L'informazione un bene pubblico per legge
come l'acqua? Ecco come si può fare
Tra democratizzazione e sovranità, la rivoluzione della Ley Orgánica de Comunicación ecuadoriana
di Fabrizio Verde
«I risultati della Ley de Comunicación sono molto positivi, sono davvero contento di questa legge»,
con queste parole il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha promosso a
un anno dall'entrata in vigore la «Ley Orgánica de Comunicación».
Una
legge con cui l'Ecuador ha rivoluzionato il campo della comunicazione, stabilendo che l'informazione è un bene pubblico, al pari dell'acqua.
Riforma fortemente voluta dal presidente per scardinare un sistema
imperniato su quello che Chavez definiva in maniera molto efficace il
«latifondo informativo commerciale» - basti pensare che al 2006 anno
della prima elezione di Correa i privati detenevano il 97% delle
frequenze radiotelevisive - e volta a favorire la nascita di nuove forme di democrazia nell'ambito della comunicazione.
Così come stabilisce la Legge Fondamentale ecuadoriana – una delle più avanzate al mondo – che prevede il diritto di partecipazione ai processi di comunicazione e il diritto per i cittadini a ricevere una buona informazione.
La costituzione del paese andino prescrive inoltre che accanto ai
settori pubblico e privato, cresca un terzo polo no profit, definito
«comunitario», il quale deve svilupparsi su di un piano di assoluta
parità rispetto al pubblico e al privato.
Con lo Stato che opera per
concretizzare la crescita e il rafforzamento del polo comunitario,
sostenendolo attraverso crediti agevolati per l'acquisto di attrezzature
ed esenzioni dalle imposte.
Ragion per cui la Ley Orgánica de Comunicación ecuadoriana ha
lo scopo di «sviluppare, proteggere e regolare, l'esercizio dei diritti
alla comunicazione stabiliti costituzionalmente». Come recita
il primo articolo.
In base a questo assunto la nuova disposizione di
legge prevede (art. 106) la revisione delle frequenze concesse – in
primis le numerose illegalmente assegnate - che attualmente vengono così
ripartite: 34% ai media comunitari, 33% media pubblici, 33% media
privati.
Al contempo l'articolo 113 impedisce che una persona fisica o giuridica possa accumulare o concentrare concessioni di frequenze.
Insomma, una concezione realmente democratica del sistema informativo:
non più basato sul profitto, che scongiura la concentrazione della
proprietà dei media nella mani di pochi, un sistema finalmente non più
asservito agli interessi privati e dell'imperialismo.
Di norma avvezzo
alla calunnia più che all'informazione, come avveniva allorquando
imperversava il cupo dominio neoliberale. Come sperimentato dallo stesso
Correa sulla sua pelle nel 2010 in occasione del fallito golpe ordito
dall'opposizione.
Per questo motivo il presidente ecuadoriano, riflettendo sulla nuova
legge ha commentato: «Così come abbiamo il diritto di controllare il
potere politico e quello economico, abbiamo altresì il diritto di
controllare il potere mediatico».
Risulta lampante a prima vista come la Ley Orgánica de Comunicación rifletta nel mondo della comunicazione il bisogno impellente di democratizzazione
già in atto nella società ecuadoriana profondamente trasformata negli
ultimi sette anni, segnati da quel processo di radicale trasformazione
politica e sociale denominato Revolucion Ciudadana.
A tal fine la legge prevede che le autorità pubbliche lavorino per
«creare le condizioni materiali, giuridiche e politiche, per raggiungere
e approfondire la democratizzazione della proprietà e l'accesso ai
mezzi di comunicazione, a creare mezzi di comunicazione, produrre spazi
di partecipazione, all'accesso alle frequenze dello spettro
radioelettrico assegnate per i servizi radiofonici e televisivi».
La legislazione voluta da Correa, oltre che sul concetto di democrazia insiste molto anche su quello di sovranità.
Un binomio inscindibile a queste latitudini dove vi sono popoli che
hanno sofferto il dramma del colonialismo dapprima, e la tracotanza
dell'imperialismo in seguito.
Risulta quindi naturale oltre che lungimirante la rivendicazione di sovranità (art. 6) dei mezzi di comunicazione ecuadoriani: «...i
mezzi di comunicazione di carattere nazionale non potranno appartenere
interamente o parzialmente, in forma diretta o indiretta, a
organizzazioni o società straniere domiciliate fuori dallo Stato
Ecuadoriano né a cittadini stranieri, eccetto quelli che risiedono in
maniera regolare nel territorio nazionale».
Un concetto che si riverbera nell'art. 97 dove il legislatore
stabilisce per i media audiovisivi a copertura nazionale l'obbligo di
destinare almeno il 60% della programmazione giornaliera a contenuti di
produzione nazionale. Analogamente (art.98) anche la pubblicità diffusa
in territorio ecuadoriano dev'essere di produzione nazionale.
Fatta eccezione
per quelle campagne internazionali «destinate a promuovere il rispetto e
l'esercizio dei diritti umani, la pace, la solidarietà e lo sviluppo
umano».
Una differenza a dir poco abissale con l'Italia - per citare un esempio
afferente la vecchia Europa in deciso declino - letteralmente invasa da
produzioni nordamericane e anglosassoni.
Dove il settore si trova in
piena crisi, segnato da delocalizzazioni e disoccupazione crescente. Si
calcola che negli ultimi due anni sono stati persi oltre 2500 posti di
lavoro, nella sostanziale ignavia dei governi succedutisi.
Infine l'Ecuador risulta essere il primo stato al mondo ad aver introdotto il divieto per i gruppi bancari e finanziari - dopo un referendum popolare tenutosi nel maggio 2011 - a detenere partecipazioni azionarie o essere proprietari di mezzi di comunicazione.
Al contempo, invece, si allargano i diritti per la cittadinanza che può
organizzare (art. 38) «udienze pubbliche, veedurias, assemblee,
consigli comunali popolari, osservatori, o altre forme organizzative,
per influenzare la gestione dei mezzi di comunicazione e sorvegliare sul
pieno compimento dei diritti alla comunicazione da parte di qualunque
mezzo di comunicazione».
Dunque, al netto delle sciatte critiche alla legge rilanciate in maniera acritica dal circuito mainstream, l'Ecuador introduce nel campo dell'informazione e della comunicazione elementi di controllo popolare e democrazia diretta.
Per evitare che, come troppo spesso è accaduto in passato, il circuito
mediatico invece di adempiere al proprio lavoro d'informazione, si
faccia strumento di poteri oscuri.
la libertà non ha prezzo!!!!
RispondiEliminaPerfettamente d'accordo con +Fabio Ripamonti, purtroppo nella penisola chiamata italia (i minuscola appositamente scritta) la libertà ha tariffe ben precise ed il 95% degli ex cittadini (ora mandrie docili da macello) non può permettersi queste tariffe e si beve come verità le fandonie che ci propinano quotidianamente .........
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