Sull’indipendentismo veneto
Il clamore causato dal recente arresto dei presunti indipendentisti, fa rabbrividire.
Attenzione però, non per...
Il clamore causato dal recente arresto dei presunti
indipendentisti, fa rabbrividire.
Attenzione però, non per il pericolo
corso dall’Italia a causa di un trattore mascherato da carro armato (sic),
ma per il tempismo perfetto con cui la magistratura si è mossa a
seguito dei risultati che questo movimento sta ottenendo, un chiaro
sintomo di paura.
Sembra d’intravedere la stessa dinamica delle
repressioni avvenute nel mondo del calcio, allorquando all’indomani
dell’assassinio di Gabriele Sandri da parte di un agente di polizia, si
approfittò per dare un giro di vite alla durezza delle leggi negli stadi
per colpire non chi aveva sbagliato, ma chi aveva subito.
Il recente referendum sull’indipendenza della regione veneta ha fatto
sorridere e indignare più di qualcheduno in giro per l’Italia. Come
stupirsi. Da decenni raffigurati come un popolo di imbriagoni, polentoni
e serve semianalfabete abituate a dire “comandi!” a ogni piè sospinto,
un popolo “ignorante” e “razzista” che lavora a testa bassa e subisce
angherie di ogni tipo, e che per quest’ultimo motivo, in fondo, suscita
un po’ di simpatia e compassione; fino a quando la testa rimane bassa.
In questi ultimi anni, però, con le centinaia di suicidi, la crisi che
dilagava e una classe politica sempre più incapace di tutelare le
ragioni di questa terra bellissima ed economicamente formidabile, è
riaffiorato quello che per molti altro non è che un virus, un germe da
debellare: quello dell’indipendentismo e dell’identità veneta.
Sentimenti che nei periodi di vacche grasse erano appannaggio di pochi
nostalgici – rari nelle città, più numerosi nelle campagne – ma che di
fronte al fallimento delle politiche nazionali e comunitarie sono
tornati prepotentemente alla ribalta.
Così si è tornati a parlare d’indipendenza e così le genti venete
stanno riscoprendo piano, piano un patrimonio storico colpevolmente
taciuto ed ignorato per troppo tempo.
La verità è che quando i veneti
parlano d’indipendenza, rievocano un ideale realmente esistito;
sicuramente sotto alcuni aspetti un’utopia, al giorno d’oggi, ma pur
sempre una straordinaria storia il cui ricordo è bene che non conosca
mai fine. Una civiltà illuminata, una Repubblica millenaria, un impero
marittimo, uno Stato forte, temuto e rispettato per secoli da tutte le
più potenti nazioni del mondo mediterraneo ed eurasiatico; un faro di
giustizia, tolleranza, progresso (vero), cultura, diplomazia,
architettura, commercio, forza militare e soprattutto di buon governo.
Non a caso, la Serenissima.
Ecco cos’è per noi il Veneto, ecco perché dopo ‘sti 150 anni d’Italia
(scarsi, fummo annessi nel 1866) il sentimento resiste ancora.
Ma perché il Veneto non dovrebbe essere contento di appartenere
all’Italia e avrebbe manifestato il volere di ritornare a prima del
1797, anno di caduta della Republica Veneta? Sicuramente era già
in declino – nella struggente decadenza settecentesca – quando arrivò
Napoleone a dargli la spallata finale, decretando la fine del nostro
Stato.
Quel Napoleone che dietro al paravento dei valori della
rivoluzione francese ed alle sempre valide, abusate e messianiche parole
come “libertà”, “progresso” e “uguaglianza” distrusse e depredò con
furia barbara e moralizzatrice tutto ciò che poteva, imponendo tasse a
dismisura e la coscrizione obbligatoria per i nostri giovani che
divennero così carne da macello per le sue imprese spericolate.
Non ci
andò molto meglio, poi, con l’annessione al Regno d’Italia. Partiti
malissimo – alla fine di quel Risorgimento così sinistramente analogo
alle rivolte fomentate oggigiorno dall’Occidente – con un
referendum-truffa che andò persino oltre quello avvenuto in molte
regioni del Sud e ben raccontato ne il Gattopardo, col passare
del tempo le cose addirittura peggiorarono.
Milioni di veneti furono
costretti a emigrare nelle Americhe ed in Australia grazie al
“progresso” apportato dai Savoia, capaci a suon di tasse insostenibili e
politiche inadeguate di dare la mazzata finale a una terra che già non
si era più rialzata dalla caduta di Venezia. Iniziò un’epoca buia fatta
di miseria e ulteriore decadimento che terminò solo negli anni ’60 e ’70
dello scorso secolo, quando il boom economico ben si sposò con
la capacità imprenditoriale dei veneti, dando così vita a quel miracolo
del Nord-Est che rivoluzionò la Regione (talvolta deturpandola sotto il
profilo paesaggistico) e trainò l’Italia, cosa che continua ad accadere.
Una crescita economica straordinaria ma eccessiva ed improvvisa, alla
quale non si abbinò e non fece seguito un’altrettanto forte crescita
culturale; una grave colpa che il Veneto si porta ancora addosso e che
paga severamente sia nell’immaginario collettivo sia, soprattutto,
quando si tratta di essere rappresentato e tutelato dalle istituzioni
nazionali.
Aggiungendo a tutto questo un centralismo esasperato –
totalmente irrispettoso della storia d’Italia – abbiamo come risultato
quello di essere spremuti senza ricevere in cambio un congruo ritorno
economico e una seria presenza dello Stato quando serve, senza un minimo
riconoscimento morale del ruolo svolto per il benessere nazionale e
senza la possibilità di celebrare il nostro passato senza essere
tacciati di chissà quali crimini.
Ecco allora perché (anche) in Veneto la gente si rende conto di come
queste sovrastrutture nazionali ed internazionali abbiano fallito; ecco
perché il Veneto alza la voce chiedendo di più da chi sino ad ora ci ha
preso e basta.
Era noto ai più che questo referendum – pur presentando
qualche comprensibile ombra sui numeri è stato sostanzialmente ribadito
da sondaggi “ufficiali” – non avrebbe avuto come risultato quello
dell’immediata indipendenza, ma è pur sempre un segnale che rimane unico
nella storia della Repubblica (quella italiana).
Un primo segno
tangibile di “rivolta” che potrebbe essere la prima pietra di una strada
che potrebbe condurre, intanto, all’ottenimento dello statuto autonomo e
così facendo di un sistema che ci permetta di trattenere più risorse,
quelle che ci spettano in quanto frutto della fatica del nostro popolo.
Recentemente perfino Bruno Vespa, ha sostenuto come <<senza il
Veneto l’Italia fallirebbe domani mattina>>, dicendo ciò che è
arcinoto, ma che non viene mai abbastanza fatto notare.
Renzi,
coerentemente, in seguito ha proposto al suo partito di sopprimere il
terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, quello che regolamenta
la possibilità per le regioni di dialogare con lo Stato centrale per
discutere di autonomia. Così facendo, non si va da nessuna parte.
Così
facendo, non stupitevi se continuerete a sentir parlare d’indipendenza
del Veneto e se questo movimento assumerà forza e dimensioni sempre
maggiori.
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