LA LOBBY PIU' POTENTE DEL MONDO
DI ANDREA BARANES
ilmanifesto.it
Se è banale, se non ingenuo, sorprendersi di fronte alla notizia
di un mondo finanziario che esercita una fortissima attività di
lobby sulle istituzioni europee, ben diverso è leggere i dati e le
cifre in gioco. Ogni regola, Direttiva, o ricerca passi da
Parlamento, Commissione, Bce o qualsivoglia altra istituzione
europea è soggetta a questa potenza di fuoco. «Probabilmente la
lobby più potente del mondo»; parole non di un qualche gruppo di
complottari, ma del Commissario europeo Algirdas Semeta.
Così
come non sono gruppi di complottari ma decine di parlamentari
europei di diversi partiti e schieramenti che già a giugno 2010
sottoscrivono un appello nel quale testualmente si segnala che
«possiamo vedere ogni giorno la pressione esercitata dall’industria
bancaria e finanziaria per influenzare le leggi che li governano.
Non c’è nulla di straordinario se queste imprese fanno conoscere il
proprio punto di vista e hanno discussioni con i legislatori. Ma ci
sembra che l’asimmetria tra il potere di questa attività di lobby
e la mancanza di una esperienza opposta ponga un pericolo per la
democrazia».
Questo pericolo diventa purtroppo evidente scorrendo il
rapporto di Ceo. In sede europea il mondo finanziario supera la
spesa in attività di lobby di ogni altro gruppo di interesse per un
fattore di 50 a 1.
Per fare un esempio tra i molti possibili, una recente discussione al Parlamento europeo su una Direttiva riguardante hedge fund e private equity, 900 emendamenti sui 1.700 totali sono stati redatti non da parlamentari ma da lobbisti del mondo finanziario.
Al Parlamento europeo sono attivi gruppi come il European Parliamentary Financial Services Forum
(EPFSF) che comprende membri del Parlamento e lobbisti
finanziari per «promuovere un dialogo tra il Parlamento europeo
e l’industria dei servizi finanziari».
Questo dialogo comprende ad esempio inviti ai parlamentari per
«seminari educativi sul trading dei derivati». Il forum
è finanziato principalmente dai suoi 52 membri, tra i quali JP
Morgan, Goldman Sachs International, Deutsche Bank, Citigroup
e altri. E’ possibile saperlo perché ad oggi è l’unico gruppo di
rilievo in ambito finanziario a rivelare il nome dei propri membri.
Il “Registro per la Trasparenza” delle attività di lobby,
istituito in Ue nel 2008 per provare a fare chiarezza, è infatti
unicamente volontario, lasciando a imprese e lobbisti la scelta di
registrarsi o meno. Sta di fatto che un singolo parlamentare
europeo rivela di avere ricevuto qualcosa come 142 inviti in due anni
dal mondo finanziario per “eventi”, “seminari” o simili.
Secondo il rapporto, dopo lo scoppio della crisi la lobby
finanziaria ha partecipato ad almeno 1.900 incontri
e consultazioni con la Commissione e le altre istituzioni
europee. Un numero da mettere in relazione con il centinaio di
incontri che coinvolgevano reti e organizzazioni della società
civile e con gli 84 con il mondo sindacale.
Analogamente, il dato (prudenziale) di 120 milioni di euro
l’anno speso per le lobby finanziarie è da mettere a confronto con
una disponibilità intorno ai 2 milioni per Ong, società civile
e sindacati. Un rapporto di 60 a 1 che fa impallidire i pur
evidenti squilibri presenti in altri settori. Ad esempio per
quanto riguarda l’agro-alimentare, la stima è di 50 milioni di euro
dell’industria a fronte di 12 milioni per associazioni di
consumatori, Ong e sindacati.
Lo squilibrio è se possibile ancora più impressionante quando
si va a vedere la composizione dei “gruppi di esperti” ovvero gli
organi consultivi ufficialmente costituiti da Commissione, Bce
o agenzie di supervisione finanziaria per ricevere consigli
e pareri su aspetti e normative specifiche.
In molti casi la
rappresentanza supera abbondantemente il limite della decenza, se
non quello del ridicolo. Nel De Larosière Group on financial supervision in the European Union
62 membri dal mondo finanziario, 0 da società civile, sindacati
o altri gruppi di interesse; sulla Mifid, direttiva fondamentale
sul funzionamento dei mercati finanziari europei, 77 contro 5;
nel gruppo di esperti sui Derivati, 86 esperti del mondo finanziario,
0 tra Ong, consumatori o sindacati.
Secondo il rapporto, in
totale oltre il 70% dei consulenti e degli esperti nei gruppi della
Commissione ha legami diretti con il mondo finanziario, a fronte di
uno 0,8% delle Ong e del 0,5% dei sindacati.
Se possibile va ancora peggio alla Bce, che ha promosso degli Stakeholder Groups. La parola stakeholder
viene solitamente tradotta in italiano con “portatore di
interesse” e dovrebbe indicare chiunque ha appunto un qualche
interesse in una determinata impresa o istituzione. Il gruppo
presso la Bce prevedeva 95 membri provenienti dal settore
finanziario, e 0 (zero!) tra organizzazioni della società civile,
consumatori, sindacati. Veniamo così a scoprire che le politiche
della Banca centrale europea non hanno evidentemente nessun
interesse per cittadini e lavoratori europei.
I risultati? Qualsiasi proposta di regolamentazione va avanti
nel migliore dei casi con il freno a mano tirato, e le legislazioni
in materia finanziaria vengono diluite fino a renderle spesso
totalmente inefficaci. Il mondo finanziario in massima parte
responsabile dell’attuale crisi continua a lavorare indisturbato,
mentre al culmine del paradosso sono Stati e cittadini che la
stessa crisi l’hanno subita a ritrovarsi con il cerino in mano e a
dovere accettare sacrifici e austerità.
La burocrazia europea procede a ritmi impressionanti quando si
tratta di imporre vincoli e controlli, se non una vera e propria
ingerenza, sugli Stati sovrani, i loro conti economici e le loro
politiche. Ma dall’altra parte la bozza di Direttiva sulla tassa
sulle transazioni finanziarie rimane impantanata tra infinite
discussioni e veti incrociati.
La separazione tra banche
commerciali e banche di investimento, che tutti gli studi
riconoscono come un passo essenziale per evitare il ripetersi di
disastri come quello degli ultimi anni, è ancora un vago progetto.
A settembre 2013 il Commissario europeo Barnier annuncia
tranquillamente in un comunicato stampa che «dobbiamo ora
affrontare i rischi posti dal sistema bancario ombra».
Mentre gli
Stati sono sottoposti a un controllo strettissimo, per il
gigantesco sistema bancario ombra che si muove al di là di
qualsiasi regola o controllo, a cinque anni dal fallimento della
Lehman Brothers e oltre sei dallo scoppio della crisi, la
Commissione, bontà sua, dichiara che è tempo di mostrare un qualche
interesse.
Se le istituzioni europee avessero dimostrato verso il
gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi
solo una frazione dell’impegno messo per imporre sacrifici
e austerità a chi ne ha pagato le conseguenze, probabilmente oggi
i cittadini europei starebbero leggermente meglio. In una recente
intervista, Luciano Gallino ricorda che «il paradosso è che la
crisi, fino all’inizio del 2010, è stata una crisi delle banche.
Poi
è iniziata una straordinaria operazione di marketing: si è fatta
passare l’idea che il problema fossero i debiti pubblici degli
stati». Da oggi riusciamo a capire un po’ meglio con quali mezzi
e risorse tale straordinaria operazione di marketing sia stata
e continui ad essere realizzata.
(Il rapporto integrale
è disponibile su: http://corporateeurope.org)
Andrea Baranes
Fonte: http://ilmanifesto.it
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