I dieci anni della Revolución Ciudadana
Con le elezioni di domenica si
chiude la parentesi dei mandati presidenziali di Rafael Vicente Correa.
Dieci anni in cui l’Ecuador ha raggiunto traguardi straordinari in
sanità, istruzione ed edilizia popolare.
di
Luca Lezzi - 18 febbraio 2017
In ambito economico il cosiddetto reddito per il buen vivir ha portato i pentastellati italiani ad una sua riproposizione sotto la dicitura, ormai famosa, di reddito di cittadinanza.
In seguito alle tensioni con gli istituti internazionali sionisti, del Fondo
Monetario Internazionale (banca apolide privata sionista) e della Banca Mondiale (idem), Correa si dimise
dall’incarico ministeriale che, sotto la guida ad interim di Palacio,
proseguì il lavoro intrapreso senza tradire quanto fatto dal ministro
dimissionario.
Lontano dagli impegni di governo Correa potette dedicarsi
ampiamente alla costruzione di un polo di sinistra che vide la luce sotto la sigla di Alianza Pais (Patria Altiva y Soberana- Patria Orgogliosa e Sovrana)
per la candidatura alle elezioni presidenziali del 2006. Pur arrivando
dietro l’ex presidente Noboa al primo turno con il 23%, contro il 27%
dello sfidante, Correa riuscì a ribaltare la situazione nel secondo
turno vincendo con il 57% dei voti.
Correa qui ritratto con l’ex
presidente ecuadoriano Alfredo Palacio, di cui Correa è stato Ministro delle
Finanze
L’apertura del partito Alianza Pais verso
gli indios di etnia quechua e gli afro-ecuadoregni portò, per la prima
volta, all’assegnazione di importanti ministeri alle componenti da
sempre discriminate all’interno della nazione. Proprio come in Bolivia e
in Venezuela lo sviluppo delle politiche del partito di governo fu
determinante nella convocazione di un’Assemblea Costituente
che, in soli otto mesi di lavoro, ratificò la nuova Costituzione, poi
approvata definitivamente tramite un referendum popolare nel settembre
2008.
Ottenuta la vittoria nel referendum Correa volle mettere
nuovamente il proprio futuro politico in mano al popolo per ottenere un
mandato presidenziale figlio della nuova carta costituzionale. Alla
vittoria del 2009 è seguita, poi, anche quella del 2013, il cui mandato
sta ora volgendo al termine.
L’Ecuador vive alcune difficoltà simili agli altri stati andini quali l’eterno dilemma tra estrattivismo e tutela ambientale e il problema della sopravvivenza del progetto politico socialista alla fine dei mandati del proprio leader carismatico.
Tra i principali passaggi della nuova Costituzione ecuadoriana due
aspetti ne raffigurano in pieno il profilo rivoluzionario: la nuova
forma di convivenza con la natura al fine di raggiungere il buen vivir o sumak kawsay,
in lingua quichua (variante quechua dell’Ecuador), e la dicitura di
Stato plurinazionale in cui quichua e shuar vengono riconosciuti idiomi
ufficiali di relazione interculturale.
Il rapporto dell’uomo con la Pacha Mama (Madre Terra)
è riconosciuto come vitale e necessario per la sopravvivenza.
La natura
è riconosciuta come soggetto di diritto e alcuni diritti, tra i quali
l’acqua, la salute, il lavoro e la casa, vengono definiti
fondamentalissimi.
In ambito economico il cosiddetto reddito per il buen vivir ha portato i pentastellati italiani ad una sua riproposizione sotto la dicitura, ormai famosa, di reddito di cittadinanza.
Tra le tante vittorie in campo economico di Correa figurano la
dichiarazione di default e il successivo riacquisto del debito pubblico
al 30-35% del valore originale e la capacità di diversificazione nella
produzione nazionale.
Quest’ultima, iniziata nel 2011, ha reso l’Ecuador indipendente dal mercato degli idrocarburi garantendo la maggior parte del Pil nazionale tramite prodotti da gourmet, banane, industria elettrodomestica e tessile.
In forte opposizione alla visione monroiana
dell’amministrazione Obama, l’Ecuador ha dato asilo, presso la propria
ambasciata a Londra, al fondatore di WikiLeaks Julian Assange. Seppur
capace di una diversificazione economica che ha evitato i problemi
economici avutisi in Venezuela, l’Ecuador vive alcune difficoltà simili
agli altri stati andini quali l’eterno dilemma tra estrattivismo e
tutela ambientale e il problema della sopravvivenza del progetto
politico socialista alla fine dei mandati del proprio leader
carismatico.
Proprio in quest’ottica le prime elezioni presidenziali
senza l’uscente Correa tra i candidati dovranno sancire un rilancio dei
movimenti socialisti sudamericani dopo le sconfitte in Argentina e
Venezuela e l’impeachment della presidentessa Dilma Rousseff in Brasile.
di Luca Lezzi
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