Gheddafi: Ascesa e caduta
dell’Uomo che volle essere la Libia
Il
20 10 erano 5 anni dalla morte di Gheddafi, assassinato e
decapitato dai ribelli islamisti.
Qui ne ripercorriamo la storia
indissolubilmente legata alla Libia moderna.
Un uomo di grande carisma, di enormi
aspirazioni e ambizioni, ma purtroppo di limitata capacità organizzativa
e di deficitaria visione prospettica, tutto questo è stato il
Colonnello Gheddafi, al secolo Muammar Muḥammad Abū Minyar Abdel-Salam
Qhadhadfa, che per quarantadue anni non solo ha guidato come leader
indiscusso la nazione libica, ma ha preteso di incarnarla personalmente,
quasi a volervisi consustanziare, con uno slancio che travalicava il
politico e l’ideologico e sfociava spesso nel mistico.
A un giorno dal quinto anniversario del
suo assassinio, avvenuto a Sirte per mano di una banda di briganti resi
audaci dalla vergognosa campagna aerea scatenata contro la Libia da NATO
(Francia e Gran Bretagna in primis), Usa, Egitto (all’epoca in mano
all’Ikhwan musulmana), Qatar e Giordania, vogliamo, con una sintetica
biografia, ripercorrere l’odissea umana e politica di un uomo
sicuramente grande, non esente da difetti (alcuni dei quali hanno
contribuito non poco a segnarne il destino) il cui nome verrà comunque
ricordato a lungo, forse per secoli dopo che quelli dei suoi traditori
(e assassini) saranno sepolti sotto le sabbie dell’Oblio.
I primi anni di vita
Mummar Gheddafi nacque nel giugno 1942
in una tenda piantata vicino al villaggio di Qasr abu Hadi, nei pressi
di Sirte, in Tripolitania, proprio mentre le forze armate italo-tedesche
di Rommel e Bastico contendevano alle armate del Commonwealth
britannico il controllo della Cirenaica e di Tobruk, nelle battaglie che
avrebbero in ultimo decretato lo sgretolamento del dominio coloniale
italiano sulla cosiddetta “Quarta Sponda”, che durava ormai da un
trentennio.
Per tutta la vita Gheddafi si considerò un beduino e un “Figlio del Deserto” risiedendo spesso in tende, dove amava anche ricevere ospiti prestigiosi e Capi di Stato, trovando in questo “vezzo” un forte senso di identità (ricordiamo che fece installare un attendamento anche nei giardini di Villa Pamphili nel corso della sua visita ufficiale a Roma nel giugno 2009).
Per tutta la vita Gheddafi si considerò un beduino e un “Figlio del Deserto” risiedendo spesso in tende, dove amava anche ricevere ospiti prestigiosi e Capi di Stato, trovando in questo “vezzo” un forte senso di identità (ricordiamo che fece installare un attendamento anche nei giardini di Villa Pamphili nel corso della sua visita ufficiale a Roma nel giugno 2009).
Immediatamente dopo la guerra
sopravvisse per pura fortuna a un incidente con un residuato bellico che
lo lasciò leggermente menomato a un braccio (e che costò la vita a due
suoi cugini).
In seguito frequentò la scuola coranica di Sirte, l’educazione di impronta religiosa non gli impedì tuttavia di interessarsi ai fermenti nazionalisti che attraversano il Mondo Arabo negli anni della decolonizzazione, letteralmente entusiasmandosi per la figura di Gamal Abdel Nasser.
Proprio per imitare il suo “modello” il giovane Gheddafi si iscrive a diciannove anni all’Accademia Militare di Bengasi, da cui esce ufficiale e diventa anche Capitano dopo un periodo di specializzazione in Inghilterra.
In seguito frequentò la scuola coranica di Sirte, l’educazione di impronta religiosa non gli impedì tuttavia di interessarsi ai fermenti nazionalisti che attraversano il Mondo Arabo negli anni della decolonizzazione, letteralmente entusiasmandosi per la figura di Gamal Abdel Nasser.
Proprio per imitare il suo “modello” il giovane Gheddafi si iscrive a diciannove anni all’Accademia Militare di Bengasi, da cui esce ufficiale e diventa anche Capitano dopo un periodo di specializzazione in Inghilterra.
L’influenza italiana infatti nel Secondo
Dopoguerra ha ceduto il passo a quella sionista angloamericana, con Re Idris che
concede ricchi contratti petroliferi a compagnie Usa e Inglesi e
affitta all’USAF una base su suolo libico (Wheelus) dove sono schierati
bombardieri strategici B-36, B-47 e B-50, “cisterne volanti” per il loro
rifornimento e jet da caccia F-86 ed F-100, nonché batterie di missili
balistici “Matador”.
Il Golpe panarabista
Re Idris dei Senussi è vecchio e molto
malato e, durante una sua trasferta in Turchia per motivi medici Gheddafi si unisce a un gruppo di ufficiali dell’Esercito che ritengono
maturi i tempi per un’insurrezione nazionalista che instradi il paese
sulla via già seguita da Egitto, Siria, Algeria e altri paesi di lingua e
cultura araba; il “golpe”, senza alcuno spargimento di sangue, riesce
completamente e dall’estero il monarca detronizzato ne accetta l’esito.
Tra
i congiurati Gheddafi emerge subito come la figura più vivace,
carsimatica, decisa, in grado di suscitare passione e approvazione da
parte di una popolazione non numerosa e fino a quel momento piuttosto
aliena da grande trasporto per la politica: viene iniziato un ambizioso
programma di riforma, la nazione viene ribattezzata “Jamariyah Libica
Araba e Socialista” e Gheddafi, nazionalizzando le risorse naturali,
espellendo le forze militari americane, (e in seguito espropriando ed
espellendo anche la non piccola comunità di Italiani di Libia) cerca di
propugnare una sua personale sintesi di Socialismo Nazionale,
Panarabismo e Islam misticheggiante, i cui principi enuncia nel “Libro
Verde” (chiaramente ispirato alla più celebre antologia maoista).
La politica estera della nuova Repubblica “Araba e Socialista”
La Libia rapidamente si allinea con
Egitto, Siria e altre potenze nazionaliste e socialiste del Mondo Arabo,
ma, una volta mancato Nasser (che Gheddafi fa in tempo a incontrare più
volte tributandogli immensa stima e devozione), il rais libico
comincia a covare ambizioni egemoniche, che lo porteranno ad assumere
atteggiamenti e iniziative ambiziose ma spesso mal preparate o studiate,
dandogli una fama di mercurialità che non lo abbandonerà per il resto
della sua vita.
La guerra con Sadat
Quando l’Egitto di Anwar Sadat decide di
troncare i rapporti con l’URSS e il campo socialista e di allearsi con
gli Usa le relazioni Cairo-Tripoli precipitano e sfociano addirittura in
una breve guerra di confine che dura poco più di 72 ore tra il 21 e il
23 lugli del ’77.
Le truppe di Gheddafi ebbero la peggio, subendo perdite molto più consistenti di quelle nemiche, ma alcuni analisti sostengono che, attaccando per primo, il leader libico “bruciò” sul tempo un complotto egiziano per rovesciarlo dall’interno aizzandogli contro una parte del suo stesso establishment, costringendo gli 007 di Sadat ad abbandonare il piano.
In compenso il leader sirtino si “vendicò” dando asilo e protezione al Generale egiziano Saad Shazli, “padre” dei commando del Cairo e strenuo oppositore della ‘svolta’ filo-occidentale di Camp David.
Le truppe di Gheddafi ebbero la peggio, subendo perdite molto più consistenti di quelle nemiche, ma alcuni analisti sostengono che, attaccando per primo, il leader libico “bruciò” sul tempo un complotto egiziano per rovesciarlo dall’interno aizzandogli contro una parte del suo stesso establishment, costringendo gli 007 di Sadat ad abbandonare il piano.
In compenso il leader sirtino si “vendicò” dando asilo e protezione al Generale egiziano Saad Shazli, “padre” dei commando del Cairo e strenuo oppositore della ‘svolta’ filo-occidentale di Camp David.
Il panafricanismo
L’ambizione di Gheddafi era molto vasta e
andava al di là dell’arena del Mondo Arabo, conscio della posizione
centrale della Libia nel Nordafrica e della sua grande ricchezza, egli
cercò dalla metà degli anni ’70 di farsi portavoce di istanze
panafricaniste, aumentando il raggio della sua attività politica
all’Africa Nera, persino rivolgendosi a paesi molto distanti
geograficamente.
Un esempio in questo senso furono gli aiuti prestati a “uomini forti” africani come Jean Bedel-Bokassa
(interrotti però quando egli smise di dichiararsi musulmano) e con
l’ugandese Idi Amin Dada, che al contrario di Sadat era passato dal
campo filo-occidentale e filo-israeliano a quello terzomondista,
convertendosi anche all’Islam.
Gheddafi lo sostenne nel suo tentativo di
muovere guerra alla Tanzania tra la fine del 1978 e la primavera del
’79, inviando in quella nazione persino un corpo di spedizione
libico-palestinese di diverse migliaia di uomini che però ebbe molte
difficoltà a operare in un ambiente ecuatoriale arrivando a subire ben
seicento perdite prima che l’Uganda capitolasse e Idi Amin Dada perdesse
il potere e dovesse quindi rifugiarsi in Arabia Saudita.
Gli anni ’80 e Ustica
Per tutti gli anni ’80 (ed anche
oltre) Gheddafi venne ripetutamente chiamato in causa, sia pure in
maniera indiretta, nel corso delle contrastanti ricostruzioni degli
eventi che portarono all’abbattimento del DC-9 Itavia nei cieli di
Ustica, avvenuto il 27 giugno ’80.
Una versione degli eventi trascorsi
quella notte nei cieli del Tirreno (a un certo punto sostenuta anche
dall’Ex-presidente Francesco Cossiga) voleva l’abbattimento conseguente a
una battaglia aerea tra MiG libici e Mirages francesi decollati dalla
portaerei Clemenceau intenzionati a eliminare il Colonnello nel
quadro di una ostilità di vecchia data tra i Transalpini e la Jamariyah
libica, accusata dall’Eliseo di destabilizzare la francosfera africana
con le sue iniziative.
Il MiG-23 schiantatosi a Castelsilano
(ufficialmente il 18 di Luglio 1980) in realtà sarebbe precipitato
proprio la notte del 27 giugno, oltre due settimane prima, in seguito
alla battaglia aerea sostenuta coi jets di Parigi, ipotesi sostenuta
dalle risultanze dell’autopsia sul cadavere del pilota libico (Capitano
Ezzeden Khalid), che, effettuata il 23 luglio, trovava la salma in
“avanzatissimo stato di decomposizione”, più compatibile con una morte
avvenuta da oltre venti giorni che non risalente a meno d’una settimana
prima.
Nel 1981 un’altra battaglia aerea vide, purtroppo, i
jets di Gheddafi (in quell’occasione due Sukhoi-22) avere la peggio
contro una coppia di F-14 decollati dalla portaerei Usa “Nimitz”, che
insieme alla “Forrestal” stava pattugliando il Golfo della Sirte,
dichiarato, a ragione, dal rais libico, come facente parte delle acque territoriali
di Tripoli (per poterne sfruttare le pescosissime acque, dove incrociano
i banchi di tonno rosso più cospicui del Mediterraneo).
Le campagne africane
Né maggior fortuna incontrò un’altra
“impresa africana” di Gheddafi, la guerriglia a bassa intensità
scatenata dalla fine degli anni ’70 al 1987 contro il Ciad (altro Stato
della Francosfera, pesantemente sussidiato e aiutato da Parigi) per il
controllo della “Striscia di Aouzou”, quadrilatero di terreno arido e
spopolato tra il Sud della Libia e il Nord ciadiano, di cui si
sospettava la ricchezza in giacimenti di petrolio, manganese e,
soprattutto, uranio.
Il Colonnello libico rivendicava il
territorio ciadiano in base a un accordo siglato nel 1935 tra Benito
Mussolini e Pierre Laval, mentre l’ONU, ovviamente, sosteneva le ragioni di N’Djamena
e Parigi a considerarlo parte integrante del Ciad.
Inizialmente le
vicende armate sembrarono arridere alla causa libica, con i guerriglieri
sostenuti da Tripoli che arrivarono a conquistare la capitale del Ciad,
ma l’eccessiva interferenza di Gheddafi nei processi politici interni
dei suoi alleati ciadiani (col sostegno palese dato ai leaders di
parziale discendenza araba e di fede islamica) impedì la costituzione di
un nuovo stato ciadiano amico e alleato del vicino settentrionale e
causò il compattarsi di tutti i ciadiani anti-libici attorno alla figura
di Hissene Habré, leader di etnia Toubous che inizialmente era stato
filo-libico per poi cambiare campo di fronte all’aperta preferenza di Gheddafi per i suoi colleghi arabo- musulmani.
Col sostegno zairese, nigeriano e
senegalese (oltre che di “istruttori” e consiglieri della Legion
Etrangére francese) Habré e i suoi lealisti ripresero il controllo della
capitale nel giugno 1982 e resistettero a sempre più massicci tentativi
libici di controffensiva fin quando nell’agosto 1983 il Presidente
Mitterand ordinò un diretto intervento francese in Ciad (Operazione
Manta) che divise il paese all’altezza del 16esimo parallelo,
lasciandone circa il 40 per cento sotto l’occupazione “de facto” della
Libia e dei suoi alleati locali.
Gheddafi scialacquò il capitale di
prestigio che aveva presso i ciadiani filo-libici, comportandosi spesso
da conquistatore piuttosto che da alleato e patrono, e innescando una
lotta intestina che nel giro di alcuni anni distrusse il movimento
ciadiano a lui favorevole lasciando le sue forze armate come occupanti
straniere in territorio ostile, una situazione che i Francesi volsero a
loro vantaggio scatenando contro i Libici una campagna di guerriglia (la
cosiddetta “Toyota War” per l’uso massiccio di fuoristrada da parte dei
ciadiani al posto di ‘veri’ veicoli militari) che tra il 1986 e il 1987
cacciò i libici dal Ciad settentrionale e portò persino alla cattura e
all’incarcerazione del Generale libico Khalifa Haftar, Capo di Stato
Maggiore di Gheddafi, inviato a cercare, senza successo, di salvare la
situazione.
Il Generale Khalifa Haftar, attuale Ministro della Guerra del Governo di Tobruk, poco prima dell'assassinio rituale del parlamentare Gianluca Buonanno in riunione con lo stesso leghista ora dimenticato dalla stessa Lega
Le sconfitte e le mosse azzardate
Di fronte alle sconfitte militari,Gheddafi, con un istinto da “giocatore incallito”, aveva la tendenza a
“rilanciare” con sostegno e appoggio fornito ai gruppi che pensava
potessero colpire o comunque impensierire in maniera indiretta coloro
che lo avevano offeso o sconfitto direttamente: in questo senso si
spiega il supporto che fornì a enti e organizzazioni anche ben distanti
dall’arena mediorientale o araba, come ad esempio l’IRA o l’African
National Congress di Nelson Mandela.
Nel 1986 un attentato in Germania Ovest
distrusse una discoteca frequentata da personale americano di una vicina
base NATO; tanto bastò perché il bellicoso presidente-cowboy Ronald
Reagan ordinasse un massiccio bombardamento (“ElDorado Canyon”) della
capitale libica e di Bengasi, volto proprio a eliminare fisicamente il
rais sirtino: l’Italia di Craxi negò le proprie basi per una simile operazione, e
gli F-111 dell’USAF dovettero adattarsi a partire da scomode basi
inglesi e volare fino al Mediterraneo, tuttavia il leader libico si
salvò e, apparentemente, ordinò per rappresaglia il lancio di due
vettori missilistici contro Lampedusa, che tuttavia mancarono il
bersaglio.
Il 1989 porta a nuove collisioni tra la
Libia e l’asse angloamericano, con l’attentato al jet di Lockerbie (Pan
Am 130) che viene immediatamente attribuito ai suoi servizi segreti (in
realtà senza nessuna prova realmente evidente) e una susseguente
recrudescenza di duelli aerei nel Golfo della Sirte (con due MiG-23
perduti di contro due F-14 della USS Kennedy) e uno strangolante embargo
commerciale dichiarato poco dopo (particolarmente vulnerante visto che
in quel periodo il blocco socialista precipitava nell’abisso).
Anni ’90: Gheddafi torna a miti consigli
Negli anni ’90 Gheddafi sembra
rinunciare ai sogni di gloria militare e di sostegno alle cause
anti-imperialiste in un mondo che sembra diventare sempre più unipolare
ed egemonizzato dagli USA; arriva persino a un tacito accordo di
smantellamento dei suoi programmi (veri o presunti) di armamento non
convenzionale, in cambio della rimozione dell’embargo (1999).
Nei
rapporti bilaterali con l’Italia, che nonostante tutto hanno visto
Tripoli come un investitore privilegiato nel panorama economico dello
Stivale (ricordiamo che negli anni ’80 Tripoli possedeva qualcosa come
il 14 per cento della FIAT), Gheddafi optò per un progressivo
avvicinamento con Roma, specialmente negli anni di Governo di Silvio
Berlusconi, Premier che, checché se ne dica, era molto più attivo,
indipendente e creativo dal punto di vista delle relazioni
internazionali di certi “ex-comunisti” fin troppo entusiasti di eseguire
le direttive washingtoniane.
Gli ultimi anni e le Primavere Arabe
L’inizio del 21esimo secolo vede un Gheddafi ormai invecchiato eppure ancora arroccato sulla sua posizione
di leader, apparentemente non preoccupato di prepararsi una successione
come alcuni grandi leader arabi (Assad Padre) hanno già fatto da tempo e
come altri (Mubarak che, ancora poco prima di venire destituito,
preparava per il Governo il figlio Gamal) si apprestavano a fare.
A quel punto, nell’ondata delle
cosiddette “Primavere Arabe” tutti i risentimenti e le ostilità in
primis francesi, ma anche inglesi e dei regimi (Qatar e Turchia), che
pensano di poter egemonizzare il mondo islamico con la tentacolare
multinazionale della “Fratellanza Musulmana”, si scatenarono contro la
Jamariyah ‘verde e socialista’ istigando contro il rais di Sirte quella
parte di paese (la Cirenaica col suo capoluogo Bengasi) che aveva
ragione di sentirsi “esclusa” e trattata “da figliastra” da un leader
che, seguendo la tradizione beduina (sempre di un Figlio del Deserto si
trattava) preferiva affidare incarichi e posizioni a parenti e compagni
di clan e tribù piuttosto che perseguire politiche meritocratiche o di
coesione nazionale.
Crediamo
che fare una cronaca pur succinta della caduta della Jamariyah libica e
degli ultimi giorni di Gheddafi sia ridondante, essendo l’argomento
ancora molto recente, in questo nostro affresco biografico abbiamo
voluto lanciare falci di luce su momenti magari meno noti della
biografia politica del personaggio e portare il lettore a potersi
formare così un quadro più completo sulla vita e l’opera di un uomo che,
a buon diritto, merita comunque un posto nella galleria dei grandi
leader arabi e africani.
Paolo Marcenaro
deca
personaggio di grande carisma ma assolutamente impreparato sotto il punto di vista diplomatico. Incapace di ragionare su più livelli e saper scegliere con discernimento le politiche da adottare. Primo grosso errore è stato quello di estraniare gli italiani poi quello di non preparare adeguatamente le sue forze armate alle più recenti tecnologie e tallone d'Achille il parossismo islamico che di fatto è incapace di ragionamento. Invece di aggregare le tribù ha preferito di attorniarsi di persone che come lui poco capivano di strategie in un mondo che stata evolvendo. E' l'ennesimo caso che poteva essere ma non è stato e le ragioni sono da ricercare oltre quanto scritto in una corruzione dimentica degli insegnamenti secolari berberi. Chi in qualche modo tradisce le sue origini è destinato al fallimento
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