La Tavola di Smeraldo
di HAHAJA
1°
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È vero, è vero senza errore, è certo e verissimo.
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2°
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Ciò che è in basso è come ciò che
è in alto, ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il
miracolo di una cosa sola.
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3°
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Come tutte le cose sono sempre state venute da Uno, così tutte le cose sono nate per adattamento di questa cosa unica.
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4°
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Il Sole ne è il Padre, la Luna ne
è la Madre, il Vento lo ha portato nel suo ventre, la Terra è la sua
nutrice. Il Padre di tutto, il Telesma di tutto il Mondo è qui; la sua
potenza è illuminata se è convertita in Terra.
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5°
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Tu separerai la Terra dal Fuoco,
il sottile dallo spesso, dolcemente, con grande industria. Ei rimonta
dalla Terra al Cielo, subito ridiscende in Terra, e raccoglie la forza
delle cose superiori ed inferiori.
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6°
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Tu avrai, con questo mezzo, tutta
la gloria del Mondo, e perciò ogni oscurità andrà lungi da te. E' la
forza forte di ogni forza, perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà
ogni cosa solida.
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7°
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È in questo modo che il Mondo fu creato.
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8°
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Da questa sorgente usciranno innumerevoli adattamenti, il cui mezzo si trova qui indicato.
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9°
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È per questo motivo che venni chiamato Ermete Trismegisto, perché possiedo le tre parti della filosofia del Mondo.
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10°
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Ciò che ho detto dell'operazione del Sole è perfetto e completo.
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Autore di questa Tavola fu un Hermes un essere,
cioè, umano e divino, il quale aveva saputo fondere nel proprio
crogiuolo tutto se stesso, sollevandosi nella natura essenziale del
ternario, fonte perenne di vita incorruttibile, operazione che lo rese
tre volte grande, o trismegisto.
Il particolare nucleo di praticanti a cui queste note sono
indirizzate mi dispensa da chiarimenti audaci e, peraltro, essi
costituirebbero nei loro confronti un'irriverente pretesa, se non
fossero ispirati dal principio ammesso e permesso in taluni casi dall'Or Os Eg di:
“potersi consultare su determinati punti di controllo, secondo la formula fondamentale della rivelazione ermetica”
che è superfluo ripetere a chi già la conosce.
Ai fini, pertanto, di una sempre più salda impostazione del
teorema alchimico non mi pare di offendere la loro sensibilità
ricordando che lo smeraldo è il colore di Venere e che il segno
corrispondente a questo pianeta è lo stesso segno di Mercurio, privato
della luna, ossia privato del principio formale.
Perché poi le proposizioni siano dieci, cioè uno e zero, è
perché in essa sia molto richiamata e commentata la decima chiave del
Tarocco, è cosa che essi certamente sanno.
Ma non è mai troppo soffermarsi su certe coincidenze di
numero e di simbolo, riunitamente e separatamente considerate, perché a
volte piccoli (apparentemente piccoli) riferimenti trascurati, possono
interferire negativamente sui risultati attesi, donde disinganni e
reazioni, che richiedono tempo, soprattutto tempo, per poter essere
assorbiti, ovverosia eliminati.
Se non che codesto fattore, il tempo, cioè,
quando non è tenuto nella debita considerazione, mal si accorda con il
successo ambito, perché – come in tutte le opere di creazione – esso ha
un'importanza specifica [2],
mentre col fare, sostare, disfare e rifare se ne va nel suo fiume la
parte più preziosa della nostra esistenza, oltre la quale non restano
che la rassegnazione e… la morte.
E consideriamo ora brevemente – come si conviene a siffatti rispettabili praticanti – il testo della prima proposizione.
I Proposizione
È vero, è vero senza errore, è certo e verissimo.
Su questa triplice affermazione se ne sono scritte di tutti i colori. Vi si diffondono Eliphas Levi [
3], il Cremonesi [
4] e, con grande sfoggio di filosofia, il dott. Iesboama nel
Commentarium ,
al cui testo rimandiamo il lettore interessato o curioso. Ma è bene
precisare che l'ermetico classico non ha niente a che vedere con il
filosofo pedante, tutto assorto e assurto nelle astrazioni concettuali
dei più arditi pensieri e delle più sottili induzioni. L'ermetista
classico è un pratico, che ha constatato dei fatti e a essi si
riferisce, più che alle loro cause, sulle quali non è raro che, anche
per lui, resti inesplicabile il velo del mistero.
E proprio per questo, per non poterne dare,
cioè, una spiegazione esauriente e tale che soddisfi le esigenze di una
logica spesso trionfante per facile dialettica, è costretto a darne
ripetute assicurazioni, come chiunque è ansioso di corroborarle con
insistenza, magari giurando su questo o su quello [
5].
Interpretata in questo spirito, semplicemente, la triplice affermazione
appare legata non solo al desiderio, ma anche al bisogno di persuadere e
di guadagnar credito.
Al desiderio, per le ragioni anzidette, ed al bisogno, perché
il Trismegisto, che sa il fatto suo, preso da perplessità, vuol dare il
massimo incoraggiamento all'impresa. Perché poi questa perplessità?
Perché gli errori e gli insuccessi non sono né pochi, né rari; non
mancano mai di conseguenze e disarmerebbero le più forti e tenaci
volontà.
Ma quando uno, che nel prosieguo delle sue enunciazioni
mostra una ammirabile scienza, insiste nel dire che è vero, è vero senza
errore, ed è certo e verissimo quello che dichiara, allora vuol dire, a
mio avviso, che malgrado gli errori, gli insuccessi e le conseguenze,
di cui sopra, non bisogna desistere, né infirmare la validità del
procedimento suggerito, ma piuttosto rivedere il proprio operato con
fede e sagacia se… il tempo e le altre condizioni richieste sono ancora
matematicamente armonizzate alla bisogna. Pertanto, il testo della prima
proposizione va tradotto:
“Puoi essere sicuro, perché mi consta personalmente e mi devi credere, la cosa va fatta certamente in questo modo”.
II Proposizione
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è
in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa
sola.
Questa proposizione va esaminata, per così dire, “di dentro” e
“di fuori”, vale a dire che, prima, bisogna mettersi nella condizione
di chi l'ha scritta, di un hermes, cioè, come innanzi ricordato, e poi
nella condizione di un uomo comune, aspirante a sua volta a quello
stato. Ma come fare?
Occorre aiutarsi con delle immagini, e sarà poi il lettore
intelligente a spingerne oltre le analogie per rendersi conto sempre più
completo del loro valore. Immaginiamo, ad esempio, un bel vaso pieno
d'acqua, e immaginiamo altresì che l'acqua non sia, come abitualmente la
consideriamo, un elemento materiale qualsiasi, ma un
“essere cosciente e sensibile”.
Cotesto “strano essere acqua” sposa i limiti della forma che
lo contiene e ne avverte, contro le pareti, la natura resistente e
solida, fissa e stabile, tutta opposta alla propria, di consistenza sua
particolare.
A poco a poco, per assuefazione della sua coscienza, finirà
per sentirsi “tutt'uno” con la forma che lo contiene, tranne dalla parte
per la quale vi è entrato (bocca del vaso) la cui superficie libera,
che per analogia si potrebbe paragonare al cervello, è a contatto con
l'aria e gli dà l'impressione dell'infinito.
Qui, proseguendo nell'analogia, si potrebbe dire che se il
vaso è trasparente non gli mancherà, anche dal limite che lo
circoscrive, la visione e quindi l'impressione dell'infinito, mentre più
il vaso è opaco e meno per questa via tale visione gli sarà possibile.
Come per assuefazione egli si sente tutt'uno col suo
contenente, così tutt'uno si sentirà pure con l'infinito, dalla parte in
cui il contatto gli è possibile. Ma in tali condizioni, vero cristo in
croce, egli alternerà il suo stato di coscienza, secondo che più è
esaltato il senso dell'uno o dell'altro contatto, dubitando
alternativamente della propria realtà limite o della propria realtà
infinita. È la sua condizione speciale che lo fa dimentico di “se
stesso” e tutto permeato dalle sensazioni inevitabili che gli vengono
dal suo mondo-ambiente specifico.
Ma se gli fosse possibile “esaltare” se stesso fino a
sentirsi – come realmente è – “acqua”, allora, per assuefazione con il
proprio elemento, egli avvertirebbe soprattutto la propria natura, in
una specie di separazione, o di oblio delle impressioni precedenti,
senza tuttavia perdere il privilegio della propria forma dovuta al vaso
né quello del contatto con l'infinito dovuto alla propria superficie
libera.
In tali condizioni, prevalendo cioè la coscienza del suo
“vero stato di essere”, il basso (vaso) e l'alto (aria) verrebbero
partecipi come due contatti di analoga importanza, ma di diversa natura:
uno limitativo, concentrativo, fisso; l'altro estensivo, dispersivo,
mobile. Egli potrebbe allora dire:
“Quello che è in basso è come quello che è in alto e viceversa, ecc.”. E cioè:
a) alto e basso mi sono egualmente estranei;
b) esercitano ugualmente un'influenza interferente sulla mia identità;
c) ma sono le condizioni indispensabili di contrasto alle quali debbo se posso sentirmi veramente “io”
in una forma e a contatto con l'infinito , e cioè per sentirmi “una cosa sola o unica” con me stesso.
Ecco cosa vuol dire che il basso è come l'alto e viceversa,
per produrre il miracolo di una cosa unica in un vaso, si intende,
perché fuori di questa condizione non avrebbe alcun interesse alchimico.
Esaminata “dal di fuori” da un essere cioè non
pervenuto alla identificazione con se stesso, la proposizione va
rettificata così: “Per produrre il miracolo della cosa unica occorre che
l'alto sia come il basso e viceversa”, vale a dire che tu pervenga alla
constatazione degli inversi limiti che ti condizionano, attraverso una
forma di
separando che in realtà non ti separa [
6] dal tutto, ma ti restituisce a te stesso.
III Proposizione
Come tutte le cose sono sempre state e venute da Uno, così tutte le cose sono nate per adattamento di questa Cosa Unica.
Abbiamo già chiarito, grosso modo, cosa sia questo
Uno, o
Cosa Unica, o
Hermes, e cioè:
a) Un essere umano e divino
b) Tutto fuso nel proprio crogiuolo
c) Sciolto nella natura essenziale del ternario
d) Uno con se stesso
Per l'avvenuto miracolo di una cosa sola. Miracolo “da
mirare”, cioè fissare e perciò stabilmente integrato, immortale ed
eterno espressione purissima della volontà-intelligenza divina, in
esercizio perpetuo e polluente di creazione.
Così
caratterizzato, egli è omologo, nella propria sfera, al Principio-Uno
da cui tutto è derivato e tutto è derivabile e, per analogo potere di
adattamento, può derivare da se stesso ciò che vuole,
se pure è il caso di operare derivazioni volute, con l'implicita conseguenza di assoggettarvisi [
7]
e non, invece, come crediamo, quello di restare puro e in se stesso,
lasciando agli accostamenti passivi la cura di ingravidarsene a tutto
loro vantaggio o rischio.
Egli, difatti, sempre puro e vittorioso, non ha bisogno
alcuno di volere, ma sarà chi gli si accosta a sviluppare, volente o
nolente, per fatale copulazione, i suoi germi fecondi, con risultato
benefico o malefico, secondo che, nell'avvicinarlo, abbia concepito il
bene o il male, mentre egli resta inalterato e al limite superiore
all'uno e all'altro. Nasce da qui il grosso equivoco dei dilettanti, dei
principianti e dei vagheggiatori sui poteri della “magia”.
I poteri dell'Hermes (o del mago) non sono suoi, (non
saprebbe che farsene) ma sono lo sviluppo che conseguono (in campo
iliaco e per la sua virtù o forza generante attiva) quelli che gli sono
attribuiti, con l'immaginazione, con la fede, o con la consapevolezza
della tecnica di meccanismo che li rende propizi e benefici. E quando
non è così, trattasi di sacrificio o di missione accettata. Ecco l'Unus,
pollentissimus omnium, e non per nulla mercurio (Hermes) è raffigurato
irto e teso su un piede solo, in uno slancio nervoso verso l'alto, tutto
pervaso di forza, quasi prossimo a spiccare il volo.
Ma qui la forma non inganni, perché è la sostanza che
interessa. Sostanza Una, s'intende, e non bina, sostanza che sta al
nucleo di ogni cosa esistente e che fa dire all'hermes:
“Come tutte le cose sono sempre state e venute da Uno, così tutte le cose sono nate per adattamento di questa cosa unica”.
È chiaro, pertanto, che in sede di adattamento la cosa una
diventa bina e cioè partecipe alla natura essenziale delle forme create,
e mal si oppongono coloro che a questa rivolgono la loro attenzione,
perché l'UNO è Uno e in cifra araba si scrive: 1.
IV proposizione
Il Sole ne è il Padre, la Luna ne è la Madre, il Vento lo
ha portato nel suo ventre, la Terra è la sua nutrice. Il Padre di
tutto, il Telesma di tutto il Mondo è qui; la sua potenza è illimitata
se viene convertita in Terra.
Il Sole ne è il Padre, la Luna ne è la Madre.
Di chi?
Dell'Uno, s'intende, dell'Uno sempre, come innanzi esteso, il
quale, nascendo dal connubio degli opposti, ne riproduce i caratteri,
riuniti in se stesso, ovverosia in una “casa unica”. Processo genetico,
cotesto, di inattaccabile verità, confermato in fisica, cioè in natura, e
da rettificare con l'aiuto dell'arte.
Il Vento lo ha portato nel suo ventre.
Il Vento, come si sa, è circolatorio e nasce
da due zone di opposta temperatura. E qui si tratta appunto di
circolazione, come rilevasi altresì dalla decima chiave del Tarocco [
8].
Vento di scirocco o di tramontana?
Temerario colui che, impugnando il manubrio, ne imprenda il
moto con ignara mano! È necessario sapere per osare, volere per creare,
tacere per serbare.
Un ansito di produzione gli gonfierà il petto, un'emozione
trepida gli annunzierà che la méta è vicina, un'illusione ottica –
quanto più vorticoso sarà il giro – fonderà in una visione unica i due
genii… Poi ruota e genii e asse e manubrio spariranno, mentre il cuore
vacilla (peccato!) … e un negrore ottenebrante (lapis niger) tutto
offusca e involve.
Ove sono? Chi sono? È la morte?
No, è la vita.
A me la terra, la nutrice inesausta si prodighi!
Non v'è produzione che non si nutra al suo seno ricolmo; ogni
cosa attinge ai suoi fianchi possenti il tessuto del proprio sviluppo:
la lussureggiante flora, ricca di semi che ne perpetuano la specie, la
fauna copiosa, che sfida i secoli e le inclemenze.
Il Padre di tutto, il Talesma di tutto il Mondo è qui.
Attenzione. C'è un errore: manca una virgola. Il testo va rettificato così:
Il Padre di tutto, il Telesma di tutto, il Mondo è qui.
Il Padre di tutto: è la forza generante attiva.
Il Telesma di tutto: è una ripetizione pleonastica rafforzativa.
Telesma, da teleo è compiere, condurre a termine, divenir
compiuto, perfetto, giunto a maturità. Il Mondo è qui: mondo (apri bene
le orecchie) sta per contrario d'im-mondo; da mondare, mondato, cioè
senza scorza; il purificato. Quindi: il puro da ogni scoria è qui. La
sua potenza è illimitata se è convertita in Terra… rossa (ci manca ma si
intende) perché nella terra comune, a questo punto, crescerebbe solo
petrusino (prezzemolo) e vasenicola (basilico).
Sta di fatto, comunque, che sole, luna, vento e terra sono il
solito quadrimonio ricorrente, senza del quale l'Uno non si elabora,
non si manifesta, non si purifica e non si converte. Sennonché il
quadrimonio è raccostabile ai quattro elementi: fuoco, aria, acqua e
terra, da cui si estrae la quintessenza, e alle quattro lettere del
Tetragramma, che, opportunamente scongiurato, ne manifesta una quinta
(scin), la quale, inserita nel bel mezzo di esso, forma il nome
cabalistico del Cristo (iod-hè-scin-vau-hè) che è l'Emmanuel o il
redentore della natura umana.
V Proposizione
Tu separerai la Terra dal fuoco, il sottile dallo spesso,
dolcemente, con grande industria. Ei rimonta dalla Terra al Cielo,
subito ridiscende in Terra, e raccoglie le forze delle cose superiori e
inferiori.
È opinione notoriamente diffusa che un segreto alchimico
esista e sia gelosamente custodito. Anzi, perfino coloro che non ne
sanno niente, ma hanno letto Schuré, Papus, magari Bésant e qualche
rivistucola esoterica, ostentano un'aria di sufficienza e spesso
ammiccano significativamente per passare tra loro che sanno.
Essi sono, in verità, i più sicuri custodi del segreto e
bisogna riconoscere che non ne parlano mai apertamente, né per
rivelazione appropriata, per la semplice ragione che non ne sanno
niente. Costoro, in fondo, non fanno male a nessuno, perché non danno
“vie” non prescrivono “pratiche” e non militano “poteri”, paghi soltanto
di darsi un po' di innocente importanza.
Ma ci sono quelli che hanno udita o credono di aver capita
qualche notizia sicura, o che posseggono addirittura libri segreti,
tanto segreti, invero, da cadere sotto gli occhi stupefatti perfino
degli idioti, e non a caso.
Costoro hanno anche praticato, allettati da miraggi profani, e
non ne hanno ricavato niente. Ma si gonfiano di sapienza, si circondano
di mistero, si infiltrano tra i creduli, parlano a metà e, appena
possono, stampano pure qualche libriciattolo sconclusionato, frutto
molto spesso di plagio sfacciato e deformato, o di filosofia da
strapazzo, sofisticando pedestremente su ciò che manifestamente non
hanno digerito.
Essi prendono molto sul serio ciò che dicono in lingua assai
maltrattata e, frammezzo a notizie di seconda o di terza mano,
arricchite di citazioni autorevoli, personalmente non riescono a
concludere nulla. Sono poveri diavoli che credono con le loro
indiscrezioni di violare il “secreto nella rivelazione”, assumendosene
la responsabilità (come se fossero dei responsabili) con aria da Maestri
emancipati. Ma come spiegare l'assolutezza di cotesto secreto con le
indiscrezioni che ne trapelano? Come spiegare l'esistenza di un Ordine
costituito che si proclama in grado di garantirlo e le profanazioni
dilaganti?
È semplice: notizie e testi (quando risalgono a persone serie) sono una
“Prova” e cioè soltanto un'indicazione per giungere,
Se Degni, alla conoscenza del segreto, ma non sono il segreto [
9].
Anche il Trismegisto, difatti, nella sua tavola laconica
quanto completa, non appena si tratta di toccare l'argomento principale,
dice soltanto:
“Tu separerai, ecc.”.
Ma in che modo?
Ebbene il modo non è stato mai trasmesso né con parole, né
con testi scritti ed è questa la garanzia sicura della custodia tra
coloro che, pervenuti a conoscerlo, sanno di dover tacere e perché. Il
“modo”, quando non è tramandato per simboli pressoché ininterpretabili, si apprende per
“visione diretta”
entrando, in compagnia di un Maestro Iniziatore, nel laboratorio
alchimico di una Loggia Ammonta e assistendo a una trasmutazione reale
nel silenzio più rigoroso del Maestro e del Novizio.
Ma anche qui, per ovvie ragioni, la
trasmutazione che consta di quattro operazioni con quattro risultati
specifici, non viene “Mostrata” intera [
10].
Si ferma alla terza operazione, e tutto ciò che se ne può dire a
edificazione del circolo interno per il quale sono redatte queste note,
qui di seguito sarà per la prima volta riferito senza fitti velami. Il
laboratorio alchimico è una comune stanzetta di forma quadrata, dalle
pareti tinte rigorosamente in nero, con due opposte aperture piuttosto
basse: una d'ingresso e una d'uscita.
Al centro si trova un cubo sul quale è disposto verticalmente
un serpente di soffiato di Murano, che s'incurva circolarmente su se
stesso, (il serpente che si mangia la coda) avendo le fauci aperte, a
poca distanza delle quali termina la coda. Il serpente, internamente
cavo, ha una rigonfiatura ovoidale nella gola, alla cui base, presso la
strozzatura inferiore, è inserito un filtro, a lato del quale si apre
una valvola di scarico. La coda, cava come si è detto, termina con
un'apertura, e tutto è riscaldato a bagnomaria con temperatura costante.
Il Maestro ingozza nelle fauci dell'animale una sostanza
gelatinosa che preleva da apposito serbatoio laterale munito di
rubinetto e questa va a cuocersi nella rigonfiatura menzionata, donde
poco a poco sciogliendosi, attraversa il filtro e comincia a gocciolare
nella parte inferiore. (Tu separerai la terra dal fuoco).
Quando attraverso il filtro non passa più nulla, per mezzo
della valvola laterale si scaricano i depositi insoluti e con un
ingegnoso dispositivo a manovra esterna, si porta su, attraverso la coda
del serpente, il liquido ottenuto (sale dalla Terra al Cielo) fino a
che dalla parte incurvata verso le fauci aperte esso vi comincia a
ricadere (subito ridiscende in Terra).
A questo punto si sostituisce il filtro con un altro più
sottile e si ripete tutto come prima. E così di seguito: sempre con un
filtro più sottile fino a quando dall'estremità della coda non viene
fuori alcun liquido, ma un vapore prezioso, cioè uno stato di essere
della materia che sta fra il liquido e il gassoso.
Qui si chiude la prima operazione trasmutatoria, che allora
può dirsi riuscita quando il vapore raccolto si congela in una massa
omogenea opalina, che, ottenuta per passaggio di materia da uno stato
all'altro, “raccoglie la forza delle cose superiori e inferiori”, cioè
la consistenza eterea e quella materiale. L'insuccesso di questa prima
operazione è fatale per chi si intestardisce nel prosieguo senza le
dovute rettifiche, le quali possono riguardare il tempo di apertura e di
chiusura, la temperatura, le ostruzioni, le interruzioni, il bagnomaria
e molte altre che stimo superfluo enumerare.
In caso di riuscita, invece, poiché il “procedimento è
lineare” si passa alla seconda operazione, che è identica alla prima, ma
varia per un composito accessorio, il quale va miscelato al primo
elemento trasmutatorio, con “determinati accorgimenti che sono la
condizione indispensabile e necessaria all'ossidabilità, senza la quale
la pratica resta nullificata e può divenire addirittura
controproducente”.
Esso si estrae da “l'ortosvodum” (inutile che i latinisti
s'immischino in questo arcaismo) rigorosamente custodito da
impenetrabile recinto e precluso alla follia di qualsiasi animale
maschio.
Cotesto reagente, per reiterare centrifugazioni, operate
sempre per cozione e filtro, dinamizza la miscela al punto che bisogna
sorvegliare con la massima attenzione la sua espansione nell'alambicco,
pena lo scoppio dell'apparecchio e l'irreparabile perdita della
sostanza. Ma se tutto procede con le dovute cautele, mettendo la mano
all'estremità della coda, si avvertirà prima una zaffata di aria
caldo-secca e poi si raccoglierà una sottilissima polverina (polvere di
proiezione) che ha la proprietà di “separare” la forza dalla materia, ma
non in maniera esplosiva (niente bombe atomiche!!!)
“sibbene inducendo tendenza alla mobilita” nei corpi animati (ibi mobile).
Però è leggermente stupefacente e afrodisiaca, donde il
pericolo, per l'incauto che vi dedica facendone cattivo uso, di
permanere in simili stati, dando così modo e tempo al serpente sempre
vigile di profittare del suo momentaneo incantesimo per divorare il
piccolo implume.
Ma l'alchimista austero non si lascia sedurre dalle
attrattive erotiche e prosegue imperterrito alla terza operazione. Egli
opera, cioè, una seconda miscela, traendo da un barattolo pronto per
l'uso due boccette ripiene di due diverse essenze provenienti da piante
della Repubblica Argentina: una di colore rosso fiammante e l'altra di
colore bianco latteo.
Codeste due sostanze hanno proprietà reciprocamente
divoranti, talché, messe assieme, si distruggerebbero a vicenda e non
lascerebbero altro di se stesse che un odore caratteristico molto noto
ai praticanti di alto grado.
Ma fatte cadere a gocce, separatamente, su qualche
milligrammo di polverina ottenuta, perdono la loro caratteristica
corrodente, si conciliano, cioè, nella natura essenziale
dell'eccipiente, e si fondono sempre per effetto di cozione e filtro, in
un amalgama fosforescente dai riflessi dell'arcobaleno. E qui termina
la terza operazione ostensibile, dopo la quale, Maestro e Novizio escono
dal laboratorio alchimico, muti come vi sono entrati. Essi si separano
immediatamente con la tacita promessa del Novizio di rivedersi quando il
suo
Ibi avrà messo le penne e gli consentirà di tornarvi con il proprio volo,
“unico modo di ripresentarsi per il riconoscimento rituale”, con diritto di assistere al finale dell'opera per essere consacrato Maestro Ammoneo nel Sinedrio Eterno dell'Or
Os
Eg
VI Proposizione
Tu avrai con questo mezzo tutta la gloria del Mondo,
epperciò ogni oscurità andrà lungi da te. È la forza forte di ogni
forza, perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida.
A mano a mano che la complessità della vita sociale si è
andata organizzando in convivenza sempre più mercantile, sempre più
indispensabile è apparso alla base di molti godimenti umani e di molte
imprescindibili necessità il possesso dell'oro.
Cotesto metallo, indice dei più svariati poteri, ha sempre
esercitato il suo fascino trascinatore sull'animo umano, anche quando ne
bastava pochissimo per emanciparsi da qualsiasi asservimento.
Pertanto, la necessità di possederne è stata sempre avvertita
in ragione diretta delle brame che può singolarmente soddisfare, o dei
vantaggi che collettivamente può arrecare. Esso splende tra le mani dei
benefattori che ne profondono in opere umanitarie, scorre in rivoli
fulgenti dalle casse di istituti consacrati al benessere e al progresso
umano, ma occhieggia anche alle radici delle più torve cupidigie, si
annida nei meandri dei più voraci appetiti, appare sinistro al fondo dei
più sordidi interessi e serpeggia livido tra le più basse passioni.
Innalza o annienta, sostiene o abbatte, nutrisce o corrode,
ma sempre lusinga e seduce. Quando, perciò, gli alchimisti metallurgici
annunziarono la possibilità di trasformare il piombo in oro, tesero alle
turbe degli avidi e dei concupiscenti il laccio più corrispondente alle
loro bramosie.
Ne alimentarono le speranze e le illusioni, costringendoli,
così, alla custodia gelosa dei loro testi sibillini, alla loro paziente
interpretazione e alla pratica indefessa dei fornelli e delle fusioni,
per cui quegli stessi che ambìvano ai tesori – non esclusi principi e
prelati – ne profusero a dovizia tra le più pazzesche esperienze.
Effetti utili e sorprendenti ugualmente sortirono dalle varie
combinazioni e trasmutazioni, a cui tanto deve la chimica posteriore,
né può definirsi impostura un enunciato basato su possibilità analogiche
oggi pienamente confermate dalla teoria dell'unità della materia; ma
l'intenzione di quei saggi era quella di diffondere e tramandare una
scienza superiore a ogni velleità profana, per cui la pratica e lo
studio diretti al vagheggiato possesso della ricchezza non fruttò
neppure il becco di un quattrino.
Negli antichi tempi, invece, tra coloro che primeggiavano sui
volghi la ricchezza era piuttosto diffusa e, pertanto, non poteva
costituire sufficientemente miraggio per scomodarli in ricerche, studi
ed esperienze affannose. Occorreva allora polarizzare l'attenzione verso
qualcosa di altrettanto eccitante e desiderabile, e all'uopo fu
sapientemente prescelta la potenza fascinatrice della fama.
Il Trismegisto, difatti, promette agli interpreti del suo verbo
“tutta la gloria del mondo”.
Ma se delusi furono coloro che tentarono l'alchimia per
conseguire ricchezze e tesori, altrettanto può dirsi di quelli che
praticano la magia per eccellere nell'opinione del mondo. I falsi
alchimisti, pertanto, perdettero il loro tempo.
I veri alchimisti conseguirono tutti la
“gloria del mondo”
ma per essa, piuttosto che desiderarne, sacrificarono e spregiarono
l'oro e la fama, vivendo una vita tristissima, spesso conclusa nella
persecuzione, nella miseria, nelle carceri e, talvolta, nel rogo e sul
patibolo.
La storia nota ufficialmente e quella conosciuta dai
discepoli intimi narra le vicissitudini di cotesti eroi – spesso oscuri e
ignorati – sempre vilipesi e calunniati, talora brillanti per ingegno
eccezionale, tal altra stranamente piatti, incolori e stremati,
circonfusi di piccole o grandi leggende, mitici o spiccioli per breve
tempo luminosi come meteore, per lungo tempo pietosamente sopraffatti da
se stessi e dal mondo... da quel mondo che avrebbe dovuto glorificarli!
Mentiva, dunque, il Trismegisto?
No. Mendace e falsa è soltanto l'interpretazione dei deviati,
che alle sue parole attribuiscono non il significato che hanno, ma
quello relativo alla propria “forma mentis” profana e impreparata, causa
dei più amari disinganni.
Ecco perché le alte iniziazioni sono precedute da
“preparazioni” apposite, spoliative di ogni sovrapposizione culturale
specifica, per il denudamento del proprio “mono” mentale, puro, unico
interprete del retto senso di tutte le cose.
L'ingegnere, difatti, il medico, il matematico, il filosofo,
imbevuti delle loro teorie, specialmente oggi che la scienza schiamazza i
suoi postulati con un apparato suggestivo senza riscontro nei tempi,
non possono prescindere dal proprio patrimonio di idee accettate.
Essi, pertanto, in presenza dello strano linguaggio ermetico –
qualora si dilettassero senza la dovuta preparazione a investigarne il
senso – non potrebbero sottrarsi ai riferimenti della propria dottrina e
in coordinazione con questa ne tenterebbero le più pasticciate
interpretazioni.
Un esempio di interpretazione corrispondente ai sogni più
comuni, alle aspettazioni più profane, alle velleità più
specificatamente inerenti alla goffaggine umana, che amerebbe asservire
l'altissima scienza dell'Assoluto alla miseria delle proprie vanità, è
proprio questo della “gloria del mondo”.
Ma dopo il tanto che si è detto sul senso vero di questa parola [
11]
è chiaro, invece, che esso (il mondo) partecipa direttamente alla
creazione del “corpo glorioso” (questa e non altra è la sua gloria)
creazione eccezionale e alchimica, veste indistruttibile dell'Io,
trionfatrice della morte e disimpegnata dalla catena delle nascite
umane, per cui l'Adepto, è figlio di se stesso, erede della propria
storia, immortale e redento dalla fermentazione venerea che assoggetta
le anime alle imposizioni reincarnative.
Egli è totalmente integrato con l'eterno del proprio essere,
aperto alla vita ininterrotta dell'intelligenza, superiore e Signore
della razza da cui proviene, della quale ha precorso l'evoluzione finale
in una cruda e coraggiosa sintesi delle tappe naturali.
Ecco perché il testo prosegue:
“e ogni oscurità andrà lungi da te”.
Non si tratta di brillare quale astro di prima grandezza fra gli
applausi della platea umana, non si diventa un luminare insignito di
onori e di decorazioni, glorificato da turbe, prosternate a tanto
passaggio sulla ribalta terrena.
Tutto ciò in lui è consumato come nelle ceneri il fuoco.
Ma l'oscurità è relativa agli antri, alle caverne, alle
matrici, ove si incontrano e si sviluppano i germi delle vite; uteri di
fecondazione vomitanti forme periture. Ed egli non vi può ormai
decadere, perché immortale ed eterno.
Tale oscurità andrà lungi da lui. Ma se una
missione umana elegge o è chiamato a svolgere nella sfera degli
incarnati, in ben altro modo che non coercito da un accoppiamento
animale assolverà il compito suo [
12].
Più sibillino, quanto più grandiosamente allusivo al finale dell'Opera,
è il resto della proposizione: “è la forza forte di ogni forza, perché
vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida”. Codesta “veste
gloriosa” difatti è proiettabile, da vivi, fuori del corpo, in una gamma
variabile che va da certi “inizi precisi” fino a sua completa
condensazione, a seconda del grado di “separando” conseguito. Ecco
perché, giunta al massimo di sua formazione, vincerà ogni cosa sottile e
penetrerà ogni cosa solida, vale a dire si affermerà come secondo
corpo, indipendente e resurrettivo, tale da imporsi all'obbiettività di
qualsiasi controllo, come cosa reale, fisica, tangibile, capace di
rendersi evidente (oh, San Tommaso!) e di sparire riassorbita dalla
volontà di emissione che ne comanda la esteriorizzazione totale.
VII Proposizione
È in questo modo che il mondo fu creato.
Vedi commento alla quinta proposizione.
VIII Proposizione
Da questa sorgente usciranno innumerevoli adattamenti, il cui mezzo si trova qui indicato.
Dalla sorgente di questa Scienza, cioè dalla Fonte Iniziatica
– Unica Fonte di scienza “umana” eterna e assoluta – la catena
ininterrotta dei Maestri sperimenterà il Vero degli enunciati sinedriali
in applicazioni innumerevoli.
Esse saranno in rapporto col quadro dei tempi, attraverso i
quali tramanderanno in riverberi adatti all'evoluzione umana la
continuità della Luce, preparandone l'avvento finale per il trionfo
radioso dei suoi abbaglianti fulgori. Gli Ordini costituiti, pertanto, e
i singoli Maestri riusciti, hanno sempre prescelta una finalità
“rivelatoria” a cui sono rimasti fedeli “usque ad mortem” qualunque sia
stata la sorte collettiva (vedi Templari, Rosa+Croce, ecc.) o personale
(consulta le vite) che
come un sigillo , ne ha consacrata la volontà nella storia umana di tutti i tempi.
IX Proposizione
È per questo motivo che io venni chiamato Ermete Trismegisto, perché possiedo le tre parti della filosofia del mondo.
È noto che non esiste alcuna filosofia tripartita. La
filosofia anzi è sintetica e riassuntiva, riassorbendo in sé tutta la
conoscenza umana per la celebrazione di un Vero Universale, attinto alle
risultanze ultime del sapere scientifico, in contrasto col quale non
potrebbe sostenere alcunché di valido e di rassicurante.
Peraltro, il pieno possesso di una triplice filosofia, come
teoria puramente concettuale e discorsiva, sarebbe ben povera cosa e non
chiarirebbe il motivo per cui Ermete fu chiamato Trismegisto.
Tris-meg-isto, difatti, è corruzione di Tris-mag-isto
(Tri-magister vuol dire Maestro di terzo grado) il che significa che
Ermete esercitava il triplice “mag” dei corpi lunare, mercuriale e
solare, cioè della santissima (separatissima) Trinità.
E l'autore, da quello che dice nella sua tavola, depone
effettivamente in favore della qualità che si attribuisce. La parola
“filosofia” vale – come nel suo senso puramente etimologico –
“conoscenza”.
Ma per l'iniziato “conoscere” significa “essere” [
13].
Pertanto, il Trismegisto “era” cioè possedeva le tre parti
dell'essenza del “mondo”. Ed essendo il mondo ciò che ripetutamente si è
detto, vuol dire che il Trismegisto era assurto a “trinità separata e
gloriosa” individuo assoluto e magnifico Eone della vita umana
nell'eterno delle essenze pure.
X Proposizione
Ciò che ho detto dell'operazione del Sole è perfetto e completo.
È l'assicurazione finale, che richiama l'insistenza iniziale,
a chiusura del ciclo esplicativo. L'operazione del Sole, difatti,
indicata nella quinta proposizione, racchiudendo intero il problema
trasmutatorio, i mezzi e i risultati, può considerarsi perfetta e
completa.
Conclusione L'aureo Maestro J. M. Kremmerz diceva:
“Positivamente le investigazioni su
queste ricerche, su questi studi, su queste idee, che presuppongono una
deliberata preparazione in chi si accinge a intraprenderle, non sono di
moda [...] L'Ermetismo, la magia cabalistica, la filosofia dell'Occulto e
dell'Invisibile? Troppo tempo, troppa fatica, troppa perdita di tempo!” [
14]
E ancora:
“Con un senso d'amarezza profonda scrivo
due parole d'introduzione alla lettura degli Elementi di magia naturale
e divina ... Credevo l'umanità molti secoli più innanzi e in venti
anni non ho realizzato che assaggi e prove. Niente di concreto... cioè
di concreto le molte noie che mi son fabbricate con le mie mani”. [
15]
Con quale speranza io, suo lontano discepolo, ho collaborato alla diffusione delle stesse idee su codesta Rivista ospitate?
Nessuna .
Io so che i tempi sono mutati; ma in peggio. Mi è stato ordinato di
parlare ai Circoli esterni e interni, di coordinarli entrambi con voce
più esplicita verso le rispettive finalità e di richiamare all'ordine
gli inadempienti. Ho obbedito.
Non mi resterebbe, se ne avessi qualche speranza, che ripetere col “sempre presente” J. M. Kremmerz:
“Una sola cosa desidero: che gli
studiosi di ermetismo magico, italiani, non si separino, non si
dividano, non si combattano tra di loro in aride polemiche, ma come figli della Grande Arte
si tengano stretti intorno al punto criticissimo della ricerca per la
scienza più umana che l'uomo sia mai audacemente pervenuto a possedere”. [
16]
Ma io non ho questa speranza.
__________
Note
1.
S.P.H.C.I. Schola Philosophica Hermetica Classica Italica IBIS , Phoenix, Genova, 1970 (
torna al testo)
2. Le semine, ad esempio, hanno il loro tempo, la fecondazione animale e umana, ugualmente. (
torna al testo)
3.
Dogma e rituale dell'alta magia (
torna al testo)
4.
Nosce te ipsum (torna al testo)
5. Il valore di una intuizione, ad
esempio, o di un presentimento, può esser dato solo dai fatti e fin
tanto che questi non si sono verificati può esser sempre attaccato o
discusso. (
torna al testo)
6.
“Vedi povertà del linguaggio” dice il Kremmerz. (
torna al testo)
7. Il Principio Uno, prescelta che abbia
un'adattazione, vi resta legato, perché si crea una necessità, o
fatalità, che lo incapsula per la durata di essa. (
torna al testo)
8. La decima chiave del Tarocco riproduce, fra l'altro, una ruota con due geni o generatori, la quale
gira attorno ad un asse con
manubrio. (
torna al testo)
9. Alla conoscenza di questo segreto
presiede, invisibile ai volgari ed agli indegni, un Gruppo di
Intelligenze distributrici secondo giustizia. Gli indegni non
perverranno ad intendere. Gli egoisti sbaglieranno la rotta. Coloro che
parleranno durante la pratica dell'arcano incontreranno la morte.
(J.M.Kremmerz) (
torna al testo)
10. Gli alchimisti si guardano bene
dall'affidare il segreto nella sua nudità: essi hanno sempre predicato
che solo per divina intercessione è permesso di accedere per la Porta
Maggiore, ma preparano il discepolo ad entrare in un ordine di idee
senza la comprensione fondamentale delle quali sarebbe inesplicabile
qualunque visione o manifestazione divina intorno all'argomento
(J.M.Kremmerz) (
torna al testo)
11. Vedi commento alla proposizione 4a (
torna al testo)
12. Che un dio possa umanizzarsi, senza
passare per le vie comuni alla propagazione della specie, lo afferma la
Chiesa Cattolica col dogma dell'Immacolata Concezione, ma… (
torna al testo)
13. Tieni presente l'aforisma ermetico: per conoscere una cosa bisogna essere la cosa stessa. (
torna al testo)
14. Dialoghi sull'Ermetismo – Arti grafiche, 1929 (
torna al testo)
15. Mondo Secreto (
torna al testo)
16. Dialoghi sull'ermetismo (
torna al testo)
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