PROF. CLAUDIO MOFFA - COFAUTORE DEL MANIFESTO "AI 2 laghi"
Ma non basta uscire dall'euro ... la grande madre di
tutte le battaglie è la statizzazione dell'emissione monetaria
L’onda
antieuro è in crescita, e non solo per effetto della vittoria di Marine Le Pen
in Francia: si diffonde la coscienza nei media e nel paese che così non si può
andare avanti, è bloccata l’economia, aumenta la disoccupazione, le famiglie
non arrivano a fine mese. Dunque via dall’euro: il ritorno alla lira
rappresenterebbe infatti un modo di uscire dalla pestifera gabbia della BCE,
che ha distrutto e sta distruggendo l’economia reale italiana. MA…
Ma
il fatto è che uscire dall’euro non basta, e come in caso di permanenza nell’eurozona sarà necessario rivedere
radicalmente il Trattato dell’Unione Europea per fare della BCE una banca degli
Stati europei sotto il controllo dei Governi europei, così a livello nazionale
occorrerà accompagnare la fuoriuscita dall’euro con una legge sintetica e
efficace che disponga il controllo dell’emissione e della politica monetaria da
parte dello Stato, secondo le indicazioni di tanti economisti, tra cui il poco
citato Premio Nobel Maurice Allais.
Questo
obiettivo rappresenterà la vera svolta radicale della transizione, l’unica
capace di bloccare la spirale del Debito grazie alla riacquisizione del reddito
da ‘signoraggio’, fenomeno ieri negato a lungo da presunti ‘esperti’ ed oggi, a
fronte della sua innegabilità, piuttosto non citato e discusso, tranne lodevoli
eccezioni, sui grandi media.
Una
svolta radicale, dunque, ma – questo va sottolineato - non una ‘rivoluzione’
dai contorni utopici e astratti come alcuni vorrebbero far credere.
Tre
motivi sostanziali, infatti, rendono la proprietà e il controllo statale
della Moneta una misura assolutamente razionale, e da questo punto di vista
moderata e largamente condivisibile da tutte le forze politiche
il
primo è che la fine del gold standard (sia pure non generalizzata e in parte
solo nominale: vedi la richiesta di oro-garanzia della Cina alla FED; e vedi soprattutto
il dilagare di compro-oro anche nel nostro paese) fa sì che la moneta possa e debba
essere ancorata al Lavoro dei cittadini del Territorio-Stato in cui essa viene
emessa e primariamente circola.
Dunque è lo Stato, in quanto rappresentante
del Popolo, a doversi assumere il Diritto-Dovere di emettere banconote e monete,
da una parte rappresentative della ricchezza nazionale già acquisita, e
dall’altra – se in parziale sforamento di questo principio di base –
finalizzate alla realizzazione di progetti di sviluppo (grandi opere,
incentivazione dell’occupazione, etc.) a loro volta capaci di promuovere o rimettere
in moto l’economia nazionale.
Il
secondo motivo è che l’Italia ha già goduto di sovranità monetaria, dal 1936 al
1992. La Storia, dunque, è dalla nostra parte: nel 1936 la Banca d’Italia, già beneficiata nel 1926 del monopolio
dell’emissione di lire fino allora appannaggio di una pluralità di banche
private ereditate dalla fase preunitaria, perse la sua natura privatistica e
venne trasformata in “ente di diritto pubblico” di nome e di fatto, un
istituto cioè dotato di un capitale azionario prevalentemente pubblico.
Dopo la
caduta del fascismo, i padri costituenti sussunsero la nuova struttura della
Banca centrale, ed anzi secondo alcuni studi, ne rafforzarono il controllo
governativo. Fu solo nel 1992 che il governo Amato pose fine al carattere
pubblico della Banca d’Italia, sull’onda della campagna mediatico-giudiziaria
di Tangentopoli.
Il
1992 fu se non il peggiore, uno degli anni peggiori della storia della
Repubblica, cadenzato in una serie di tappe letali per la sovranità nazionale: il 2 giugno, il cosiddetto ‘seminario sulle
privatizzazioni’ sul Panfilo Britannia, sotto la minaccia simbolica ma non per
questo non grave della corrazzata inglese Battleaxe; l’11 luglio, il decreto
333 di Amato, che privatizzando l’intera industria di stato privatizzava anche
le BIN-banche di interesse nazionale interne all’Istituto di emissione
centrale; a settembre, la svalutazione della lira ad opera di George Soros; infine,
il 7 dicembre il sì del Parlamento al Trattato di Maastricht.
Tutti passi che
anticipavano e davano il via libera all’attuale degrado economico, istituzionale,
culturale dell’Italia. Oggi la Banca d’Italia – forse alcuni Rettori non lo
sanno – è privata, come denuncio’ nel 2004 Famiglia
Cristiana
Il
terzo motivo, infine, è che il controllo statale dell’emissione e della politica
monetaria non ha nulla dello ‘statalismo’, ed è sempre stata sostenuta da
esponenti liberali. I Presidenti
americani Thomas Jefferson, Abrahm Lincoln, John Kennedy; l’industriale Henry
Ford, il Primo ministro canadese William King Mackenzie, il nostro Alcide De
Gasperi, Maurice Allais, Raymond Aron –
per citarne alcuni – non furono certo dei sostenitori di un ‘socialismo totale’
o, dopo il 1917, dei ‘bolscevichi’ desiderosi di nazionalizzare assurdamente
tutto il sistema economico.
Al contrario, essi capirono – da veri liberali e
da saggi economisti - che la statalizzazione dell’emissione monetaria, lungi
dall’essere una misura statalista e totalitaria, era la premessa necessaria
non solo della democrazia, non solo della costruzione e difesa dello Stato
sociale, ma anche dello sviluppo della libera impresa. Una misura
necessaria e equilibrare la sfera finanziaria oggi egemone e la sfera
produttiva, oggi soccombente di fronte all’egoismo e allo strapotere del
sistema bancario privato.
Liberismo
finanziario e liberismo d’impresa sono progetti opposti. Il liberismo
finanziario costituisce la morte della libera impresa, come ha dimostrato il
vergognoso ‘regalo’ di 419 miliardi di euro della BCE alle banche private, nel
dicembre 2011, mentre a migliaia chiudevano le imprese italiane, e la disoccupazione
aumentava fino al livelli mai toccati fino ad allora.
Anche
in questo caso dunque, in positivo e negativo, la storia è dalla nostra
parte. Occorre riprendersi la sovranità monetaria: o ri-nazionalizzando la
Banca d’Italia, al prezzo però di lunghe trattative; o sostituendo la Banca
d’Italia con altro Istituto statale di emissione monetaria, ex novo o
attraverso la nazionalizzazione anche di una sola banca già esistente; o
affidando direttamente allo Stato e al Tesoro l’emissione di banconote tramite
la Zecca di Stato.
Anche qui la Storia è dalla nostra parte: perché questo tipo
di emissione monetaria – alternativo a quello gestito da Banche private o
pubbliche – attraversa tutta la Storia dell’Italia unitaria, dalla Monarchia al
Fascismo alla Repubblica. Sono i “Biglietti di Stato a corso legale”, già
presenti in epoca monarchica e fascista, e in quella repubblicana, durante i
governi De Gasperi e Moro. Recuperne la memoria è utile alla riconquista
della sovranità monetaria, la grande madre di tutte le battaglie per uscire
dalla crisi.
Claudio
Moffa
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Assolutamente sacrosanto. Rimane però il problema di far capire a milione di teste di "dura cervice" che la Sovranità non comporta necessariamente il ritorno del Re e neppure del Duce, nè, come saggiamente espone Moffa, la castrazione della libera Impresa, quando ci si riferisca ad Aziende ed Imprese con la Maiuscola, che creano ricchezza reale, e non giochino al "Monopoli" con la finanza.
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