Le note in corsivo sono di Philip K. Dick. L'anno di
composizione appare fra parentesi, alla fine della nota stessa.
La data che segue il titolo del racconto è quella in cui il manoscritto
è stato ricevuto dall'agente di Dick, secondo gli archivi dell'Agenzia
letteraria Scott Meredith.
L'assenza di data significa che non esiste alcuna
indicazione cronologica. Il nome di una rivista seguito dal mese e dall'anno indica
la prima pubblicazione su rivista del racconto.
Un titolo alternativo riportato di seguito a quello del
racconto indica il titolo originariamente scelto da Dick, come riportato negli
archivi dell'Agenzia.
THE DAYS OF PERKY PAT («In the Days
of Perky Pat») 18/04/1963; Amazing, dic. 1963
L'ispirazione per «The Days of Perky Pat» mi venne in
un lampo quando vidi le mie bambine giocare con le bambole Barbie. Capii subito
che evidentemente queste bambole così sviluppate anatomicamente non erano fatte
per i bambini o, per essere più precisi, non avrebbero dovuto. Barbie e Ken erano
due adulti in miniatura. L'idea era che fosse necessario l'acquisto di
innumerevoli nuovi vestiti se si voleva che Barbie e Ken mantenessero il tenore
di vita cui erano abituati.
Ebbi delle visioni di Barbie che veniva nella mia
camera da letto di notte e mi diceva: «Ho bisogno di una pelliccia di visone.»
O, ancora peggio: «Ehi, gigante… vuoi un passaggio a Las Vegas con la mia
Jaguar XKE?»
Temevo che mia moglie mi trovasse insieme a Barbie e
mi sparasse.
La vendita di «The Days of Perky Pat» ad Amazing fu un buon
affare perché a quei
tempi Cele Goldsmith era editor di Amazing ed era uno dei migliori editor del
settore. Avram Davidson di Fantasy & Science
Fiction l'aveva rifiutato, ma successivamente
mi disse che se avesse saputo delle bambole Barbie probabilmente l'avrebbe
comprato.
Non riuscivo ad immaginare che qualcuno potesse
ignorare l'esistenza della bambola Barbie. Dovevo fare costantemente i conti
con lei e con i suoi costosi acquisti. Era come il problema di far funzionare
il mio televisore: aveva sempre bisogno di qualcosa, e così anche Barbie.
Ho sempre pensato che Ken si dovesse comprare i
vestiti da solo.
A quei tempi - i primi anni Sessanta - scrivevo molto, ed alcuni dei
miei racconti e romanzi migliori provengono da quel periodo. Mia moglie non mi
faceva lavorare in casa, per cui presi in affitto una piccola baracca per 25
dollari al mese e ci andavo a piedi tutte le mattine.
Si trovava in campagna.
Recandomi lì vedevo alcune mucche al pascolo e il mio
gregge di pecore che non faceva altro che arrancare dietro la pecora con il
campanaccio. Mi sentivo terribilmente solo, chiuso nella mia baracca tutto il
giorno.
È possibile che sentissi la mancanza di Barbie, che
si trovava nella casa grande con i bambini. Per cui, forse «The Days of Perky
Pat» è la soddisfazione fantastica di un mio desiderio: mi sarebbe piaciuto
molto vedere Barbie - o Perky Pat o Connie - affacciarsi alla porta della mia
baracca.
Si affacciò invece qualcosa di terribile: la visione
del volto di Palmer Eldritch, che divenne la base del romanzo Le tre stimmate di Palmer Eldritch, che nasce dal racconto di Perky Pat.
Un giorno mentre camminavo per la campagna verso la
mia baracca, non vedendo l'ora di cominciare le mie otto ore filate di
scrittura, in isolamento totale da tutti gli altri esseri umani, guardai in
alto nel cielo e vidi un volto.
Non lo vidi veramente, ma il volto era lì, e non era
un volto umano; era il grande volto del male assoluto. Mi rendo conto ora (e
soltanto vagamente all'epoca) cosa fu a provocare quella visione:
i mesi di isolamento, di privazione di ogni contatto
umano, in effetti, di vera e propria privazione sensoriale… ad ogni modo il
volto non si poteva negare.
Era immenso; riempiva un quarto del cielo. Al posto
degli occhi aveva delle vuote fessure - era metallico e crudele e, cosa
peggiore di tutte, era Dio.
Andai in auto alla chiesa, la Chiesa Episcopale di
Santa Columbia, e parlai con il mio prete. Lui giunse alla conclusione che
avevo avuto un'intuizione di Satana e mi diede l'unzione - non l'estrema
unzione; solo un'unzione per guarire.
Non mi fece alcun effetto; il volto metallico nel
cielo rimase.
Anni dopo - avevo scritto ormai da molto tempo The Three Stigmata of
Palmer Eldritch e
l'avevo venduto a Doubleday, il mio primo romanzo venduto a Doubleday - mi
imbattei in un'immagine di quel volto in un numero della rivista Life.
Era, semplicemente, una cupola di osservazione
costruita dai francesi sulla Marna durante la prima guerra mondiale.
Mio padre aveva combattuto nella Seconda Battaglia della Marna; era
stato con il Quinto Marines, uno dei primi gruppi di soldati americani a sbarcare
in Europa e a combattere in quella guerra terribile.
Quando ero un ragazzino molto piccolo, lui mi aveva
mostrato la sua uniforme e la sua maschera antigas, l'intero equipaggiamento di filtraggio, e mi
aveva raccontato di come i soldati si facessero prendere dal panico durante gli
attacchi con il gas, quando il carbone dei loro sistemi di filtraggio diventava
saturo, e di come a volte un soldato impazzisse, si togliesse la maschera e si
mettesse a correre.
Da ragazzino mi riempiva d'angoscia ascoltare i
racconti di guerra di mio padre e guardarlo mentre giocava con la maschera
antigas e l'elmetto; ma quello che mi impauriva di più era quando si metteva la
maschera.
Il suo volto scompariva. L'essere che avevo davanti
non era più mio padre. Non era più nemmeno un essere umano. Io avevo solo
quattro anni. Poi mia madre e mio padre divorziarono e io non lo rividi per
anni. Ma la visione di lui che indossava la maschera antigas, insieme ai suoi
racconti di uomini con le budella penzoloni, uomini distrutti dallo shrapnel…
Qualche decennio dopo, nel 1963, mentre camminavo da
solo giorno dopo giorno lungo quella strada di campagna senza qualcuno con cui
parlare, qualcuno che mi facesse compagnia, mi apparve di nuovo quel volto di
metallo, cieco, inumano, ma ora trascendente e vasto, e assolutamente malvagio.
Decisi di esorcizzarlo scrivendone, e ne scrissi, e
quella visione se ne andò. Ma avevo visto il malvagio in volto, e dissi allora
e dico anche adesso: «Il malvagio indossa un volto di metallo.» Se lo volete vedere
anche voi, guardate un'immagine della maschera di guerra dei Greci dell'età
Attica.
Quando gli uomini vogliono ispirare terrore e
uccidere indossano quelle maschere di metallo, i cavalieri cristiani contro cui
combatté Alexander Nevsky indossavano maschere simili: se avete visto il film
di Eisenstein sapete di cosa sto parlando. Sembravano
tutti uguali.
Non avevo visto l'Alexander
Nevsky quando scrissi Le tre stimmate, ma
lo vidi in seguito e mi riapparve la cosa che era apparsa sospesa in cielo nel 1963,
la cosa in cui si era trasformato mio padre quando ero bambino.
Per cui Le tre
stimmate è un romanzo che venne fuori da
potenti paure ataviche presenti in me, paure che risalivano alla mia prima
infanzia e senza dubbio si ricollegavano al mio dolore e alla solitudine quando
mio padre ci abbandonò.
Nel romanzo mio padre appare sia come Palmer Eldritch
(il padre cattivo, il padre-maschera diabolica) che come Leo Bulero,
l'individuo tenero, burbero, caloroso, affettuoso, umano.
Il romanzo che ne scaturì proveniva dalla più grande angoscia possibile; nel 1963 stavo rivivendo l'isolamento originario che avevo provato quando avevo perso mio padre, e l'orrore e la paura espressi nel romanzo non sono sentimenti fittizi elaborati apposta per interessare il lettore; provenivano dalla parte più profonda di me: il desiderio del buon padre e la paura del padre cattivo, il padre che mi aveva abbandonato.
Il romanzo che ne scaturì proveniva dalla più grande angoscia possibile; nel 1963 stavo rivivendo l'isolamento originario che avevo provato quando avevo perso mio padre, e l'orrore e la paura espressi nel romanzo non sono sentimenti fittizi elaborati apposta per interessare il lettore; provenivano dalla parte più profonda di me: il desiderio del buon padre e la paura del padre cattivo, il padre che mi aveva abbandonato.
Trovai nel racconto «In the days of Perky Pat» un
veicolo che potevo tradurre in una base tematica per il romanzo che volevo
scrivere. Ora, capite, Perky Pat è l'eterna seduzione femminile, das ewige
Weiblichkeit - 'l'eterno femminino', per dirla
con Goethe.
L'isolamento generò il romanzo e il desiderio generò
il racconto; per cui il romanzo è un misto tra questa paura di essere
abbandonato e la fantasia della donna bellissima che vi sta aspettando - da
qualche parte, ma Dio solo sa dove; devo ancora scoprirlo.
Ma se te ne stai seduto da solo, giorno dopo giorno,
alla tua macchina da scrivere, sfornando un racconto dopo l'altro e non avendo
qualcuno con cui parlare, qualcuno che ti tenga compagnia, anche se hai una
moglie pro forma e quattro figlie dalla cui casa sei stato espulso,
bandito in una piccola baracca talmente fredda in inverno che l'inchiostro si
congela sul nastro della macchina, be', scriverai di un volto di ferro con fessure
al posto degli occhi e di calde, giovani donne. E così feci.
Le reazioni a Le tre
stimmate furono contrastanti. In
Inghilterra, alcuni recensori lo descrissero come un romanzo blasfemo. Terry
Can, che all'epoca era il mio agente all'Agenzia Scott Meredith, mi disse
qualche tempo dopo: «Quel romanzo è folle» anche se successivamente cambiò
opinione.
Alcuni recensori lo trovarono un romanzo profondo. Io
lo trovo semplicemente terrificante. Non fui in grado di correggerne le bozze
perché mi spaventava a morte.
È un oscuro viaggio nel mistico e nel soprannaturale
e nell'assolutamente malvagio come lo intendevo all'epoca. Diciamo che vorrei
che Perky Pat si affacciasse alla mia porta, una volta o l'altra, ma tremo
all'idea che, quando sentirò bussare, ci sarà Palmer Eldritch fuori ad
aspettarmi, e non Perky Pat.
A essere sinceri, nessuno dei due si è fatto vedere
nei circa diciassette anni che sono trascorsi da quando ho scritto il romanzo.
Suppongo che sia così che va la vita: ciò che temi di
più non si verifica mai, ma lo stesso vale anche per ciò che desideri di più.
Questa è la differenza tra la vita e la finzione.
Suppongo che ci guadagniamo nel cambio. Ma non ne
sono sicuro. (1979) - [Philip Kindred Dick ci lasciò il 2 marzo 1982 a Santa Ana in California]
Le soprastanti note autografe del genio della letteratura mondiale Philip Kindred Dick, il migliore in assoluto tra gli scrittori del genere fantascientifico e forse uno dei migliori scrittori in assoluto, sono tratte dalla raccolta di racconti 'Tutti I Racconti Volume Quarto' (The Collected Stories of Philip K. Dick, 1987) antologia di Urania [che Vi esorto a comprare].
Il sottostante racconto lungo è tratto da PHILIP K. DICK - I GIORNI DI PERKY PAT ed altre storie (2002) - Fanucci Editore, collana Immaginario [che Vi esorto a comprare].
Le soprastanti note autografe del genio della letteratura mondiale Philip Kindred Dick, il migliore in assoluto tra gli scrittori del genere fantascientifico e forse uno dei migliori scrittori in assoluto, sono tratte dalla raccolta di racconti 'Tutti I Racconti Volume Quarto' (The Collected Stories of Philip K. Dick, 1987) antologia di Urania [che Vi esorto a comprare].
Il sottostante racconto lungo è tratto da PHILIP K. DICK - I GIORNI DI PERKY PAT ed altre storie (2002) - Fanucci Editore, collana Immaginario [che Vi esorto a comprare].
I giorni di Perky Pat
Traduzione di Paolo Prezzavento
Alle
dieci del mattino il terribile suono della sirena, a lui familiare, svegliò di
soprassalto Sam Regan, che mandò subito al diavolo il curagazzo di sopra;
sapeva che il baccano era deliberato. Il curagazzo, che volava in cerchio,
voleva accertarsi che anche i casuali - e non solamente gli animali selvaggi -
ricevessero i pacchi-cura che si dovevano sganciare.
Arrivo,
arrivo, disse fra sé Sam Regan mentre chiudeva la cerniera della sua tuta
anti-polvere, calzava gli stivali e si avviava il più lentamente possibile
verso la rampa, molto seccato. Diversi altri casuali si unirono a lui,
mostrando tutti la stessa irritazione.
«Oggi
è decisamente presto» si lamentò Tod Morrison. «E ci scommetto che sono tutti
generi di prima necessità, zucchero, farina e lardo - niente di interessante
come ad esempio le caramelle.»
«Dovremmo
essere riconoscenti» disse Norman Schein.
«Riconoscenti?»
Tod si fermò a guardarlo. «RICONOSCENTI?»
«Sì»
ribadì Schein. «Cosa pensi che avremmo mangiato senza di loro? Se loro non
avessero visto le nubi dieci anni fa?»
«Be',»
disse Tod con fare scontroso «non mi piace che vengano così presto; a dire il
vero proprio non mi interessa che vengano.»
Mentre
appoggiava le spalle contro il parapetto in cima alla rampa, Schein aggiunse
tutto gioviale: «Molto gentile da parte tua, caro Tod. Sono sicuro che i
curagazzi sarebbero contenti di sapere come la pensi.»
Di
tutti e tre, Sam Regan fu l'ultimo a raggiungere la superficie; non gli
piacevano quelli che abitavano di sopra, e non gli interessava se qualcuno lo
venisse a sapere. E comunque, nessuno poteva costringerlo a lasciare l'ambiente
sicuro del Pozzo-di-Fortuna di Pinole; era una decisione che spettava soltanto
a lui, e notò che un certo numero dei suoi compagni casuali avevano scelto di
rimanere sotto nei propri alloggi, sicuri che chi avrebbe risposto alla sirena
avrebbe riportato indietro qualcosa.
«C'è
molta luce» mormorò Tod, socchiudendo gli occhi per il sole.
La
nave-cura balenò sopra di loro, contro il cielo grigio, come se pendesse da un
esile filo. Buon pilota, questa volta, decise Tod. Lui, o piuttosto esso,
lo manovra con comodo, senza fretta. Tod fece cenno alla nave-cura; ancora
una volta si sentì lo strepito dell'enorme sirena, e fu costretto a tapparsi le
orecchie. Ehi, lo scherzo è bello quando dura poco, disse fra sé. Poi la sirena
cessò; il curagazzo aveva rinunciato.
«Fagli
cenno di sganciare» disse Norm Schein a Tod. «Tu hai la bandiera di
segnalazione.»
«Certo»
rispose Tod, e cominciò a sventolare laboriosamente la bandiera rossa, fornita
loro tanto tempo fa dalle creature marziane, avanti e indietro, avanti e
indietro.
Da
sotto la nave sgusciò fuori un proiettile, che aprì subito gli stabilizzatori e
cominciò a scendere con un movimento a spirale sul terreno.
«Merda»
disse Sam Regan con disgusto. «Sono generi di prima necessità; non hanno il
paracadute.» Volse le spalle al proiettile, mostrando in questo modo il suo
disinteresse.
Che
aspetto desolato ha il mondo in superficie questa mattina, pensò, mentre
guardava la scena che si svolgeva intorno a lui. Lì, sulla destra, la casa
incompiuta che qualcuno - non lontano dal pozzo - aveva cominciato a costruire
con il legname salvato da Vallejo, tre chilometri più a nord. Gli animali o la
polvere radioattiva avevano fatto fuori il costruttore, e pertanto il suo
lavoro era rimasto esattamente com'era; non sarebbe mai stato utilizzato. Si
accorse che si era formato un deposito insolitamente pesante dall'ultima volta
che era stato lì, giovedì mattina o forse venerdì; aveva perso l'esatta
cognizione del tempo. La maledetta polvere, pensò. Solo rocce, pezzi di
macerie, e la polvere. Il mondo sta diventando un oggetto sporco di polvere e
nessuno lo ripulisce regolarmente. E tu? chiese silenzioso al curagazzo
marziano che volava in lenti cerchi sopra la sua testa. Non è forse illimitata
la tua tecnologia? Non potresti apparire una mattina con un panno per la
polvere grande un milione di chilometri quadrati e far luccicare di nuovo il
nostro pianeta come nuovo?
O
piuttosto, pensò, come vecchio, così com'era ai 'vecchi tempi',
come li chiamano i bambini. Ci piacerebbe. Visto che stai cercando di aiutarci
in qualche modo, prova a fare questo.
Il
curagazzo fece un altro giro in cerca di segni di scrittura nella polvere: un
messaggio dei casuali di sotto. Scriverò questo, pensò Sam: PORTATE UN PANNO
PER LA POLVERE, RESTAURATE LA NOSTRA CIVILTÀ. Okay, curagazzo?
All'improvviso
la nave-cura sfrecciò, senza dubbio stava tornando a casa, alla sua base su
Luna o forse fino a Marte.
Dall'apertura
del pozzo, da cui erano usciti per primi loro tre, apparve un'altra testa, una
donna. Era Jean Regan, la moglie di Sam, protetta da un cappellino contro il
grigio sole accecante. Con un'espressione accigliata sul volto, chiese:
«Qualcosa di importante? Qualcosa di nuovo?»
«Temo
di no» disse Sam. Il proiettile con il pacco-cura era atterrato e lui si
incamminò in quella direzione, strascicando gli stivali nella polvere. La
testata del proiettile si era rotta nell'impatto e riusciva già a vedere i canestri.
Sembravano 1.500 chili di sale - tanto valeva lasciarlo lì, così gli animali
non sarebbero morti di fame, decise. Si sentiva avvilito.
Come
si preoccupavano i curagazzi. Si preoccupavano costantemente che i generi di
sostentamento venissero trasportati dal loro pianeta sulla Terra. Forse pensano
che stiamo tutto il giorno a mangiare, pensò Sam. Dio mio... il pozzo era pieno
fino all'orlo di cibi immagazzinati. Ma naturalmente era uno dei più piccoli
rifugi pubblici nella California del Nord.
«Ehi»
disse Schein, chinandosi sul proiettile e guardando dentro la spaccatura che si
era aperta sul fianco. «Penso di aver visto qualcosa che possiamo utilizzare.»
Trovò un palo di metallo arrugginito - una volta era servito a rinforzare la
parete di cemento di un edificio pubblico dei vecchi tempi - e lo puntò contro
il proiettile, mettendo in azione il suo meccanismo di rilascio. Il meccanismo
scattò, aprì la parte posteriore del proiettile... ed ecco il contenuto.
«Sembra
che ci siano delle radio in quella scatola. Radio a transistor» disse Tod. Poi,
tirandosi meditabondo la corta barbetta nera, aggiunse: «Fosse possiamo
utilizzarle per introdurre qualche novità nelle nostre composizioni.»
«La
radio ce l'ho già» fece notare Schein.
«Be',
allora costruisci una falciatrice elettronica automatica con i pezzi delle
radio. Quella non ce l'hai, no?» Tod conosceva piuttosto bene la composizione Perky
Pat degli Schein; le due coppie, lui e sua moglie con Schein e la moglie,
avevano giocato parecchio insieme, e si trovavano quasi alla pari per numero di
partite vinte.
Sam
Regan si intromise: «Le radio spettano a me, perché so come utilizzarle.» Alla
sua composizione mancava l'apertura automatica del garage che avevano sia
Schein che Tod; del resto, le loro composizioni erano nettamente superiori.
«Mettiamoci
al lavoro» convenne Schein. «Lasceremo qui i generi di prima necessità e
trasporteremo solo le radio. Se qualcuno vuole i generi di prima necessità, che
se li venga a prendere. Prima che lo facciano gli pseudo-gatti.»
Annuendo,
gli altri due uomini cominciarono a trasportare il contenuto utilizzabile del
proiettile fino all'entrata del pozzo. Per arricchire le loro preziose,
elaborate composizioni Perky Pat.
Seduto
a gambe incrociate con la sua cote, Timothy Schein, un ragazzino di dieci anni
consapevole delle sue tante responsabilità, stava affilando il suo coltello,
lentamente e con mano esperta. Nel frattempo sua madre e suo padre lo
disturbavano litigando rumorosamente con il signore e la signora Morrison, dall'altra
parte del divisorio. Stavano giocando di nuovo a Perky Pat. Come al solito.
Quante
volte al giorno devono giocare a quello stupido gioco? si chiese Timothy. Per
sempre, immagino. Lui non ci trovava nulla di interessante, eppure i suoi
genitori continuavano a giocare. E non erano i soli; sapeva, da quello che
dicevano altri ragazzini, spesso di altri pozzi, che anche i loro genitori
giocavano a Perky Pat gran parte del giorno, e a volte anche la notte.
Sua
madre disse a voce alta: «Perky Pat sta andando dal fruttivendolo, e il
fruttivendolo ha uno di quei meccanismi di apertura con l'occhio elettronico.
Guarda.» Ci fu una pausa. «Vedi, si è aperta per farla entrare, e ora lei è
dentro.»
«Sta
spingendo un carrello della spesa» aggiunse il padre di Timothy, a sostegno
della moglie.
«No,
stai sbagliando» lo contraddisse la signora Morrison. «Lei dà la lista al
fruttivendolo, e il fruttivendolo lo riempie.»
«Si
fa solo nelle piccole comunità» spiegò sua madre. «E questo è un supermarket,
si capisce dalla porta con l'occhio elettronico.»
«Sono
sicura che qualsiasi fruttivendolo aveva la porta con l'occhio elettronico»
disse testarda la signora Morrison, e suo marito si associò subito a lei. Ora
le voci stavano diventando furiose; era scoppiata un'altra lite. Come al
solito.
Andate
tutti a quel paese, disse Timothy fra sé, usando l'espressione più forte che
lui e i suoi amici conoscessero. In fin dei conti, cos'è un supermarket? Provò
il filo del suo coltello - lo aveva ricavato, originariamente, da una pesante
padella di metallo - poi lo lanciò ai suoi piedi. Un momento dopo stava già
correndo lungo il corridoio e bussò, secondo il segnale convenuto, alla porta
dell'alloggio dei Chamberlain.
Fred,
anche lui un ragazzino di dieci anni, venne ad aprire: «Ciao. Sei pronto? Vedo
che hai affilato quel tuo vecchio coltello; cosa pensi che prenderemo?»
«Non
certo uno pseudo-gatto» disse Timothy. «Qualcosa di molto meglio; sono stufo di
mangiare pseudo-gatti. Troppo saporiti.»
«I
tuoi genitori stanno giocando a Perky Pat?»
«Sì.»
Fred
disse: «Mia madre e mio padre sono via da tanto tempo, a giocare con i
Bentley.» Guardò di soppiatto Timothy, e in un istante si ritrovarono d'accordo
nel muto disappunto nei confronti dei loro genitori. Perdio, forse quel
maledetto gioco si stava ormai diffondendo in tutto il mondo; una cosa che non
li avrebbe certo sorpresi.
«Come
mai i tuoi genitori ci giocano?» chiese Timothy.
«Per
lo stesso motivo per cui ci giocano i tuoi» rispose Fred.
Esitante,
Timothy disse: «Be', perché? Non so perché lo fanno; te lo sto chiedendo... tu
lo sai?»
«Ci
giocano perché...» Fred si interruppe. «Chiedilo a loro. Andiamo; andiamo di
sopra e cominciamo la caccia.» Gli brillavano gli occhi. «Vediamo cosa
riusciamo a prendere e uccidere oggi.»
In
breve tempo, salirono su per la rampa, aprirono il coperchio, e stettero
acquattati tra la polvere e le rocce, a guardare l'orizzonte. A Timothy batteva
forte il cuore; gli dava sempre una forte emozione questo istante, il momento
in cui si arrivava di sopra. L'elettrizzante veduta iniziale della distesa di
polvere. Perché non era mai uguale. La polvere, particolarmente pesante quella
mattina, aveva un colore grigio più scuro che mai; sembrava più densa, più
misteriosa.
Qui
e là, coperti da molti strati di polvere, giacevano pacchi sganciati dalle navi
di rifornimento - sganciati e lasciati lì a marcire. Mai reclamati da nessuno.
Notò anche che quella mattina era arrivato un nuovo proiettile. Si riusciva a
vedere quasi tutto il carico all'interno; gli adulti non sapevano cosa farsene
della maggior parte del contenuto.
«Guarda»
disse Fred a bassa voce.
Si
vedevano due pseudo-gatti - cani o gatti mutanti, nessuno lo sapeva per certo -
che stavano annusando il proiettile. Attratti dal suo contenuto non reclamato.
«Non
ci interessano» obiettò Timothy.
«Quello
lì è bello e grasso» rispose Fred, tradendo un certo desiderio. Ma era Timothy che
aveva il coltello; lui aveva soltanto una stringa con un bullone di metallo
alla estremità, una specie di fionda che poteva uccidere un uccello o un
piccolo animale a distanza - ma inutile contro uno pseudo-gatto, che
generalmente pesava dai cinque ai sette chili, e a volte anche di più.
Su
nel cielo un punto si muoveva con una velocità incredibile, e Timothy capì che
era una nave-cura che si dirigeva verso un altro pozzo, portando delle
provviste. Certo che sono indaffarati, pensò fra sé. Quei curagazzi vanno
sempre avanti e indietro; non si fermano mai, perché se lo fanno, gli adulti
morirebbero. Non sarebbe un vero peccato? pensò ironicamente. C'era da mettersi
a piangere.
Fred
disse: «Fagli cenno e forse sgancerà qualcosa.» Sorrise a Timothy, poi entrambi
scoppiarono a ridere.
«Certo»
esclamò Timothy. «Vediamo; che cosa voglio?» Di nuovo tutti e due risero
all'idea di desiderare qualcosa. I due ragazzini avevano tutto il mondo di
sopra per loro, a perdita d'occhio... ne avevano anche di più dei curagazzi, e
questo era abbastanza, anzi, più che abbastanza.
«Pensi
che loro lo sappiano?» disse Fred, «...che i nostri genitori giocano a Perky Pat
con mobili costruiti utilizzando ciò che lasciano cadere? Scommetto che non
sanno di Perky Pat; non hanno mai visto una bambola Perky Pat, perché se
l'avessero vista sarebbero veramente arrabbiati.»
«Hai
ragione» confermò Timothy. «Sarebbero così arrabbiati che probabilmente la
smetterebbero di buttare giù roba.» Lanciò un'occhiata a Fred, incrociando il
suo sguardo.
«Ah,
no» disse Fred. «È meglio che non glielo diciamo; altrimenti tuo padre ti
picchierà di nuovo, e probabilmente picchierà anche me.»
Anche
così, era un'idea interessante. Immaginava dapprima la sorpresa e poi la rabbia
dei curagazzi; sarebbe stato troppo divertente assistere alla scena, vedere la
reazione di quelle creature marziane a otto gambe che avevano così tanta carità
nei loro corpi gonfi come vesciche, gli organismi cefalopodi univalvi simili a
molluschi che avevano volontariamente assunto l'incarico di fornire assistenza
ai resti in declino della razza umana... Ecco come veniva ricambiata la loro
carità, ecco a quale scopo profondamente inutile e stupido venivano utilizzati
i loro beni. Questo stupido gioco Perky Pat cui giocavano tutti gli adulti.
E
in ogni caso sarebbe stato molto difficile dirglielo; non c'era quasi comunicazione
tra gli umani e i curagazzi. Erano troppo diversi. Si potevano compiere atti,
azioni, che significavano qualcosa... ma non comunicare con semplici parole, o
semplici segni. E comunque...
Un
grande coniglio marrone saltò alla loro destra, oltre la casa costruita solo a
metà. Timothy sfoderò il coltello. «Ragazzi!» disse ad alta voce eccitato.
«Andiamo!» Partì all'inseguimento sul terreno pieno di macerie, con Fred appena
dietro. Gradualmente presero a guadagnare terreno sul coniglio; i due ragazzini
riuscivano a correre molto bene: avevano fatto molta pratica.
«Tira
il coltello!» disse Fred ansimando, e Timothy, puntando i piedi in scivolata,
alzò il braccio destro, si fermò per prendere la mira, e poi lanciò il coltello
affilato e ben bilanciato. La cosa più preziosa che aveva, realizzata con le
sue stesse mani.
Il
coltello colpì il coniglio proprio agli organi vitali. La bestiola incespicò e
scivolò, alzando una nuvoletta di polvere.
«Penso
che possiamo ricavarci un dollaro!» esclamò Fred, saltando su e giù. «Solo la
pelle - scommetto che possiamo ricavarne cinquanta centesimi, solo dalla
dannata pelle!»
Insieme,
si affrettarono verso il coniglio morto, volendo arrivarci prima che un falco
dalla coda rossa o un gufo diurno si avventassero su di lui dal cielo grigio.
Chinandosi,
Norman Schein prese la sua bambola Perky Pat e disse accigliato: «Io lascio;
non voglio più giocare.»
Contrariata,
sua moglie protestò: «Ma se abbiamo fatto arrivare la nostra Perky Pat in
centro nella sua nuova Ford decappottabile con la capote rigida, l'abbiamo
fatta parcheggiare mettendo un decino nel parchimetro, si è fermata e adesso si
trova nella sala d'attesa dell'analista che legge la rivista Fortune... siamo
molto più avanti dei Morrison! Perché vuoi lasciare, Norm?»
«Proprio
non andiamo d'accordo» brontolò Norman. «Tu dici che gli analisti facevano
pagare venti dollari l'ora; io invece ricordo distintamente che facevano pagare
solo dieci dollari; nessuno poteva chiedertene venti. Per cui stai penalizzando
la nostra parte, e Dio sa per quale motivo! I Morrison sono d'accordo sul fatto
che sono solo dieci. Vero?» chiese al signore e alla signora Morrison, seduti
all'altra estremità della composizione, che nasceva dall'unione dei set delle
due coppie.
Helen
Morrison chiese a suo marito: «Sei andato dall'analista più spesso di me. Sei
sicuro che faceva pagare solo dieci dollari?»
«Be',
sono andato soprattutto alle terapie di gruppo» disse Tod. «Alla Clinica
Statale di Igiene Mentale di Berkeley, e loro facevano pagare in base alle tue
possibilità. E Perky Pat invece si trova da uno psicanalista privato.»
«Dovremo
chiedere a qualcun altro» disse Helen a Norman Schein. «Suppongo che in questo
momento possiamo soltanto sospendere il gioco.» Si accorse che anche lei lo
guardava male, ora, perché insistendo su questo punto aveva posto fine a un
intero pomeriggio di gioco.
«Dobbiamo
lasciare il gioco impostato così?» chiese Fran Schein. «Non mi sembra una
cattiva idea; forse possiamo finire stasera dopo cena.»
Norman
Schein guardò la loro combinazione unificata, i negozi eleganti, le strade ben
illuminate con i nuovi modelli di auto parcheggiate, tutte luccicanti, la
stessa casa a piani sfalsati dove Perky Pat viveva e intratteneva Leonard, il
suo fidanzato. Era la casa che lui desiderava da sempre; la casa era il vero
centro della composizione... di tutte le composizioni Perky Pat, per quanto
diverse tra loro.
Il
guardaroba di Perky Pat, per esempio, lì nell'armadio della casa, il grande
armadio da camera. I suoi pantaloni alla pescatora, le camicette bianche di
cotone, il due pezzi a pois, i maglioncini voluminosi... e lì, nella sua camera
da letto, il suo impianto hi-fi, la sua collezione di dischi...
Una
volta era stato veramente così, si viveva veramente così ai vecchi tempi.
Norman Schein ricordava la sua collezione di dischi, e a quei tempi aveva dei
vestiti eleganti quasi quanto quelli del fidanzato di Perky Pat, Leonard, giacche
di cashmere e vestiti di tweed, camice sportive italiane e scarpe made in England.
Non aveva mai avuto una Jaguar XKE sportiva, come Leonard, ma in compenso aveva
avuto una vecchia Mercedes-Benz del 1963, che utilizzava per andare al lavoro e
che faceva comunque la sua figura.
A
quei tempi vivevamo, disse fra sé Norman Schein come vivono adesso Perky Pat e Leonard.
Era veramente così.
Norm
si rivolse a sua moglie, indicando la radio sveglia che Perky Pat teneva di
fianco al letto: «Ricordi la nostra radio sveglia General Electronics? Come ci
svegliava la mattina facendoci ascoltare la musica classica di quella stazione
FM, la KSFR? Il programma si chiamava i 'Wolfgangers'. Ogni mattina dalle sei
alle nove.»
«Sì»
disse Fran, annuendo seria. «E tu di solito ti alzavi prima di me; sapevo che
mi sarei dovuta alzare e preparare il bacon e il caffè per te, ma era così
bello rimanere a letto, non alzarsi ancora per mezz'ora, finché non si
svegliavano i bambini.»
«Svegliarsi,
diamine; si alzavano prima di noi» disse Norm. «Non ti ricordi? Andavano in
salone a guardare il film comico de 'I Tre Marmittoni' alla TV fino alle otto.
Io mi alzavo e preparavo i cereali con il latte caldo per loro, poi andavo al
lavoro alla Ampex di Redwood City.»
«Oh
sì» disse Fran. «La TV.» La loro composizione Perky Pat non aveva un
televisore; lo avevano perso a favore dei Regan nel corso di una partita la
settimana precedente, e Norm non era ancora riuscito a costruirne un altro
abbastanza realistico perché potesse sostituirlo. Così adesso, quando
giocavano, facevano finta che 'era venuto l'addetto alle riparazioni e se l'era
portato via'. Ecco come spiegavano il fatto che la loro Perky Pat non avesse
qualcosa che in realtà avrebbe dovuto possedere.
Norm
pensò: Giocare a questo gioco... è come essere di nuovo lì, ritrovarsi nel
mondo com'era prima della guerra. Ecco perché giochiamo, credo. Si vergognava
di questo, ma era solo una vaga sensazione; la vergogna, quasi subito, fu
rimpiazzata dal desiderio di giocare ancora un po'.
«Non
abbandoniamo il gioco» disse improvvisamente. «Sono d'accordo sul fatto che lo
psicanalista avrebbe fatto pagare venti dollari a Perky Pat. Okay?»
«Okay»
dissero in coro i Morrison, e si disposero ancora una volta a riprendere il
gioco.
Tod
Morrison aveva preso la sua Perky Pat; la teneva stretta, carezzandole i
capelli biondi - era bionda, mentre quella degli Schein era bruna - e
giocherellava con le fibbie della sua gonna.
«Che
stai facendo?» gli chiese sua moglie.
«Che
bella gonna ha» disse Tod. «L'hai cucita proprio bene.»
«Avete
mai conosciuto una ragazza, ai vecchi tempi, che somigliasse a Perky Pat?» chiese
Norm.
«No»
rispose Tod Morrison tutto serio. «Tuttavia, mi sarebbe piaciuto incontrarla.
Ho visto ragazze come Perky Pat, soprattutto quando vivevo a Los Angeles
durante la guerra di Corea. Ma non sono mai riuscito a conoscerle di persona. E
naturalmente c'erano delle cantanti meravigliose, come Peggy Lee e Julie London...
somigliavano molto a Perky Pat.»
«Gioca»
lo invitò Fran con vigore. E Norm, dato che era il suo turno, prese la trottola
segnapunti e la fece girare.
«Undici»
disse. «Questo fa uscire il mio Leonard dall'officina riparazioni per macchine
sportive e lo fa dirigere al circuito delle corse.» E mosse in avanti il
bambolotto di Leonard.
Immerso
nei suoi pensieri, Tod Morrison disse: «Sapete, l'altro giorno stavo portando
giù i beni deperibili che i curagazzi avevano scaricato... c'era anche Bill Ferner,
e mi ha detto qualcosa di interessante. Ha incontrato un casuale di un pozzo
che si trova dove una volta c'era Oakland. E sapete a che cosa giocano in quel
pozzo? Non giocano a Perky Pat. Non ne hanno mai sentito parlare.»
«Be',
allora a che cosa giocano?» chiese Helen.
«Hanno
una bambola completamente diversa.» Facendo una smorfia, Tod continuò: «Bill
dice che il casuale di Oakland la chiamava 'Connie, l'amica del cuore'. Ne
avete mai sentito parlare?»
«'Connie,
l'amica del cuore'» disse Fran pensosa. «Che strano. Mi chiedo come sia fatta.
Ha un fidanzato?»
«Oh,
certo» rispose Tod. «Si chiama Paul. Connie e Paul. Sapete, uno di questi
giorni dovremmo andare a quel pozzo di Oakland per vedere come sono fatti Connie
e Paul e come vivono. Forse potremmo imparare un po' di cose da aggiungere alle
nostre composizioni.»
«Forse
ci potremmo giocare» aggiunse Norm.
Sconcertata,
Fran obiettò: «Può una Perky Pat giocare a fare la bambola Connie? È possibile?
Mi chiedo cosa succederebbe.»
Nessuno
rispose. Perché nessuno conosceva la risposta.
Mentre
scuoiavano il coniglio, Fred disse a Timothy: «Da dove viene il nome 'casuale'?
È proprio una brutta parola; perché la usano?»
«Un
casuale è una persona che è sopravvissuta alla guerra all'idrogeno» spiegò Timothy.
«Sai come si dice, scampato per caso. Un capriccio del caso. Capisci? Perché
quasi tutti sono rimasti uccisi; una volta c'erano migliaia di persone.»
«Ma
allora che cos'è un casuale? Quando tu dici 'un capriccio del caso...'»
«Essere
un casuale significa che il caso ha deciso di risparmiarti» rispose Timothy, e
quello era tutto ciò che aveva da dire sull'argomento. Non sapeva altro.
Dopo
averci pensato un po', Fred disse: «Ma io e te non siamo casuali, perché non
eravamo in vita quando è scoppiata la guerra. Siamo nati dopo.»
«Giusto»
replicò Timothy.
«Per
cui chiunque mi chiami un casuale verrà colpito in un occhio dalla mia fionda»
concluse Fred.
«Anche
'curagazzo' è una parola inventata» aggiunse Timothy. «Deriva dal fatto che i
pacchi sganciati dai jet e dalle navicelle e destinati ai sopravvissuti in
un'area disastrata, venivano chiamati 'pacchi-cura' perché provenivano da
esseri infantili che hanno cura degli altri.»
«Lo
so» disse Fred. «Non te l'avevo chiesto.»
«Be',
te l'ho detto lo stesso» disse Timothy.
I
due ragazzi continuarono a scuoiare il coniglio.
Jean
Regan disse al marito: «Hai sentito cos'ha detto Tod a proposito della bambola Connie?»
Lanciò un'occhiata alla lunga, ruvida tavola per accertarsi che nessuna delle
altre famiglie stesse ascoltando. «Sai Sam, l'ho saputo da Helen Morrison; lei
l'ha sentito dire da Tod e lui l'ha sentito dire da Bill Ferner, credo. Per cui
probabilmente è vero.»
«Cos'è
vero?» disse Sam.
«Che
nel pozzo di Oakland non hanno Perky Pat; hanno una bambola Connie... e mi è
venuto in mente che forse un po' di questo... sai, questo senso di vuoto,
questa noia che sentiamo di tanto in tanto... forse, se vedessimo come vive la
bambola Connie, potremmo arricchire la nostra composizione per...» Si fermò a
riflettere. «Per renderla più completa.»
«Il
nome non mi incuriosisce affatto» disse Sam Regan. «Bambola Connie; non sembra
un granché.» Prese una cucchiaiata di quella insipida zuppa di cereali che i
curagazzi avevano sganciato di continuo, negli ultimi tempi. E, con la bocca piena,
pensò: scommetto che Connie non mangia robaccia di questo genere; scommetto che
mangia cheeseburgers in tutte le salse, in un drive-in molto
sofisticato.
«Potremmo
fare una passeggiata fin lì» suggerì Jean.
«Fino
al pozzo di Oakland?» Sam la guardò fisso. «Sono venti chilometri, fino
all'altro lato del pozzo di Berkeley!»
«Ma
è una cosa importante» disse testarda Jean. «E Bill dice che un casuale
proveniente da Oakland è venuto fin qui; in cerca di componenti elettronici o
qualcosa del genere... per cui se lo può fare lui, possiamo riuscirci anche
noi. Abbiamo le tute anti-polvere che ci hanno lanciato. So che possiamo
farcela.»
Il
piccolo Timothy Schein, seduto con la sua famiglia, aveva sentito tutto; ora
intervenne, parlando ad alta voce. «Signora Regan, io e Fred Chamberlain potremmo
andare a piedi fin lì, se ci pagate. Cosa ne dite?» Diede una gomitata a Fred,
che sedeva accanto a lui. «Che ne dice? Per, diciamo... cinque dollari?»
Fred,
serio in volto, si voltò verso la signora Regan e disse: «Potremmo portarle una
bambola Connie. Per cinque dollari ciascuno.»
«Dio
buono!» disse Jean Regan. Offesa da quella proposta, lasciò cadere la cosa.
Ma
più tardi, dopo cena, riprese a parlarne, quando lei e Sam si ritrovarono soli
nelle loro stanze.
«Sam,
io devo vederla» sbottò lei. Sam stava facendo il suo bagno settimanale nella
vasca galvanica, per cui fu costretto ad ascoltarla. «Ora che sappiamo che
esiste, dobbiamo giocare contro qualcuno del pozzo di Oakland; almeno questo
possiamo farlo, o no? Per favore.» Jean andava avanti e indietro per la stanza,
con le mani intrecciate per la tensione. «Forse la composizione della bambola Connie
ha una stazione di servizio e il terminal di un aeroporto con delle piste di
atterraggio per i jet e una TV a colori e un ristorante francese dove servono escargot,
come quello dove andammo io e te appena sposati... Devo proprio vedere la
sua composizione.»
«Non
so» disse Sam esitante. «C'è qualcosa nella bambola Connie che... mi mette a
disagio.»
«Cosa
potrebbe essere?»
«Non
lo so.»
Jean
disse sarcastica: «È perché sai che la loro composizione è molto meglio della
nostra e lei vale molto più di Perky Pat.»
«Forse
è per questo» mormorò Sam.
«Se
tu non vai, se non cerchi di metterti in contatto con quelli del pozzo di
Oakland, lo farà qualcun altro... qualcuno più ambizioso di te ti passerà
avanti. Come Norman Schein. Lui non è pauroso come te.»
Sam
non disse nulla; continuò a fare il bagno. Ma gli tremavano le mani.
Poco
tempo prima un curagazzo aveva sganciato delle complicate componenti meccaniche
che erano, evidentemente, una forma di computer. Per diverse settimane i
computer - se di questo si trattava - erano rimasti nei pressi del pozzo,
chiusi nei loro cartoni, ma ora Norman Schein aveva trovato il modo di
utilizzarli. Al momento era impegnato a adattare alcuni meccanismi, i più
piccoli, per formare un'unità di smaltimento rifiuti per la sua cucina Perky
Pat.
Schein
invece era impegnato al tavolo degli hobby, e stava utilizzando gli speciali
micro-strumenti - disegnati e costruiti dagli abitanti del pozzo - necessari
per modellare gli oggetti della vita quotidiana di Perky Pat. Completamente
assorto nel suo lavoro, si accorse tutto d'un tratto che Fran si trovava
proprio di fronte a lui, e lo guardava.
«Divento
nervoso quando mi guardano» disse Norm, tenendo un piccolo meccanismo con un
paio di pinzette.
«Ascolta,»
disse Fran «mi è venuta un'idea. Questo ti ricorda qualcosa?» Gli piazzò di
fronte una delle radio a transistor che erano state sganciate il giorno prima.
«Mi
ricorda che qualcuno ha già pensato all'apertura automatica del garage» disse Norm
irritabile. Continuò a lavorare, adattando perfettamente i pezzi in miniatura
allo scarico del lavandino della cucina di Pat: un lavoro così delicato
richiedeva la massima concentrazione.
Fran
disse: «Ti ricorda che ci devono essere delle radio trasmittenti da
qualche parte sulla Terra, altrimenti i curagazzi non avrebbero sganciato
queste.»
«E
allora?» disse Norm, per nulla interessato.
«Forse
il nostro sindaco ne ha una» suggerì Fran. «Forse ce n'è una proprio qui nel
nostro pozzo, e potremmo usarla per chiamare il pozzo di Oakland. Alcuni
rappresentanti di quel pozzo potrebbero incontrarci a metà strada... diciamo al
pozzo di Berkeley. E potremmo giocare lì. Così non dovremmo fare quel viaggio
lungo venti chilometri.»
Norman
interruppe il suo lavoro; mise giù le pinzette e disse lentamente: «Forse hai
ragione.» Ma se il sindaco Hooker Glebe aveva una radio trasmittente,
gliel'avrebbe lasciata usare? E a quali condizioni?
«Possiamo
provare» lo incitò Fran. «Tentar non nuoce.»
«Okay»
disse Norm, alzandosi dal tavolo da lavoro.
Il
sindaco del pozzo di Pinole, un omino dall'aspetto scaltro, con indosso
un'uniforme dell'esercito, ascoltò in silenzio le parole di Norm Schein. Poi
sorrise con aria astuta. «Certo che ho una radiotrasmittente. L'ho sempre
avuta. Ha una potenza di cinquanta watt. Ma perché volete mettervi in contatto
con il pozzo di Oakland?»
Guardingo,
Norman rispose: «Questi sono affari miei.»
Hooker
Glebe, dopo averci pensato un po', propose: «Ve la lascerò usare per quindici
dollari.»
Fu
un brutto colpo, e Norm si ritrasse inorridito. Buon Dio: era tutto quello che
possedevano, lui e sua moglie - ne avevano bisogno fino all'ultimo dollaro per
giocare a Perky Pat. I soldi erano la posta in gioco; non c'era un altro
criterio per poter dire di aver vinto o perso. «È troppo» disse a voce alta.
«Va
bene, facciamo dieci» disse il sindaco, stringendosi nelle spalle.
Alla
fine si misero d'accordo sulla cifra di sei dollari e cinquanta centesimi.
«Stabilirò
il contatto radio per voi» disse Hooker Glebe. «Perché voi non lo sapete fare.
Ci vorrà tempo.» Cominciò a girare una manovella accanto al generatore della
trasmittente. «Quando sarò riuscito a stabilire il contatto, ve lo farò sapere.
Ma i soldi datemeli subito.» Tese la mano e, con grande riluttanza, Norm lo
pagò.
Fu
soltanto nel tardo pomeriggio che Hooker riuscì a stabilire un contatto con
Oakland. Pieno di orgoglio, raggiante di soddisfazione, apparve alla dimora
degli Schein, durante l'ora di cena. «Tutto a posto» annunciò. «Oh, sapete che
in realtà ci sono nove pozzi a Oakland? Io non lo sapevo. Quale volete
contattare? Io ne ho contattato uno che ha il nome in codice di Vaniglia
Rossa.» Rise. «Laggiù sono duri e sospettosi; non è stato facile ottenere una
risposta da uno di loro.»
Lasciando
il suo pasto serale, Norman si affrettò verso la dimora del sindaco, con Hooker
che ansimava dietro di lui.
La
trasmittente, naturalmente, era accesa, e un rumore statico sibilò dall'altoparlante
della sua unità ricevente. Un po' a disagio, Norm si sedette al microfono.
«Devo solo parlare?» chiese a Hooker Glebe.
«Sì,
di' soltanto: Qui è il pozzo di Pinole che chiama. Ripetilo un paio di volte e
poi, quando loro ti risponderanno, di' quello che devi dire.» Il sindaco
armeggiò con i comandi della trasmittente, dandosi molta importanza.
«Qui
è il pozzo di Pinole» disse Norm nel microfono, a voce alta.
Quasi
subito una voce chiara, proveniente dall'unità ricevente, disse: «Qui è Vaniglia
Rossa Tre.» La voce era fredda e aspra; Norm ebbe la netta impressione che
appartenesse a un alieno. Hooker aveva ragione. «Avete la bambola Connie laggiù?»
«Sì,
ce l'abbiamo» rispose il casuale di Oakland.
«Bene,
io vi sfido» disse Norman, sentendo pulsare le vene in gola per la tensione.
«Noi abbiamo Perky Pat in questa zona; giocheremo la nostra Perky Pat contro la
vostra bambola Connie. Dove ci possiamo incontrare?»
«Perky
Pat» gli fece eco il casuale di Oakland. «Sì, la conosco. Quale sarebbe la posta
che avete in mente?»
«Qui
da noi si gioca soprattutto con le banconote» disse Norman, sentendo che la sua
risposta era poco convincente.
«Siamo
pieni di banconote» disse il casuale di Oakland, tagliando corto. «Non
interessano a nessuno. Che altro?»
«Non
so.» Si sentì impacciato a parlare con qualcuno che non poteva vedere: non ci
era abituato. Le persone dovrebbero trovarsi faccia a faccia, pensò, per vedere
l'espressione dell'interlocutore. Questo tipo di comunicazione non era
naturale. «Incontriamoci a metà strada» disse «e parliamone. Forse possiamo
incontrarci al pozzo di Berkeley; che ne dite?»
Il
casuale di Oakland rispose: «È troppo lontano. Vuoi dire che dovremmo
trasportare la nostra composizione Connie, l'amica del cuore, per tutta quella
strada? È troppo pesante, e potrebbe succedergli qualcosa.»
«No,
solo per discutere le regole e la posta in gioco» disse Norman.
Dubbioso,
il casuale di Oakland rispose: «Bene, penso che si possa fare. Ma sarà meglio
che vi mettiate in testa una cosa... noi prendiamo tremendamente sul serio la
nostra bambola Connie; sarà meglio per voi scendere a patti.»
«Lo
faremo» lo assicurò Norm.
Per
tutto questo tempo il sindaco Hooker Glebe aveva girato la manovella del
generatore; tutto sudato, con il volto paonazzo per lo sforzo, fece un gesto
rabbioso verso Norm perché concludesse la sua lunga chiacchierata.
«Ci
vediamo al pozzo di Berkeley» concluse Norm. «Fra tre giorni. E mandate il
vostro migliore giocatore, quello che ha la composizione più grande e più
autentica. Tenete presente che le nostre composizioni Perky Pat sono vere e
proprie opere d'arte.»
Il
casuale di Oakland rispose: «Ci crederemo quando lo vedremo. Dopo tutto, qui
abbiamo carpentieri, elettricisti e stuccatori, che costruiscono le nostre
composizioni; scommetto che voi invece siete degli inesperti.»
«Non
tanto quanto pensiate» disse Norm infervorandosi, e poggiò il microfono. Poi
disse a Hooker Glebe - che aveva immediatamente smesso di girare la manovella:
«Li batteremo. Aspetta che vedano l'unità per lo smaltimento rifiuti che sto
costruendo per la mia Perky Pat! Sapevi che ai vecchi tempi c'erano delle
persone, voglio dire, veri esseri umani in carne e ossa, che non avevano le
unità di smaltimento rifiuti?»
«Ricordo»
disse scontroso Hooker. «Ehi, ho dovuto girare un sacco la manopola, troppo
rispetto a quello che avete pagato. Mi avete fregato: avete parlato così a
lungo...» Gli lanciò un'occhiata tanto ostile che Norm cominciò a sentirsi a
disagio. Dopo tutto, il sindaco del pozzo aveva l'autorità per espellere
chiunque; era la legge.
«Vi
darò l'unità di allarme anti-incendio che ho finito l'altro giorno» disse Norm.
«Nella mia composizione si trova all'angolo dell'isolato dove vive il fidanzato
di Perky Pat, Leonard.»
«Bene»
convenne Hooker, e la sua ostilità svanì. Fu rimpiazzata, in un attimo, dal
desiderio. «Vediamola, Norm. Scommetto che farà la sua bella figura nella mia
composizione; un'unità di allarme anti-incendio è proprio ciò che ci vuole per
completare il mio primo isolato. Lo metterò accanto alla cassetta delle
lettere. Grazie.»
«Prego»
sospirò Norm, filosoficamente.
Quando
ritornò dalla camminata di due giorni al pozzo di Berkeley, il suo volto era
così imbronciato che sua moglie capì immediatamente che le trattative con la
gente di Oakland erano andate male.
Quella
mattina un curagazzo aveva lasciato cadere dei cartoni di una bevanda sintetica
simile al tè; ne preparò una tazza per Norman, aspettando di sentire cosa era
successo otto miglia più a sud.
«Abbiamo
trattato» disse Norm, seduto stancamente sul letto che condivideva con la
moglie e il figlio. «Non vogliono soldi; non vogliono beni... naturalmente,
perché i dannati curagazzi sganciano regolarmente anche laggiù.»
«Cosa
vorrebbero allora?»
«Perky
Pat in persona» disse Norm; poi ammutolì.
«Oh
buon Dio» disse lei spaventata.
«Ma
se vinciamo,» fece notare Norm «conquistiamo Connie, l'amica del cuore.»
«E
le composizioni? Che fine faranno?»
«Ci
teniamo le nostre. In gioco c'è solo Perky Pat, non Leonard o qualcos'altro.»
«Ma
cosa faremo se perdiamo Perky Pat?» protestò lei.
«Ne
posso fare un'altra» disse Norm. «Ci vorrà un po' di tempo. C'è ancora una
grossa scorta di termoplastica e di capelli artificiali, qui nel pozzo. E ho un
sacco di vernici differenti; ci vorrebbe almeno un mese, ma potrei farlo. Non
vedo l'ora di iniziare il lavoro, lo ammetto. Ma...» Gli brillarono gli occhi.
«Non vedere tutto nero; immagina cosa significherebbe vincere la bambola Connie.
Possiamo farcela; quello che ha risposto alla radio sembrava svelto e, come
ha detto Hooker, un duro... ma quello con cui ho parlato io non mi è parso un
tipo baciato dalla fortuna. Sai, uno di quelli che hanno dei grandi colpi di
fortuna.»
Dopo
tutto, l'elemento della fortuna, del caso, era presente in ogni fase del gioco
attraverso il movimento della trottola segnapunti.
«Mi
sembra un errore» disse Fran «mettere in palio la stessa Perky Pat. Ma se lo
dici tu...» Cercò di sorridere. «Io sono con te. E se vinci la bambola Connie...
chissà? Potresti essere eletto sindaco quando Hooker morirà. Immagina, vincere
la bambola di qualcun altro... non il gioco, i soldi, ma la bambola
stessa.»
«Io
posso vincere, perché sono baciato dalla fortuna» disse Norm tutto serio. La
sentiva vicina, quella stessa casualità che gli aveva consentito di sopravvivere
alla guerra all'idrogeno, che lo aveva tenuto in vita fino a quel momento. O ce
l'hai o non ce l'hai, si rese conto. E io ce l'ho.
Sua
moglie disse: «Non dovremmo forse chiedere a Hooker di convocare un incontro
con tutti quelli che vincono nel pozzo, e mandare il miglior giocatore di tutto
il gruppo? Così da essere ancor più sicuri di vincere?»
«Stammi
a sentire» disse Norm Schein con enfasi. «Sono io il miglior giocatore. Andrò
io... e anche tu; siamo una buona squadra, e non vedo il motivo di cambiarla.
Comunque, avremo bisogno di almeno due persone per trasportare la composizione Perky
Pat.» In tutto, giudicò lui, la loro composizione pesava venti chili.
Il
suo piano gli sembrava soddisfacente. Ma quando ne parlò con gli altri che
vivevano nel pozzo di Pinole si trovò a dover affrontare una netta opposizione.
Trascorsero tutto il giorno successivo a litigare e a discutere.
«Non
potete trasportare la vostra composizione per tutta quella strada da soli»
disse Sam Regan. «O portate altra gente con voi o la trasportate su un qualche
tipo di veicolo. Come un carretto.» Guardò accigliato Norm.
«E
dove lo trovo un carretto?» domandò Norm.
«Forse
si potrebbe adattare qualcosa» disse Sam. «Ti darò tutto l'aiuto di cui hai
bisogno. Personalmente, io verrei con voi, ma come ho già detto a mia moglie,
tutta questa storia mi preoccupa.» Diede una pacca sulla schiena a Norm. «Ammiro
il vostro coraggio, tuo e di Fran... partire così, su due piedi... Vorrei avere
anch'io lo stesso fegato.» Sembrava infelice.
Alla
fine, Norm scelse un carretto. Lui e Fran avrebbero spinto a turno. In quel
modo nessuno di loro due avrebbe dovuto portare un carico, fatta eccezione per
il cibo e l'acqua, e naturalmente i coltelli con cui difendersi dagli
pseudo-gatti.
Mentre
stavano collocando con cura gli elementi della loro composizione nel carretto,
arrivò di corsa il figlio di Norm Schein, Timothy. «Papà, portatemi con voi»
implorò. «Per cinquanta centesimi farò da guida ed esploratore, e vi aiuterò
anche a procurarvi il cibo per strada.»
«Ce
la caveremo» disse Norm. «Tu rimarrai nel pozzo; qui sarai più al sicuro.» Non
gli piaceva l'idea di suo figlio che li seguiva in un'impresa importante come
quella. Era quasi... sacrilego.
«Dacci
un bacino di addio» disse Fran a Timothy, sorridendogli per un istante; poi la
sua attenzione ritornò alla composizione all'interno del carretto. «Spero che
non si rovesci» disse spaventata a Norm.
«Non
succederà, se stiamo attenti» rispose Norm. Si sentiva sicuro di sé.
Alcuni
istanti dopo cominciarono a spingere il carretto su per la rampa fino alla
botola in cima. Il loro viaggio verso il pozzo di Berkeley era cominciato.
A
un chilometro di distanza dal pozzo di Berkeley lui e Fran cominciarono a
inciampare sui canestri vuoti. Alcuni erano vuoti solo in parte: i resti dei
pacchi-cura erano ancora sparsi tutto intorno al pozzo. Norm Schein fece un
sospiro di sollievo; il viaggio non era stato così tenibile, dopo tutto, tranne
per il fatto che gli erano venute le vesciche alle mani a forza di tenere strette
le stanghe di metallo del carretto, e Fran si era storta una caviglia, e ora
camminava zoppicando dolorosamente. Ma ci avevano messo meno tempo di quanto
avesse previsto, e il suo umore era alle stelle.
Di
fronte a loro apparve una figura acquattata nella cenere. Un ragazzino. Norm gli
fece cenno e lo chiamò: «Ehi, ragazzino... veniamo dal pozzo di Pinole; abbiamo
un appuntamento con una delegazione di Oakland... ti ricordi di me?»
Il
ragazzino si voltò e scappò via senza rispondere.
«Non
c'è da aver paura» disse Norm a sua moglie. «Sta andando ad avvisare il
sindaco. Un simpatico vecchietto di nome Ben Fennimore.»
Presto
apparvero diversi adulti, che si avvicinavano con cautela.
Con
un senso di sollievo, Norm appoggiò il carretto nella polvere, lasciando la
presa e pulendosi il volto con un fazzoletto. «È già arrivata la squadra di
Oakland?» chiese ad alta voce.
«Non
ancora» rispose un uomo anziano, alto, con una fascia bianca al braccio e il
cappellino decorato. «Lei è Schein, vero?» chiese, aguzzando la vista. Era Ben
Fennimore. «È già qui con la sua composizione.» Ora i casuali di Berkeley
avevano cominciato ad affollarsi intorno al carretto, ispezionando la
composizione degli Schein. I loro volti mostravano ammirazione.
«Qui
hanno Perky Pat» spiegò Norm a sua moglie. «Ma...» abbassò la voce. «Le loro
composizioni consistono solo degli elementi essenziali. Una casa, un guardaroba
e un'auto... non hanno costruito quasi niente. Non hanno immaginazione.»
Un
casuale di Berkeley, una donna, chiese sorpresa a Fran: «Vi costruite i mobili
da soli?» Meravigliata, si rivolse all'uomo accanto a lei: «Vedi quanti
progressi hanno fatto, Ed?»
«Sì»
rispose l'uomo, annuendo. «Ehi,» chiese a Fran e Norm «possiamo vedere la
composizione completa? La sistemerete nel nostro pozzo, vero?»
«Sì,
proprio così» rispose Norm.
Il
casuali di Berkeley li aiutarono a spingere il carretto per l'ultimo chilometro.
E in men che non si dica stavano discendendo la rampa, verso il pozzo sotto la
superficie.
«È
un pozzo grande» spiegò Norm a Fran, con l'aria di chi sa quello che dice. «Ci
saranno all'incirca duemila persone. Qui una volta c'era l'Università della
California.»
«Capisco»
disse Fran, un po' intimidita all'idea di entrare in un pozzo estraneo; era la
prima volta in tanti anni - sin dalla guerra, in effetti - che vedeva degli
stranieri, e così tanti insieme. Era troppo per lei; Norm la sentì
rattrappirsi, quasi, stringendosi contro di lui per la paura.
Quando
ebbero raggiunto il primo livello e si apprestarono a scaricare il contenuto
del carretto, Ben Fennimore venne da loro e disse con un filo di voce: «Penso
che la gente di Oakland sia già stata avvistata; abbiamo ricevuto un rapporto
che segnala dei movimenti in superficie. Quindi, preparatevi.» E aggiunse:
«Naturalmente tifiamo per voi, perché voi siete Perky Pat, come noi.»
«Avete
mai visto la bambola Connie?» gli chiese Fran.
«No,
signora» rispose Fennimore cortesemente. «Ma naturalmente ne abbiamo sentito
parlare, essendo vicini ai pozzi di Oakland. Vi dirò una cosa... Abbiamo saputo
che la bambola Connie è un po' più vecchia di Perky Pat. Sapete... più, uhm, matura.»
E spiegò: «Volevo solo prepararvi a questo.»
Norm
e Fran si guardarono. «Grazie» disse Norm lentamente. «Sì, dobbiamo essere il
più preparati possibile. Che ne dice di Paul?»
«Oh,
non è un granché» rispose Fennimore. «È Connie che pensa a tutto; penso che
Paul non abbia neanche un appartamento tutto suo. Ma vi conviene aspettare che
arrivino i casuali di Oakland; non voglio indurvi in errore... la mia conoscenza
è tutta per sentito dire, capite.»
Un
altro casuale di Berkeley, che stava lì accanto, disse ad alta voce: «Ho visto Connie
una volta, ed è molto più adulta di Perky Pat.»
«Quanto
pensa che abbia Perky Pat?» gli chiese Norm.
«Oh,
direi diciassette-diciotto anni.»
«E
Connie?» Aspettò teso una risposta.
«Oh,
avrà venticinque anni.»
Sentirono
dei rumori provenire dalla rampa alle loro spalle. Apparvero altri casuali di
Berkeley, e, subito dopo, due uomini che portavano una piattaforma su cui Norm vide
dispiegarsi una grande, spettacolare composizione.
Ecco
la squadra di Oakland, e non era una coppia, un uomo con la moglie; erano due
uomini, e avevano i volti da duri, con gli occhi freddi e distanti. Girarono di
scatto la testa, notando la loro presenza. Poi, con mille attenzioni, posarono
la piattaforma su cui si trovava la loro composizione.
Li
seguiva un terzo casuale di Oakland che trasportava una scatola di metallo,
molto simile a una pentola. Norm, guardandola, capì istintivamente che nella
scatola c'era la bambola Connie. Il casuale di Oakland tirò fuori una chiave e
cominciò ad aprire la scatola.
«Siamo
pronti a cominciare quando volete» disse il più alto degli uomini provenienti
da Oakland. «Come abbiamo pattuito nella nostra discussione, utilizzeremo una
trottola segnapunti numerata invece dei dadi. In questo modo ci saranno meno
possibilità di imbrogliare.»
«D'accordo»
replicò Norm. Esitando gli tese la mano. «Sono Norman Schein e questa è mia
moglie e la mia partner di gioco Fran.»
L'uomo
di Oakland, evidentemente il leader, disse: «Sono Walter R. Wynn. Questo è il
mio partner, Charley Dowd, e l'uomo con la scatola è Peter Foster. Non
giocherà; fa solo la guardia alla composizione.» Wynn si guardò intorno, e
fissò i casuali di Berkeley come se volesse dire: so che qui tifate tutti per Perky
Pat, ma non ce ne frega niente; non abbiamo paura.
«Siamo
pronti a giocare, signor Wynn.» disse Fran con voce bassa e controllata.
«E
i soldi?» chiese Fennimore.
«Penso
che tutte e due le squadre abbiano molti soldi» disse Wynn. Tirò fuori diverse
migliaia di dollari in banconote, e Norm fece lo stesso. «I soldi naturalmente
non sono in palio, tranne che come mezzo per condurre il gioco.»
Norm
annuì; capiva perfettamente. Solo le bambole erano importanti. E, per la prima
volta, vide la bambola Connie.
Il
signor Foster, che evidentemente ne era il responsabile, la stava sistemando
nella sua camera da letto. E la sua vista gli mozzò il respiro. Sì, era più
adulta. Una donna fatta, non una ragazza... la differenza tra lei e Perky Pat era
notevole. Ed era così realistica. Scolpita, non fusa; evidentemente era stata
intagliata nel legno e poi dipinta... non era una bambola in termoplastica. E i
suoi capelli sembravano proprio veri.
Era
molto impressionato.
«Cosa
ne pensa?» chiese Walter Wynn, con un ghigno appena accennato.
«Fa
un certo effetto» concesse Norm.
Ora
i casuali di Oakland stavano studiando Perky Pat. «Termoplastica fusa» disse
uno di loro. «Capelli artificiali. Però ha dei bei vestiti; tutti cuciti a
mano, si vede benissimo. Interessante; quello che avevamo sentito dire
corrispondeva al vero. Perky Pat non è un'adulta, è solo una teenager.»
Spuntò
fuori il compagno maschile di Connie. Venne sistemato nella camera da letto
accanto a Connie.
«Aspetta
un momento,» disse Norm «state mettendo Paul o come si chiama nella camera da
letto insieme a Connie? Non ha un suo appartamento?»
«Sono
sposati» rispose Wynn.
«Sposati!?!»
Norman e Fran lo guardarono ammutoliti per lo stupore.
«Certo»
disse Wynn. «È naturale che vivano insieme. Le vostre bambole non lo sono,
vero?»
«N-no»
disse Fran. «Leonard è il fidanzato di Perky Pat...» Le mancava la voce. «Norm»
disse lei, afferrandogli il braccio. «Non gli credo; penso che stia dicendo che
sono sposati per ottenere un vantaggio. Perché se loro partono insieme dalla
stessa stanza...»
Norm
disse ad alta voce: «Ehi voi, scusate. Non è leale, definirli sposati.»
«Ma
noi non li stiamo affatto 'definendo' sposati,» rispose Wynn «sono sposati.
Si chiamano Connie e Paul Lathrope, residenti in Arden Place n. 24, Piedmont. Sono
sposati da un anno, come vi dirà la stragrande maggioranza dei giocatori.» La
sua voce era calma.
Forse
è vero, pensò Norm. Era veramente scosso.
«Guardateli
insieme» disse Fran, inginocchiandosi per esaminare la composizione dei casuali
di Oakland. «Nella stessa camera da letto, nella stessa casa. Non vedi? C'è
solo un letto. Un gran letto matrimoniale.» Roteando gli occhi come una matta,
si rivolse a Norm. «Come possono Perky Pat e Leonard competere con loro?» Le
tremava la voce. «Non è moralmente giusto.»
«Questo
è un tipo di composizione completamente diverso» disse Norm a Walter Wynn. «È
completamente diversa rispetto a quelle cui siamo abituati, come potete
vedere.» Indicò la loro composizione. «Io insisto che in questo gioco Connie e
Paul non vivano insieme e non siano considerati sposati.»
«Ma
lo sono» disse Foster alzando la voce. «È un fatto. Guardate... i loro vestiti
sono nello stesso armadio.» Mostrò loro l'armadio. «E nella stessa
cassettiera.» Mostrò loro anche quella. «E guardate in bagno. Due spazzolini da
denti. Di lui e di lei, nello stesso portaspazzolini. Così potete constatare
che non stiamo imbrogliando.»
Silenzio.
Allora
Fran disse con voce strozzata: «Ma se sono sposati... volete dire che hanno avuto
rapporti... intimi?»
Wynn
alzò un sopracciglio, poi annuì. «Certo, dal momento che sono sposati. C'è
qualcosa di male?»
«Perky
Pat e Leonard non hanno mai...» cominciò Fran, ma poi si interruppe.
«Naturalmente
no» convenne Wynn. «Perché si limitano a uscire insieme. Si capisce.»
Fran
disse: «È che proprio non possiamo giocare. Non possiamo.» Afferrò il braccio
del marito. «Norman, ti prego... torniamo al pozzo di Pinole.»
«Aspettate»
disse Wynn bruscamente. «Se non giocate, significa che vi arrendete; dovete
consegnarci Perky Pat.»
Tutti
e tre i casuali di Oakland annuirono. E anche molti dei casuali di Berkeley
stavano annuendo, compreso Ben Fennimore.
«Hanno
ragione» disse Norm a sua moglie, in tono grave. «Dovremo consegnarla. È meglio
che giochiamo, cara.»
«Sì»
disse Fran con una voce inerte, priva di intonazione. «Giocheremo.» Si chinò e
senza dire una parola fece girare la trottola segnapunti. Si fermò sul sei.
Sorridendo,
Walter Wynn si inginocchiò e fece girare la trottola. Ottenne un quattro.
Il
gioco era cominciato.
Acquattato
dietro gli sparsi resti deteriorati di un pacco-cura sganciato tanto tempo
prima, Timothy Schein vide arrivare attraverso la cenere sua madre e suo padre,
che spingevano il carretto davanti a loro. Avevano un aspetto stanco ed
esausto.
«Ciao!»
gridò Timothy, saltando di gioia all'idea di vederli di nuovo: gli erano
mancati molto.
«Ciao,
figlio mio» mormorò suo padre, annuendo. Lasciò andare le stanghe del carretto,
poi si fermò e si pulì la faccia con il fazzoletto.
Arrivò
di corsa Fred Chamberlain, ansimando. «Salve, signor Schein; salve, signora
Schein. Ehi, avete vinto? Avete battuto i casuali di Oakland? Scommetto di sì,
vero?» Il suo sguardo andò dall'uno all'altro.
Con
un filo di voce Fran disse: «Si, Freddy, abbiamo vinto.»
Norm
aggiunse: «Guarda nel carretto.»
I
due ragazzini guardarono. E lì, fra gli accessori di Perky Pat, giaceva
un'altra bambola. Più grande, più definita nei dettagli, molto più adulta di Perky
Pat... loro la guardarono e lei continuò a guardare in alto, senza vedere,
verso il cielo grigio. Dunque questa è la bambola Connie, l'amica del cuore,
disse fra sé Timothy. Che fico!
«Siamo
stati fortunati» disse Norm. Ora diverse persone erano emerse dal pozzo e si
stavano radunando, per ascoltare il loro racconto. Jean e Sam Regan, Tod
Morrison e sua moglie Helen, e lo stesso sindaco, Hooker Glebe, che avanzava
ondeggiando, eccitato e nervoso, con il volto paonazzo, ansimando per la fatica
- inconsueta per lui - di salire la rampa.
Fran
raccontò: «Abbiamo ottenuto una carta cancella-debiti, proprio quando eravamo
più indietro. Avevamo un debito di cinquantamila dollari, e la carta ci ha
fatto tornare alla pari con i casuali di Oakland. E poi, dopo questa mossa, ci
è venuta una carta 'avanza di dieci caselle', che ci ha fatti arrivare proprio
sulla casella del jackpot, almeno nella nostra composizione.
Abbiamo cominciato a litigare di brutto, perché i casuali di Oakland ci hanno
mostrato che nella loro composizione c'era una casella 'tassa sulle proprietà
immobiliari', ma avevamo estratto un numero dispari e questo ci aveva riportati
sul nostro tabellone.» Sospirò. «Sono contenta di essere tornata. È stata dura,
Hooker; è stata una partita molto combattuta.»
Hooker
Glebe disse ansimando: «Diamo tutti un'occhiata alla bambola Connie, gente.»
Rivolgendosi a Fran e a Norm aggiunse: «La posso sollevare per farla vedere a
tutti?»
«Certo»
rispose Norm, annuendo.
Hooker
prese la bambola Connie. «Certo che è molto realistica» disse analizzandola. «I
vestiti non sono belli come i nostri, sembrano fatti a macchina.»
«Infatti
è così» convenne Norm. «Ma lei è scolpita, non fusa.»
«Sì,
lo vedo» Hooker rigirò la bambola, ispezionandola da tutte le angolazioni. «Un
buon lavoro. È... uhm, un po' più pienotta di Perky Pat. Cos'è questo completo
che ha indosso? Sembra tweed.»
«Un
vestito da donna in carriera» disse Fran. «Lo abbiamo vinto insieme alla
bambola; ci eravamo messi d'accordo in precedenza.»
«Vedete,
lei ha un lavoro» spiegò Norm. «È consulente psicologa per una ditta che fa
ricerche di mercato. Svolge indagini sui gusti dei consumatori. Un posto ben
remunerato... mi sembra che Wynn abbia detto che guadagna ventimila dollari
l'anno.»
«Perdio!»
esclamò Hooker. «E Pat invece deve ancora andare all'università; non ha nemmeno
finito le scuole superiori.» Sembrava preoccupato. «Be', suppongo che dovevano
per forza essere davanti a noi, a ogni modo. L'importante è che avete vinto.»
Un sorriso gioviale tornò a illuminargli il volto.
«Perky
Pat ha prevalso.» Tenne sollevata la bambola Connie, così che tutti potessero
vederla. «Guardate cosa hanno riportato Norm e Fran, gente!»
«Maneggiala
con cura, Hooker» disse Norm. La sua voce era decisa.
«Eh?»
fece Hooker, bloccandosi. «Perché, Norm?»
«Perché
sta per avere un bambino.»
Calò
un silenzio improvviso. La cenere intorno a loro si mosse impercettibilmente, e
fu quello l'unico suono che si sentì.
«Come
fai a saperlo?» chiese Hooker.
«Ce
l'hanno detto loro, i casuali di Oakland. E abbiamo vinto anche questo... dopo
un litigio che ha richiesto l'intervento di Fennimore per calmare le acque.»
Allungando la mano nel carretto, ne tirò fuori una piccola borsa di pelle, e da
essa estrasse con cura un neonato rosa scolpito. «Abbiamo vinto anche questo
perché Fennimore è stato d'accordo con noi sul fatto che da un punto di vista
tecnico fa letteralmente parte della bambola Connie, a questo punto.»
Hooker
rimase a fissarlo per molto, molto tempo.
«È
sposata» spiegò Fran «con Paul. Non escono solo insieme. Lei è incinta di tre
mesi, ci ha detto il signor Wynn. Non ce l'ha detto fino a quando non abbiamo
vinto; non voleva dircelo neanche allora, ma hanno sentito l'esigenza di farlo.
Penso che avessero ragione; non sarebbe servito a niente tacerlo.»
Norm
disse: «E in aggiunta c'è anche l'accessorio 'embrione già formato'...»
«Sì»
concluse Fran. «Devi aprire Connie, naturalmente, per vederlo...»
«No»
aggiunse Jean Regan. «Per favore, no.»
«No,
signora Schein, non lo faccia» insisté Hooker. Si tirò indietro.
Fran
disse: «Naturalmente in un primo tempo siamo rimasti scioccati, ma...»
«Vedete,»
si intromise Norm «è logico; dovete seguire la logica. Perché prima o poi anche
Perky Pat...»
«No»
squittì Hooker reagendo violentemente. Si chinò, prese una pietra tra la cenere
ai suoi piedi. «No» ripeté, e alzò il braccio. «Basta, voi due. Non dite più
una sola parola.»
Ora
anche i Regan avevano raccolto delle pietre. Nessuno parlava.
Alla
fine Fran disse: «Norm, dobbiamo andarcene di qui.»
«Giusto»
disse Tod Morrison. Sua moglie annuì tutta seria.
«Tornatevene
a Oakland» ordinò Hooker a Norman e a Fran Schein. «Voi non potete più vivere
qui. Siete diversi da come eravate prima. Siete... cambiati.»
«Sì»
convenne Sam Regan lentamente, quasi fra sé. «Avevo ragione io; c'era qualcosa
da temere.» Poi, rivolto a Norm Schein: «È dura arrivare a Oakland?»
«Siamo
andati solo a Berkeley» disse Norm. «Al pozzo di Berkeley.» Sembrava
sconcertato e sbalordito da ciò che stava accadendo. «Mio Dio,» aggiunse «non
possiamo fare marcia indietro e spingere di nuovo questo carretto fino a
Berkeley... siamo esausti, abbiamo bisogno di riposo!»
Sam
Regan propose: «E se spingesse qualcun altro?» Andò dagli Schein e si mise
accanto a loro. «Spingerò io questo maledetto carretto. Tu farai strada,
Schein.» Guardò sua moglie, ma Jean non si mosse. E non mise giù la sua
manciata di sassi.
Timothy
Schein toccò il braccio di suo padre. «Posso venire questa volta, papà? Per
favore, fammi venire con te.»
«Okay»
disse Norm, quasi fra sé. Ora si era ripreso. «Qui non ci vogliono.» Si rivolse
a Fran. «Andiamo. Sam spingerà il carretto; penso che possiamo farcela ad
arrivare là prima che faccia notte. Altrimenti dormiremo all'aperto; Timothy ci
aiuterà a proteggerci dagli pseudo-gatti.»
«A
quanto pare non abbiamo scelta» disse Fran, pallida in volto.
«E
portate via anche questo» aggiunse Hooker. Diede loro il piccolo bambino
scolpito. Fran Schein lo prese e lo ripose teneramente nella sua borsa di
pelle. Norm rimise la bambola Connie dentro il carretto, al suo posto. Erano
pronti a tornare indietro.
«Succederà
anche qui, prima o poi» disse Norm, al gruppo di persone, ai casuali di Pinole.
«Oakland è solo più avanti di noi; tutto qui.»
«Andatevene»
li incitò Hooker Glebe. «Partite subito.»
Annuendo,
Norm fece per afferrare le stanghe del carretto, ma Sam Regan lo scansò e le
prese lui. «Andiamo» disse.
I
tre adulti, con Timothy Schein davanti, il coltello sguainato - nel caso
qualche pseudo-gatto attaccasse - si misero in moto in direzione di Oakland,
verso sud. Nessuno parlò. Non c'era niente da dire.
«Peccato
che sia andata così» esclamò infine Norm, quando avevano percorso quasi un
chilometro e non si vedeva alcun segno dei casuali di Pinole dietro di loro.
«Ma
no,» disse Sam Regan «forse è meglio così.» Non sembrava tanto abbattuto. Dopo
tutto aveva perso la moglie; aveva perso più di chiunque altro, eppure... era
sopravvissuto.
«Sono
contento che la pensi come me» disse Norm, serissimo.
Continuarono
a camminare, ognuno immerso nei propri pensieri.
Dopo
un po', Timothy disse a suo padre: «Tutti questi grandi pozzi al sud... ci sono
molte più cose da fare, vero? Voglio dire, non si sta tutto il tempo a
giocare.» Sperava ardentemente di no.
«No,
non si gioca soltanto» rispose suo padre.
Sopra
di loro, una nave-cura fischiò a gran velocità e poi scomparve quasi subito; Timothy
la vide passare, ma senza un particolare interesse, perché di fronte a loro
c'erano tante altre cose da guardare, sul terreno e sottoterra, più a sud.
Suo
padre mormorò: «Quei casuali di Oakland hanno imparato qualcosa dal loro gioco,
dalla loro bambola. Connie doveva crescere e ciò ha costretto tutti loro a
crescere insieme a lei. I nostri casuali non hanno mai imparato da Perky Pat. Mi
chiedo se impareranno mai. Lei dovrà crescere così come ha fatto Connie. Connie
dev'essere stata come Perky Pat, una volta, tanto tempo fa.»
Per
nulla interessato a ciò che suo padre stava dicendo - chi se ne fregava delle
bambole e dei giochi di bambole? - Timothy cominciò ad andare in avanscoperta,
cercando di vedere cosa c'era di fronte a loro, le opportunità e le
possibilità, per lui, per sua madre e suo padre, e anche per il signor Regan.
«Non
vedo l'ora di arrivare» urlò a suo padre, voltandosi, e Norm Schein riuscì ad
abbozzare un debole, faticoso sorriso di risposta.
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Scritto nel 1964 e pubblicato nel 1965 dalla Doubleday, "Le tre stimmate
di Palmer Eldritch" è stato osannato come un grande romanzo
psichedelico, una navigazione allucinata in un mondo surreale creato
dalla droga e dominato dall'inquietante figura di un mostruoso
imprenditore-spacciatore, non del tutto umano e forse strumento di
un'oscura divinità. Ma dietro la storia di una delle più originali
invasioni aliene mai raccontate si nascondono diversi livelli di
lettura, dove la provocatoria meditazione teologica va a braccetto con
la denuncia politica e sociale. Palmer Eldritch, produttore e
spacciatore del chew-z, è forse un abominevole Cristo negativo, forse
personificazione di una tecnica che tutto vede, afferra e mastica; ma
forse è solo una povera vittima, un uomo qualunque..... Introduzione di
Carlo Pagetti. Postfazione di Giuseppe di Costanzo.
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