LA STRAGE SIONAMERICANA DI GORLA
Quella mattina
d'autunno
In volo
L'invasore sionamericano con la vigliacca e traditrice complicità degli impostori sangue blu Savoia stava completando l'opera sinarchica d'appropriazione e colonizzazione d'uno Stato sovrano.
Presso il comando
generale della 15a Air Force, dal febbraio 1944 era presente un rapporto della
R.A.F. albionica dove s'informava che gli stabilimenti milanesi operanti nel settore
meccanico-siderurgico erano in piena attività, probabilmente al servizio dell'industria
bellica; questo portò alla decisione d'effettuare sopra la città di Milano una pesante
incursione che distruggesse tutti gli impianti produttivi.
La data decisa era quella
venerdì 20 ottobre 1944.
Da ricerche
effettuate sui foto-rilevamenti dell'epoca è singolare il fatto che dalla scelta degli
obiettivi da colpire quel giorno vennero escluse grandi fabbriche come le Acciaierie e
Ferriere lombarde Falck e la Caproni (produttrice di aerei) dove erano savvero presenti produzioni belliche, mentre la Breda, l'Alfa Romeo e la Isotta Fraschini oggetto della
missione avevano decentrato tutta la loro produzione in stabilimenti ombra nella provincia
o addirittura in Germania, dove furono costretti a trasferirsi molti operai della Breda;
probabilmente gli informatori degli americani non erano molto "informati" o, come pensiamo noi, erano stati volutamente evitati obiettivi di fratelli massoni sinarchici funzionali alla futura gestione della colonia schiava denominata Italia.
Un'altra novità
riguardava la scelta degli obiettivi: a parte un episodio avvenuto il 30 aprile 1944 dove
venne distruto un distaccamento della Breda situato nel vicino aeroporto di Bresso, le
altre incursioni sulla zona avevano interessato solo lo scalo ferroviario di Lambrate e in
parte minore quello di Greco. Un fatto da segnalare era la presenza quella mattina a
Milano del ministro degli armamenti tedesco, il massone Albert Speer, ma pensare ad un tentativo da
parte americana d'eliminare quel personaggio politico colpendolo con un bombardamento
aereo avrebbe comportato un grande "colpo di fortuna", nonchè un esagerato
dispendio di energie, quando allo scopo sarebbe stato sufficiente un tiratore scelto, già disponibile in Milano.
I preparativi per
questa missione vennero quindi messi in opera, incaricando della missione tre Bomb Group
dislocati nelle basi pugliesi, e più precisamente: 38 aerei B-24 del 461° group diretti
sugli stabilimenti Isotta Fraschini, 29 aerei B-24 del 484° group per gli stabilimenti
Alfa Romeo, 36 aerei B-24 del 451° group con obiettivo gli stabilimenti Breda di Sesto
san Giovanni; in totale 103 bombardieri quadrimotori con rotta su Milano per effettuare il
più grande bombardamento sulla zona dopo gli attacchi dell'agosto 1943.
Gli aerei del 461°
e del 484° group arrivarono sul bersaglio prestabilito senza particolari problemi, anche
per il fatto che i caccia germanici erano stati richiamati in patria e l'antiaerea di
terra era praticamente inesistente, e portarono a termine il loro compito secondo quanto
prestabilito a parte alcune bombe che caddero fuori bersaglio colpendo numerosi palazzi
civili nella zona della Fiera, causando un elevato numero di morti tra la popolazione. Il
451° ebbe una storia tutta diversa.
La formazione d'attacco di questo gruppo prevedeva un numero di 36 aerei disposti su due ondate di 18,
composte a loro volta da tre box di 6 aerei in fila di due disposti a punta di freccia.
Decollati dall'aeroporto di Castelluccio a Foggia alle 7,58 si ritrovarono ben presto in
35 in quanto un aereo tornò alla base poco dopo il decollo per problemi meccanici, mentre
gli altri procedendo alla velocità di 160 miglia orarie arrivarono su Milano poco dopo le
11,00; ogni componente della formazione aveva a bordo 10 bombe da 220 Kg. il cui tempo di
caduta da un'altezza di 10.000 metri era calcolato in 180 secondi.
Raggiunto dopo un
largo giro da destra fin quasi sulla Svizzera l'I.P. e cioè l'initial point, un punto
rilevante a circa 4 Km. ad ovest del bersaglio da colpire, da dove aveva inizio la corsa
d'attacco, cambiarono rotta dirigendosi verso gli stabilimenti Breda, ma a questo punto le
cose non andarono più secondo i programmi: accadde che il capo gruppo, l'aereo di testa
del box centrale della prima ondata, a causa di un corto circuito al pulsante di lancio
sganciò fuori bersaglio il proprio carico, imitato dai componenti degli altri box; le
bombe caddero quindi in aperta campagna nella zona di Saronno. (1°conclamato esempio di dilettantismo e incompetenza sionamericana)
La seconda ondata
che seguiva dopo alcuni minuti, raggiunto l'I.P. prese, senza apparente motivo, una rotta di
attacco deviata di 22 gradi verso destra invece che verso sinistra (vedi foto aerea); quando il leader della
formazione si accorse dell'errore ormai la corsa di attacco gia avanzata non gli
permetteva di ritornare al punto di partenza, un errore di 22 gradi gli aveva fatto
"mancare" gli stabilimenti; non essendoci in zona altri obiettivi militari
decise di rientrare alla base considerando la missione come "fallita".
Rimaneva il problema
del carico: le bombe (circa 2200 Kg. ogni aereo) non potevano essere riportate a casa in
quanto già innescate; il problema era di primaria importanza per l'incolumità
dell'equipaggio. Una via per uscire da questa situazione poteva essere quella di
proseguire per 140 gradi raggiungendo la campagna verso Cremona dove lo spazio per
liberarsi dello scomodo carico non mancava, oppure lanciarle nel mare Adriatico sulla via
del ritorno. Ma il comandante decise diversamente.
Non sappiamo e
probabilmente non sapremo mai se la soluzione che scelse fu frutto di una sua decisione o
se era prevista dal suo piano operativo, sappiamo però che in quel momento si
concretizzò quello che possiamo definire uno dei peggiori crimini contro l'umanità nella
guerra aerea di quegli anni, perchè egli ordinò agli altri velivoli di sganciare le
bombe subito, sulla città, anche se sotto di lui non c'erano obiettivi militari ma solo
abitazioni civili che poteva perfettamente vedere date le favorevoli condizioni
meteorologiche.
Le conseguenze di
quella decisione si manifestarono dopo tre minuti, dopo, cioè, il tempo necessario agli
ordigni per raggiungere terra dall'altezza di lancio di circa 10.000 metri.
Trascorso infatti
quel breve intervallo, durante il quale la popolazione vedendo cadere le bombe cercava di
trovare riparo raggiungendo i rifugi sotterranei, l'abitato di Gorla raggiunto da oltre 37
tonnellate di esplosivo divenne l'inferno ... vennero colpite case, negozi, officine ma una
bomba più delle altre provocò una strage che avrebbe cambiato la vita del quartiere per
sempre: quella che aveva centrato la scuola elementare "Francesco Crispi"
uccidendo 184 bambini con i loro insegnanti ed alcuni genitori che al suono delle sirene
d'allarme erano accorsi per portarli in salvo.
L'unico commento a
quanto accaduto venne dal colonnello Stefonowicz (ebreo polacco) del 49° Wing, da cui dipendeva il 451°
group, che criticò pesantemente l'operato del gruppo, non tanto per aver sganciato le
bombe dopo aver preso atto di essere fuori bersaglio (colpendo quindi la popolazione
civile) quanto per il danno d'immagine che lo scadente lavoro di squadra aveva causato
all'aviazione americana. (ecco come ci considerano i sionamericani, carne da macello per fast food)
Una missione
"riparatoria", organizzata per i giorni seguenti, venne annullata a causa del
maltempo e la cosa fini lì.
Nessuno venne mai
chiamato sul banco degli imputati, né a Norimberga né successivamente, a rispondere di
questa azione che era costata la vita, oltre ad altre centinaia di milanesi civili inermi,
a 184 bambini italiani.
A terra
Come nel resto dell'Italia
settentrionale, anche a Milano la popolazione cercava di superare gli ultimi mesi di una
guerra che aveva messo tutti in ginocchio: il cibo era scarso, mancava la legna per
riscaldarsi o per cercare di riparare le case danneggiate dai bombardamenti; in città era
elevato il numero di profughi, sbandati e di chi aveva perso tutto. Molti milanesi che
negli anni precedenti avevano preso la decisione di lasciare la città per rifugiarsi in
Brianza, in Veneto o in Piemonte, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 erano sicuri che
la guerra fosse ormai veramente finita, tornarono a vivere a Milano.
L'urlo delle sirene
di allarme per l'avvicinarsi di formazioni di bombardieri restava però una realtà quasi
quotidiana. Infatti, appena i rilevatori si accorgevano dell'arrivo di velivoli nemici
sulla regione, veniva suonato il "piccolo allarme", se poi gli aerei si
dirigevano verso un preciso bersaglio nella zona di questo suonava il "grande
allarme"; ovviamente in quel momento tutti i cittadini dovevano essere gia
all'interno dei rifugi.
Portarsi nel rifugio spesso non
si rivelava una cosa veloce: chi aveva un negozio doveva chiuderlo mettendo al sicuro la
merce per prevenire fenomeni di sciacallaggio dovuti alla fame, chi si trovava in casa
doveva preparare tutto il necessario (cibo, acqua, coperte) per una permanenza che poteva
protrarsi anche per ore, i malati dovevano essere portati nei rifugi a spalla, i bambini
piangevano.
Ripetere tutte queste operazioni anche per due-tre volte al giorno era
diventata una cosa insopportabile, anche perchè gli alleati non colpivano Milano da
settimane; fra i cittadini aveva quindi preso piede l'usanza di ignorare il piccolo
allarme, proseguendo tranquillamente la propria attività.
Quella mattina il piccolo allarme
(come riportato anche dai documenti della Prefettura) suonò alle 11,14, quando gli aerei
erano appena entrati nel cielo della Lombardia, quello grande suonò alle 11,24. Le bombe
sganciate alle 11,27 toccarono terra alle 11,29. Dal piccolo allarme al momento in cui le
bombe esplosero passarono quindi soli 15 minuti, un lasso di tempo troppo breve per
lasciare tutto e correre in rifugio per la popolazione adulta, per una scuola frequentata
da centinaia di alunni poi, divenne un'impresa impossibile.
A Gorla la scuola elementare
Francesco Crispi accoglieva tutti i bambini del quartiere, figli di operai, di artigiani,
di impiegati; molti di questi alunni erano stati fatti rientrare dallo sfollamento perchè
i genitori erano convinti che ormai "la guerra era finita"; dato l'alto numero
di piccoli che frequentavano la scuola si era resa necessaria l'istituzione del doppio
turno.
Quella mattina i 200 bambini presenti erano i figli di chi poteva condurre una vita
con qualche problema in meno (almeno dal lato economico) rispetto a chi, abitante nelle
case della Fondazione Crespi Morbio, era considerato più bisognoso e prima di seguire le
lezioni del turno pomeridiano usufruiva della refezione scolastica a carico del Comune.
Pochi altri erano assenti per motivi di salute o perchè, vista la bella giornata di sole,
avevano deciso di marinare la scuola ...... (mai scelta fu migliore)
Alle 11,14, quando suonò il
piccolo allarme, le maestre cominciarono a preparare gli alunni per scendere nel rifugio,
altre cercarono prima di informarsi in direzione se si trattasse del grande allarme e
magari, il piccolo non l'avevano sentito. Quando alle 11,24 suonò veramente il grande, la
testa del corteo formato dai bambini era già arrivata nel rifugio, altri si trovavano
ancora sulle scale; in quegli attimi i bombardieri erano ormai visibili a tutti: nel cielo
azzurro tanti piccoli punti argentei dai quali si staccavano altri punti ancora più
piccoli. Le bombe avevano iniziato a cadere sul quartiere.
A questo punti alcuni bambini
scapparono da scuola cercando di raggiungere la propria casa, con il rischio di essere
colpiti per strada (come in alcuni casi avvenne). Trovandosi al piano terreno, la quinta
del maestro israelita Modena non dovette percorrere le scale, fu quindi l'unica classe che ebbe la
possibilità di salvarsi al completo.
Per tutti gli altri il destino fu più tragico: una
delle 170 bombe lanciate su Gorla si infilò nella tromba delle scale ed esplodendo causò
il crollo dell'ala dello stabile e delle scale stesse sulla soletta in muratura che
sovrastava il rifugio, trascinando con sè tutti i bambini ed i loro insegnanti nel cumulo
di macerie. Anche numerosi genitori che al suono del piccolo allarme erano corsi a scuola
per riprendere i propri figli, morirono nel crollo.
Appena finita la sequenza di
esplosioni e depositatosi il polverone grigio e soffocante causato dagli scoppi e dai
crolli, i cittadini che si trovavano nelle vicinanze della scuola si resero subito conto
di quanto era successo, diedero l'allarme ed iniziarono a scavare con badili, picconi o
semplicemente con le mani; nonostante i danni interessassero tutta la zona, i soccorsi si
concentrarono principalmente sulla scuola dove accorrevano i genitori per cercare di
sapere cosa fosse successo ai loro figli.
La Prefettura di Milano venne
informata subito e dispose i primi aiuti: in breve arrivarono militari dell' U.N.P.A.
(Unione Nazionale Protezione Antiaerea), quelli della G.N.R. (Guardia Nazionale
Repubblicana), i Vigili del Fuoco; tra i primi soccorritori vi furono gli operai della
ditta Gramegna (molti dei quali erano padri dei bambini) che utilizzarono i badili
prelevati dal negozio di ferramenta del sig. Didoni.
Subito fu chiara la dimensione
della tragedia, dalle macerie venivano estratti solo corpi senza vita; particolarmente
attivo in quelle ore fu un giovane sacerdote, Don Ferdinando Frattino, che con la sua
opera contribuì al salvataggio di un buon numero di bambini, ma purtroppo sempre pochi:
gli alunni morti quella mattina furono 184, più tutte le maestre, la direttrice ed il
personale ausiliario. Quello che accadde negli ultimi minuti della scuola è affidato ai
ricordi di chi, in vario modo, riuscì a sopravvivere.
Insieme alla scuola di Gorla
venne colpita anche quella del confinante quartiere di Precotto, ma a questa abbiamo
dedicato un'apposita pagina.
Anche negli stabilimenti che
erano bersaglio della missione e che vennero solo parzialmente colpiti si contarono decine
di operai morti in quanto non erano riusciti a raggiungere il rifugio in tempo. Interi
quartieri vennero quasi totalmente distrutti, tra questi (sempre a Gorla) il complesso
edilizio della Fondazione Crespi Morbio dove si contarono molte vittime civili.
Quel
giorno in tutta Milano i morti che si riuscì a recuperare furono 614, di molti altre
persone non si ritrovarono nemmeno i resti perchè vennero a trovarsi nell'immediata
vicinanza di un'esplosione restando dilaniati; oltre a questi centinaia di persone
rimasero ferite e migliaia senza un tetto.
I funerali si svolsero nella
vicina parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù alla presenza di milanesi venuti da
tutta la città a testimoniare il loro dolore; i piccoli vennero tumulati nel cimitero di
Greco dal quale vennero poi trasferiti una volta pronto il monumento ossario.
Le foto della
scuola bombardata
Ecco come appariva
la scuola di Gorla prima dell'incursione del 20 ottobre 1944. Dato l'alto numero
di bambini presenti nel quartiere, le lezioni si svolgevano in due turni; l'attacco aereo
avvenne alle 11,25 del mattino, quindi i ragazzi del turno pomeridiano non rimasero
coinvolti nel crollo.
La parte
dell'edificio scolastico colpita è quella dov'erano le scale, affollate di bambini che cercavano di raggiungere il rifuglio sottostante,
senza riuscirci.
I banchi sono
rimasti al loro posto come se nulla fosse accaduto, ma i piccoli domani non torneranno a
lezione.
I soccorsi, seppur
immediati, per la quasi totalità dei piccoli si rivelarono vani
Nella parte bassa della foto possiamo scorgere alcuni uomini, probabilmente Vigili del fuoco, intenti a scavare
Nella parte bassa della foto possiamo scorgere alcuni uomini, probabilmente Vigili del fuoco, intenti a scavare
Una piccola
sopravvissuta esprime il proprio dolore e la rabbia in un pensierino sul quaderno.
Possono questi
essere considerati obiettivi militari ?
La foto aerea
Questa è la foto
scattata dall'aereo che sganciò le bombe su Gorla; spiega meglio di tante parole cosa
avvenne quella mattina.
Sulla sinistra è
visibile l'Initial Point, e cioè il punto da dove partono le rotte per raggiungere i
diversi bersagli.
Sul lato destro la
sottile linea quasi verticale è il viale Monza sul quale, in basso, è visibile il
quartiere di Gorla.
La linea verde al
centro mostra la rotta corretta (118°) seguita dalla prima ondata di bombardieri
appartenenti al 451° group che centrò i capannoni situati ad ovest del viale Monza (1st
attack unit).
In giallo è
indicata la rotta di 96° che era quella tracciata per consentire alla seconda ondata di
aerei di portarsi sopra il bersaglio loro assegnato, gli altri capannoni che vennero però
completamente mancati (2nd attack unit).
Quella rossa e la
linea che evidenzia la rotta di 140°, erroneamente seguita dal secondo gruppo; il
comandante, resosi conto troppo tardi di essere finito fuori obiettivo, decise di lanciare
lo stesso il suo carico sul centro abitato. La giornata era limpida, senza la nebbia o lo
smog che sono presenti ai nostri giorni, non c'era alcuna possibilità di confondere le
fabbriche con le abitazioni.
Il risultato di tale
errore è chiaramente visibile in basso a destra: i puntini bianchi rappresentano le bombe
cadute sulle abitazioni e sulla scuola di Gorla.
L'intestazione della
foto indica:
Il bersaglio:
MILAN BREDA WORKS
Il numero della
missione: 138
La data: 20 ottobre
1944
L'ora: 11,24 a.m.
Il numero di bombe
sganciate: 342 in totale dalle due ondate di bombardieri
Fonte : National
Archives, Washington, G-2, Target damage file (Milan)
Continua il rifiuto da parte del Console degli Stati Uniti a Milano d'inviare il giorno della commemorazione anche solo un semplice mazzo di fiori, non tanto per riconoscere le proprie colpe, quanto come gesto di carità cristiana verso i bambini morti.
Da nostre ricerche sulla rete
abbiamo invece trovato un sito dove i "veterani", e cioè i piloti dei
bombardieri B24 Liberator, si auto-lodano delle imprese da loro portate a termine, come se
si fosse trattato di un video-gioco, senza minimamente chiedersi se tali
"missioni" siano veramente servite a fare cadere il regime che governava
l'Italia o abbiano (in questa come in moltissime altre occasioni in tutta la penisola)
causato solo la morte di decine di migliaia di civili innocenti ........
Il Colonnello Stefonowicz morì, qualche anno dopo, con atroci dolori per un linfoma ..... l'appello accorato di Franca Bisutti fù dunque accolto ...... deca
Continua il rifiuto da parte del Console degli Stati Uniti a Milano d'inviare il giorno della commemorazione anche solo un semplice mazzo di fiori, non tanto per riconoscere le proprie colpe, quanto come gesto di carità cristiana verso i bambini morti.
Il console degli Stati Uniti a Milano,Deborah E. Graze |
Il Colonnello Stefonowicz morì, qualche anno dopo, con atroci dolori per un linfoma ..... l'appello accorato di Franca Bisutti fù dunque accolto ...... deca
Testimonianza di Anna Bassis Ferrè
Io e mio marito lavoravamo in una
legatoria e Margherita, pur avendo solo 8 anni, si preparava ed andava a scuola da sola.
Era gia una donnina giudiziosa. Anche quel triste venerdi 20 ottobre 1944 l'avevamo
salutata prima di andare al lavoro, convinti di rivederla felice al nostro ritorno, ma
purtroppo come tanti altri scolari (quasi tutti) non ha fatto più ritorno a casa.
Appena
saputo della scuola bombardata, siamo accorsi, ma non l'abbiamo trovata. Avendo dei nostri
parenti vicino al Cimitero Monumentale, siamo stati da loro ospitati una notte, non ce la
sentivamo di tornare nella nostra casa da soli.
Al mattino presto siamo andati a
cercarla. L'abbiamo trovata vicino alla sua maestra, la signorina Bianca Colombo. Il
dolore per la sua perdita è stato immenso. Dopo circa un anno ho avuto un altro bambino
che avrebbe dovuto lenire in parte la nostra disperazione; è vissuto però solo dieci
giorni.
Nel 1947 è nato un altro figliolo, ma anche lui mi ha lasciato troppo presto! Ho
una nipote diciottenne, sua figlia, ma io vivo sola con i miei cari tristi ricordi. In
particolare mi ritrovo spesso a parlare con la mia adorata bambina.
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