condizionalità”, il Paese culla della democrazia è oggi il prototipo di quello che potrebbe accadere a tutte le nazioni che
si troveranno costretti a richiedere, per qualunque ragione di
volatilità dei mercati non legati ai fondamentali economici,
l'intervento del MES.
Alcuni dati forniti recentemente da Macropolis
ci possono dare il senso del dramma in corso in Grecia: il 34.6% della
popolazione vive a rischio povertà o esclusione sociale (dati del 2012),
il reddito dei proprietari di immobili si è contratto del 30%
dall'inizio della crisi, con circa un terzo che dichiara ormai di essere
indietro con i pagamenti e il 40% che non è in grado di adempiere a
tutte le scadenze per quest'anno. La Public Power Corporation slaccia la corrente a circa 30 mila case ed uffici al mese per bollette non pagate. La
disoccupazione è cresciuta del 160% complessivo e oggi 3,5 milioni di
persone occupate devono tenere in vita i 4,7 milioni di disoccupati o
inattivi. Solo il 15% dei disoccupati poi riceve assistenza finanziaria
dallo Stato, non c'è, infine alcun Welfare poi per i lavoratori autonomi
– o partite IVA – che rappresentano il 25% della forza lavoro del
Paese. I trasferimenti sociali sono stati tagliati di oltre il 18%, i tagli alla sanità di oltre l'11,1% tra il 2009 e il 2011 e
sono i maggiori mai registrati nella storia dall'Ocse. Almeno il debito
pubblico sarà per lo meno ora sotto controllo? Non proprio. Al 169% del
Pil, la Grecia resta un paese fallito.
A esser onesti l'intervento del MES e della Troika un beneficio
l'ha prodotto: le banche creditizie del Nord Europa hanno potuto
recuperare i loro crediti altamente esposti nel paese, mentre
al governo di Atene sono rimaste le briciole dei vari miliardi di
“aiuti” erogati dai creditori internazionali. Solo il 19% del denaro dei
salvataggi è finito infatti nelle casse greche, il 18% alla BCE, il 23%
alle istituzioni finanziarie greche, cioè ancora alla BCE della quale
sono parte, e quindi i greci non possono beneficiarne pienamente; mentre
il 40% è andato ad assicurazioni, banche e compagnie finanziarie al di
fuori della Grecia. Praticamente il 58% del salvataggio della Grecia non
va alla Grecia. Considerando poi i cosiddetti accordi di repurchase
stipulati dalle istituzione greche, il dato, calcola Zero Hedge, supera anche al 70%.
La minaccia della mancata erogazione da parte della Troika della nuova
tranche di “aiuti” ha costretto e costringerà i Paesi – rientrano anche
Cipro, Portogallo, Irlanda e in parte la Spagna in questa logica – a
sottostare alle “rigorose condizionalità”. In un momento di crisi
finanziaria, economica e sociale come quella attuale, gli interventi di
“salvataggio” possono essere all'ordine del giorno: nel momento in cui
si affida agli Stati economicamente più forti, al di fuori del diritto
dell'UE, la possibilità di poter dettare delle “misure rigorose” – oltre
che dell'agenda economica anche quella politica – il MES e il suo braccio armato della Troika si sostituisce di fatto alle istituzioni nazionali. Al di là della convenienza finanziaria questo è l'aspetto che deve essere posto al centro del dibattito.
- Qualcosa si muove dal Parlamento europeo: troppo poco e troppo tardi.
Non solo coloro che la stampa mainstream bolla come “eversivi
populisti” hanno iniziato a comprendere come il MES – e la nuova
governance che si è voluta creare – rappresenti una grave minaccia ai
sistemi democratici europei. Incaricato dalla Confederazione europea dei
sindacati ad esaminare la legittimità dei cosiddetti protocolli di
intesa (MOU), il professore di diritto europeo all'Università di Brema Andreas Fischer Lescano ha sostenuto come "ci sono dei limiti a ciò che si può scrivere in un memorandum d'intesa. La Troika ed i MOU non possono essere oltre la legge".
Di fatto, i creditori internazionali della Troika – Commissione
europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale –
violano, secondo Fischer-Lescano, la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, un testo giuridico divenuto vincolante per gli
Stati membri nel 2009. Per questo, le misure di austerità sancite dai
memorandum d'intesa, soprattutto per quel che riguarda lavoro, sanità e
istruzione, potrebbero essere impugnate dai tribunali europei.
Di particolare interesse è poi la relazione redatta per il Parlamento
europeo, approvata il 12 febbraio a larghissima maggioranza (27 sì, 7 no
dei conservatori e di qualche liberale, 2 no della Sinistra Unita)
dalla Commissione lavoro, del relatore spagnolo Alejandro Cercas, che accusa senza mezzi termini come “Eurogruppo, BCE e FMI” abbiano “violato leggi e trattati” e provocato negli ultimi quattro anni “una catastrofe sociale e politica” senza precedenti in Europa. Ancora più importante è la relazione "Indagine sul ruolo e le attività della Troika (BCE, Commissione e FMI) relativamente ai Paesi dell'area dell'euro oggetto di programmi” con relatori Othmar Karas e Liem Hoang Ngoc,
approvata dalla Commissione economia e nella quale si arriva
addirittura a chiedere la fine dell'esperienza della Troika, tra l'altro
per la mancanza di trasparenza democratica interna e il conflitto
d'interessi di Banca centrale e Commissione. Il Parlamento in seduta
plenaria voterà questa relazione a aprile. Ma, ampiamente compromesso e
pienamente responsabile del fallimento della gestione della crisi della
zona euro, il suo gesto sarà una tardiva presa di posizione che non
potrà cambiare il giudizio complessivo sul suo operato. Al contrario, se
nelle prossime elezioni di maggio dovessero prevalere le cosiddette
forze euroscettiche, quella stessa relazione potrà rappresentare la base
per la prima profonda scossa della struttura economica europea.
- Quali difese sono rimaste oggi agli Stati?
Viene da chiedersi come mai nessuno si sia opposto a uno strumento che
quando è stato utilizzato ha avuto solo effetti devastanti. Per la
verità nel 2012 un deputato del parlamento irlandese, Thomas
Pringle, ha contestato presso la Corte di giustizia europea il
procedimento nazionale di ratifica del MES. Secondo Pringle
l'utilizzo della procedura di revisione semplificata sarebbe stato
illegittimo poiché non era applicabile all'introduzione di un meccanismo
che andava pesantemente ad incidere sull'intera politica economica e
monetaria dell'Unione. In secondo luogo, il deputato si chiedeva se il
MES per le sue gravi implicazioni sociali non fosse in contrasto con
quei valori di crescita economica sostenibile e di solidarietà che
stanno a fondamento dell'Unione Europea.
Ciò che in sostanza si constatava era la conformità del MES ai trattati
europei, ed in particolare al Trattato di Lisbona, che aveva inglobato
al suo interno anche la Carta dei diritti di Nizza. Come è noto la Corte
ha rigettato il ricorso, ma è altrettanto noto che a livello europeo
numerosi sono stati nella dottrina i commenti critici, tanto che è molto
probabile che in futuro sorgano ulteriori controversie. In molti hanno
iniziato a sottolineare come il MES abbia prodotto un sostanziale
mutamento della governance economica europea ormai affidata ad una
tecnocrazia che ha depotenziato sia la sovranità degli Stati, sia le
istituzioni democratiche europee. Per salvare una moneta si sono indeboliti i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo.
La sovranità finanziaria di bilancio non spetta né agli Stati nazionali
e neppure all'Unione, ma ad un'oligarchia tecnocratica transnazionale
priva di qualsiasi legittimità democratica ed immune da qualsiasi
controllo. Per salvare un mostro, una moneta nata male e
proseguita peggio, stiamo facendo a pezzi le nostre Costituzioni e ora
perfino quei diritti che l'Unione Europea con la Carta dei diritti di
Nizza intendeva tutelare.
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