L'irredentismo corso
Con
il Trattato di Versailles, firmato dai rispettivi plenipotenziari il 15
maggio 1768, la Repubblica di Genova offrì la riottosa e fiera isola di
Corsica al Regno di Francia, come garanzia per i debiti contratti con
Parigi pari a due milioni di lire genovesi. La situazione politica
dell’isola, al momento del passaggio di consegne, era in piena
ribellione contro l’occupazione genovese, che continuò anche peggio contro i
francesi, guidati dal grande patriota Pasquale Paoli.
L’anelito indipendista fu schiacciato con la battaglia di Ponte
Nuovo, tra l’8 e il 9 maggio 1769, dai francesi, che in seguito alla
vittoria occuparono tutta la Corsica, ma ciononostante non riuscirono a
troncare i radicati e plurisecolari rapporti commerciali e culturali con
la Penisola italiana.
Il decreto di riunione della Corsica alla Francia, ultimo atto
dell’annessione francese verso l’isola del Mediterraneo, avvenne il 30
novembre 1789.
L’italianità era però molto forte, tanto che il filologo e
storico Niccolò Tommaseo, in collaborazione con il magistrato e poeta
di Bastia Salvatore Viale, tra gli anni '30 e '40 dell’800 studiò il
vernacolo corso, influenzato dalla Toscana, definendolo come il più puro
dei dialetti italiani. Per tutto il resto del secolo vi fu una sorta di
divisione degli ambiti linguistici: il vernacolo corso venne
considerato adatto solo a soggetti giocondi, farseschi, popolareschi,
mentre per i soggetti più seri la scelta ricadeva sull'italiano.
Il cambiamento di rotta francese avvenne con Napoleone III e la sua
francesizzazione che comportò l’imposizione della lingua, delle leggi e
dei costumi francesi. Si arrivò addirittura al mancato riconoscimento
dei titoli di studio rilasciati dalle Università italiane.
Diversi
garibaldini e patrioti italiani erano di provenienza corsa, come per
esempio Leonetto Cipriani di Centuri che terminò la sua folgorante
carriera politica e militare diventando senatore del Regno d’Italia.
Dopo la prima guerra mondiale, l’ambito dell’italianità isolana andò
peggiorando a causa della politica sciovinistica francese che pretendeva
di annullare ogni riferimento culturale italiano della Corsica,
scardinando di pari passo anche i legami politici e commerciali.
Fù in
questo contesto che nacque, per reazione, in Corsica un appassionato
movimento irredentista che si diffuse in tutta la popolazione ed in
tutti gli strati sociali.
La situazione economica, già precaria, era diventata disastrosa:
molti corsi furono costretti ad emigrare, a fare delle scelte di campo.
Chi si appoggiò alla Francia riuscì a trovare un lavoro
nell’amministrazione e nell’esercito coloniale francese, chi vedeva un
futuro, per l’isola, nell’Italia, come molti intellettuali, si recarono a
studiare e a lavorare in Italia. In Corsica, nel frattempo si
verificarono continui, meschini scontri tra clans, tra “parrocchie”
autonomiste e gruppetti codini di vecchi pensionati dell’impero
coloniale francese, per la spartizione di quote locali di potere.
Con l’avvento di Mussolini al potere crebbe, in Italia, l’interesse
per i territori di cultura e lingua italiane ancora non riuniti a Roma,
come per esempio Corsica e Malta. In contemporanea crebbe in Corsica e
nelle altre zone irredente un sentimento fortissimo favorevole a Roma,
avvantaggiato peraltro dalle conquiste sociali del Regime.
Quotidiani come Il Telegrafo di Livorno e L’Isola di Sassari, tra
gli altri, che pubblicavano settimanalmente una pagina riguardante la
vita corsa. Contemporaneamente fiorirono riviste a carattere
spiccatamente còrso e irredentista, come: Corsica antica e moderna, di
Francesco Guerri, nome di battaglia, “Mimmo Grosso”, e L’idea còrsa,
diretta da Anton Francesco Filippini. Uno tra i primi intellettuali
corsi favorevoli all’Italia fu Petru Rocca, nato a Vico il 28 settembre
1887. Dopo aver partecipato alla Prima Guerra Mondiale, fondò, nel 1920,
la rivista A Muvra, organo di informazione del Partitu Corsu d’Azzione
(PCdA).
Questo partito nel 1927 fu rinominato Partitu Corsu Autonimistu la
cui costituzione voleva scrivere Rocca con l’obiettivo di una resistenza
corsa verso la Francia. Avendo preso una forte impronta antifrancese
nel 1939 il partito fu bandito nel 1939 con l’accusa di aver collaborato
con Mussolini. La già ricordata rivista A Muvra esponeva in
continuazione l’obiettivo fisso dei suoi redattori: l’unione della
Corsica all’Italia. Altri patrioti furono Petru Giovacchini, Marco
Angeli e Bertino Poli, i quali fondarono nei primi anni Trenta i Gruppi
di Azione Corsa, allo scopo di svolgere attività culturale e politica
per l'annessione della Corsica al Regno.
Mentre i primi due trattavano
argomenti vari e letterari, Poli espresse un contenuto più politico con
opere come Il pensiero irredentista còrso e le sue polemiche, pubblicato
a Firenze nel 1940, e A Corsica di dumani, pubblicata a Livorno nel
1943. Quello che però aderì più concretamente e fattivamente al
fascismo e che riscosse quindi maggiore apprezzamento presso le autorità
italiane fu Petru Giovacchini.
Questi nacque a Canale Verde il primo gennaio 1910 da un’antica
nobile famiglia, italiana per cultura, sentimenti, tradizioni. I suoi
antenati si erano sempre battuti per l’italianità della Corsica. Simeone
Giovacchini, fatto prigioniero durante i primi moti antifrancesi, morì
nella fortezza di Tolone senza mai aver rinnegato i suoi ideali di
libertà dallo straniero pinzutu francese.
Un altro antenato, Anghieluvisu, partecipò
attivamente al Risorgimento italiano come capo dei Pennuti, i Carbonari
corsi. Petru Giovacchini si trasferì a Bastia per studiare al Liceo
Nazionale, e si dice che già da adolescente collaborasse a periodici
riguardanti l’autonomismo corso. Nel 1927, avendo deciso di dover
scrivere su un settimanale risolutamente irredentista, fondò il
Primavera, che però venne presto sequestrato comportando per Giovacchini
l’espulsione dal liceo.
Nei due anni successivi pubblicò due raccolte
di canti patriottici dialettali: Musa casalinga e Rime notturne. Nel
1930 si iscrisse alla Facoltà di Medicina presso l’Università di Pisa,
ma, essendo poi tornato in Corsica per assistere il padre gravemente
ammalato, fu costretto a prestare il servizio militare di leva, subendo
persecuzioni e violenze durante la ferma, finita la quale gli venne
negata la possibilità di concludere gli studi in Italia (razzismo dei mangia lumache).
Si trasferì
all’Università di Pavia dove fondò, nel 1933, i Gruppi di Cultura Còrsa
nel novembre dello stesso anno. Ben presto questi gruppi si
trasformarono nei già ricordati Gruppi d’Azione Corsa. Petru Giovacchini
fu volontario in Africa Orientale, arruolato nel 147° battaglione
CC.NN. Fu volontario anche in Spagna, come ufficiale medico della
Milizia, distinguendosi per valore, ottenendo decorazioni ed il
trasferimento in servizio permanente per meriti di guerra.
Quando
l’Italia entrò in guerra, 10 giugno 1940, Petru chiese di combattere in
prima linea per la liberazione della Corsica dal giogo francese, ma il
Comando Generale della Milizia ritenne che sarebbe stato molto più
producente sfruttare le sue abilità dialettiche nel campo della
propaganda. La dichiarazione di guerra alla Francia e la conquista della
Corsica da parte delle truppe italiane, dettero speranza agli
irredentisti, ma Mussolini rinviò la formalizzazione dell’annessione
alla fine della guerra, per non inimicarsi la Francia di Vichy. Nel 1942
fu proposto come Governatore della Corsica non appena fosse terminato
l’immane conflitto bellico.
Nel febbraio 1943, in Sardegna, fu costituito un Battaglione Corso,
inquadrato nella 73^ Legione Camice Nere. Questo episodio rappresentò il
culmine della collaborazione tra corsi e italiani.
Dopo l’8 settembre,
ancor prima della rioccupazione della Corsica da parte delle truppe
golliste, fu sequestrato dai partigiani locali e in seguito condannato a
morte il colonnello Petru Simone Cristofini, con l’accusa di aver
collaborato con le autorità italiane e tedesche presenti sull’isola e
per aver fornito informazioni sulla resistenza locale.
Venne fucilato ad
Algeri nel novembre 1943, dopo che il colonnello ebbe tentato il
suicidio lanciandosi da una finestra del tribunale al quarto piano. Sua
moglie, Marta Renucci, prima donna in Corsica a fare la giornalista, fu
condannata a cinque anni di reclusione, che dovette scontare nelle
carceri di Algeri, i beni dei coniugi vennero confiscati, come prassi degli imperialisti assassini francesi.
Con le stesse
accuse furono condannati a morte il colonnello Pantalacci ed il figlio
Antoine, che però riuscirono a fuggire in tempo in Italia. Un altro
colonnello, Pascal Mondielli, fu condannato all’ergastolo per
collaborazionismo. Dopo l’otto settembre, Petru Giovacchini affidò
l’organizzazione irredentista a Giuseppe Mastroserio e si trasferì al
Nord per arruolarsi nella Rsi insieme agli amici Angeli e Poli. Non
tornarono più in Francia, pendendo sulla loro testa la pena di morte.
La Corte di Giustizia di Bastia, nell’autunno del 1946, condannò a
morte in contumacia Giovanni Luccarotti, un lontano discendente di
Pasquale Paoli, Pietro Luigi Marchetti, giornalista, Bertino Poli, Marco
Angeli e Petru Giovacchini, tutti latitanti, rifugiati in Italia, dove
vivevano in semiclandestinità per evitare la giustizia francese. A
pesanti pene detentive furono condannati altri imputati: Petru Rocca a
quindici anni di lavori forzati, deportato alla Guiana; Yvis Croce,
conservatore degli archivi di Stato della Corsica a cinque anni di
lavori forzati; don Domenico Parlotti, canonico della cattedrale di
Bastia e scrittore dialettale a dieci anni di reclusione, morì in
carcere; don Giuseppe Damiani, direttore didattico a cinque anni di
lavori forzati. Insomma il genocidio razzista francese sui corsi.
Risultarono condannate anche due donne: Margherita
Ambrosi, vedova del poeta Piazzoli che aveva esaltato l’Italia a cinque
anni di reclusione e Maria Rosa Alfonsi, giovane parrucchiera di
Ajaccio, in contumacia a cinque anni di lavori forzati. Fu condannato a
due anni di reclusione Angelo Giovacchini, fratello di Petru.
Tutti
furono ritenuti colpevoli di aver attentato alla sicurezza nazionale. I
loro beni vennero confiscati, eccezion fatta per Angelo Giovacchini.
Mentre il sindaco di Pastricciola, Marco Leca, venne condannato alla
degradazione nazionale.
La repressione francese, seguita alla vittoria degli eserciti
alleati, fu durissima; ogni movimento autonomista fu soppresso. Si
volle proibire e annullare ogni ricorso alla lingua italiana e perfino
al dialetto còrso. Gli alunni delle varie scuole, quando venivano
sorpresi a parlare in dialetto, venivano espulsi e finanche percossi. Fu
una repressione feroce.
Persino la Chiesa cattolica, che aveva fino
allora sempre adoperato l’italiano nelle omelie, nelle prediche, nelle
comunicazioni ufficiali, fu costretta ad usare il francese sotto la
minaccia di arresti e di persecuzioni. Gli irredentisti, poi, vennero
perseguitati accanitamente, braccati, arrestati, processati, condannati,
deportati.
La francesizzazione dell’isola venne perseguita con una vera
e propria colonizzazione imposta con l’insediamento di coltivatori
francesi profughi dall’Algeria,e non solo, i famosi Pieds Noirs ai quali
furono concessi i migliori terreni demaniali dell’isola.
Venne favorita
anche la speculazione turistica straniera ed infine, per coronare
l’opera, fu trasferita la Legione Straniera a Corte. Queste manovre di
carattere neocoloniale hanno, credo, snaturato completamente il quadro
etnico della Corsica.
deca
quanti corsi conoscono i dettagli della loro storia?
RispondiEliminaGli uomini chi sarebbero i corsi?. Ma ci facciano il piacere direbbe il comico Totò. Tranne per pochi e veraci corsi filoitaliani che hanno pagato con il sangue o l' internamento , la maggioranza degli isolani sono ipocriti ,ormai giacobini di cervello , inaffidabili pronti a vendersi ai burocrati d' oltralpe e al degoullismo
RispondiElimina