Schiavizzati in modo bizzarro dalle banche tipografe
Lo Stato Italiano (e gran parte degli altri Stati Sovrani nel Mondo) ha
abdicato la propria Sovranità Monetaria a favore della Banca Centrale
(prima Banca d’Italia di proprietà dello stesso Stato, ora Banca
Centrale €uropea, banca straniera e privata, di banchieri apolidi e
gangsters).
Questi “Fantasmi Giuridici” sono privati, appartengono a Banche Private
di Banchieri Privati stranieri sionisti ed apolidi, e quindi rispetto al Cittadino (ignaro, ignorante,
indifeso e spesso indifferente) adoperano la logica del ‘servirsi’ e non del ‘servire’, unico comportamento etico (v. Giacinto Auriti).
Come
tutte le Corporazioni, le Banche non sono orientate all’Etica ma al
Profitto (v. Domenico De Simone). I politici sono “camerieri dei
banchieri” per quei personaggi che hanno saputo ‘vedere’ al di là della
cortina di fumo e menzogna che cela la vera realtà del sistema bancario e finanziario dell’Italia e di tutto il Mondo e che
si chiama Usurocrazia (v. Ezra Pound).
Se lo Stato stampasse la propria
moneta, come conia le proprie monetine, si estinguerebbe di colpo il
mostruoso Debito Pubblico che grava su tutti Noi, i Nostri Figli e
quindi il Nostro Futuro. Si spezza così la catena della schiavitù della moneta-bancaria, catena forgiata
dalla creazione dal nulla della monetadebito (‘ex nihilo’ – v. Maurice
Allais).
Il Popolo, di nuovo padrone della propria Sovranità Monetaria,
tornerebbe a Vivere.
Lo Stato tipografo
Facciamo
un esempio: lo Stato paga un Dipendente Pubblico 1.400 euro, che in
contanti equivale ad un mazzetto di 14 banconote da 100 euro nominali
(valore nominale = di facciata, quanto stampato sulla carta-moneta).
Attualmente ogni banconota costa allo Stato 100 euro, più gli interessi
(mettiamo che il Tasso di Sconto, che è il costo del denaro tra Banca Centrale e Banche
Locali, è al 2,5% e che si applichi anche allo Stato).
Al Banchiere la
stessa Banconota costa 3 centesimi di euro (3 eurocent = 0,03 euro =
valore intrinseco = costo di produzione = costo medio della carta,
inchiostro, tecniche anticontraffazione ecc…). Il Banchiere, generalmente un sionista apolide, ricava 1.435 euro (100 x 2,5% x 14). Il Banchiere
spende 0,42 euro (14 x 0,03).
Il Banchiere sionista apolide guadagna 1.434,58 euro (1.435
– 0,42) e questo è il signoraggio primario sullo stipendio di un singolo
dipendente.
Quanti sono i Dipendenti Pubblici? 3 milioni? Quant’è lo
stipendio medio? Quello indicato? Un po’ meno, un po’ di più? Fate voi
gli aggiustamenti…
Uno stipendio di 1.400 euro ‘costa’ allo Stato 1.435
euro. Lo stesso meccanismo per una strada, un ospedale, un ponte, un
carroarmato, un telefono…
E queste spese dello Stato vanno saldate, con
le Tasse.
Calcoliamo, da Bar dello Sport, la Tassa che tutti i cittadini
devono pagare per saldare 1.435 euro x 3 milioni di dipendenti
pubblici. Non facciamoci distrarre e lasciamo ai politici giocare sul fatto se i Dipendenti pubblici sono
tanti o pochi o il giusto, e se i ponti servono o non servono, se gli
Ospedali e le scuole vanno privatizzate o no.
Noi ormai abbiamo capito
che anche UN SOLO dipendente costerà sempre più di quanto il poverino
intasca.
Facciamo due conti: 1.435 x 3.000.000 = 4.305.000.000 euro !
4,3 miliardi di euro al mese! e poi ci sono le strade, gli Ospedali ecc…
E se lo Stato stampasse i propri soldi?
Stampare un mazzetto di
banconote che valgano 1.400 euro costa 0,42 euro, ricordiamolo… 0,42 x
3.000.000 = 1.260.000 euro!
Il Pubblico Impiego allo Stato costerebbe
1,6 milioni di euro al mese!
E’ assurdo?!?! 4,3 miliardi di euro contro
1,6 milioni di euro?
Quanti contribuenti ci sono in Italia ?
Facciamo pagare anche i gatti?
Diciamo 30 milioni?
Trovate Voi i dati precisi. .. 4,3 miliardi di euro /
30 milioni di tassati = 143 euro!
1,6 milioni di euro / 30 milioni di
tassati = 0,05 euro!
Con il signoraggio primario del Banchiere apolide e sionista, il Pubblico Impiego costa al
Contribuente (attualmente) 143 euro al mese, senza signoraggio invece,
solo 0,05 euro al mese.
E gli impiegati non perderebbero Potere
d’Acquisto perché le banconote sarebbero garantite dallo Stato, quindi
dalla comunità tutta, per semplice convenzione, perché la banconota avrebbe il valore che tale convenzione
‘induce’ nella carta.
E’ il Popolo che accettando la carta-moneta (per
convenzione tra i Cittadini stessi di una Società) ne crea il valore,
con il principio dell’induzione, scoperto dal Prof. G. Auriti.
Non serve neanche la riserva aurea (in ogni caso e di fatto già assente
dal 1971, con la fine degli accordi di Bretton Woods, per volere di
Nixon e la chiusura della Gold Window).
Stesso discorso per le strade, pensionati, ospedali…
Lo Stato pagherebbe le Ditte che fanno le Grandi Opere con moneta
propria, non carica di Usura Bancaria.
La realizzazione di Servizi e
Lavori Pubblici saranno discussioni squisitamente politiche e non
economiche. Sarà il consenso popolare a determinare investimenti, senza
dipendere da Usurai.
Se il Popolo ritiene necessario un ponte, lo Stato
stampa i soldi necessari per fare quel ponte. Così non si avrà
inflazione perché, a costo zero (spese tipografiche), si crea il
bene-moneta per realizzare il ponte, ossia il suo equivalente Bene Reale
(concetto base del Credito Sociale. v. L’Isola dei Naufraghi, di Louis
Even).
Da qui si può partire per creare il Reddito di sovranità,
perno concettuale e pratico per slegare il Popolo dalle angherie e
ricatti dei Detentori del Potere d'Emettere Moneta.
Il segreto del capitale
Avete accumulato un piccolo o grande risparmio: 50 mila euro, 100 mila.
Anche 500 mila, se siete un dentista o un bottegaio del pd.
La propaganda del
capitalismo terminale vi invita, anzi vi spinge, vi obbliga a farlo
fruttare: nel futuro, vi dice la sirena seduttrice, vi ritroverete con
una bella somma, ben accresciuta, che renderà serena la vostra vecchiaia.
Voi, perciò, affidate i vostri
risparmi a un fondo d’investimento, a un fondo pensione. Se i risparmi
sono alti, a una società di gestione dei patrimoni.
Ogni fondo ha un
gestore: un esperto, uno che sa – diversamente da voi – come far
fruttare i vostri soldi. Li impiega in azioni e obbligazioni, da esperto
qual è: i titoli più lucrosi, nel mix più sapiente.
La
realtà è un po’ diversa.
La prima cosa che fa’ il gestore, appena
ricevuti i vostri soldi, è: comprarsi la Mercedes più grossa sul
mercato, aggiungervi una Porsche per i suoi week-end, accaparrarsi un
attico di lusso.
Per vivere da ricco.
La Mercedes nuova del gestore
dovrebbe suscitare qualche sospetto. Si sta occupando davvero di far
diventare ricchi noi?
La Mercedes l’ha comprata coi soldi nostri;
fossero stati suoi, magari, avrebbe scelto un modello più economico.
Speriamo almeno che accresca il nostro risparmio, il nostro modesto
capitale.
In realtà, i gestori dei fondi, in media, non riescono quasi mai a
battere l’indice.
Lo hanno provato studi seri: perdono soldi più o meno
come avreste fatto voi, se aveste giocato in Borsa personalmente.
Almeno
vi sareste rovinati da soli, senza pagare commissioni.
Perché questo è
il punto: perda o vinca, per il gestore è lo stesso. Lui, guadagna
sempre: si fa pagare per gestire i vostri risparmi. In anticipo.
Grasse
commissioni. Il capitale, del resto, mica è suo: è vostro. Suo è il
lucro.
Ancor peggio, se vi consigliano di mettere i soldi in azioni.
Dicono in America: sulla porta di Wall Street (la Borsa) c’è una
scritta: Caveat Emptor, stia attento il compratore. Ma questa scritta la
vedono solo gli esperti, gli speculatori professionali. E, loro, non
hanno nessun interesse ad aprirvi gli occhi, perché la vediate anche
voi.
Anzitutto, non vi avvertono che la Borsa è come la caccia alla
volpe: un gioco per grandi abbienti.
Anche negli Stati Uniti, dove tutti
hanno qualcosa in azioni, il 10 per cento delle famiglie detiene l’86 per cento dei titoli.
Uno degli scopi primari (e il meno
confessato) della Borsa è di fabbricare capital gains (profitti sul
capitale) per consentire ai miliardari di evitare le tasse: il prelievo
fiscale sui redditi di lavoro è aggressivamente progressivo, sui capital
gains o è zero, o è a percentuale piatta (non aumenta col reddito).
Ma la Borsa serve anche per fabbricare perdite, in modo da compensare profitti: sempre per consentire ai signori di sfuggire al fisco.
Tuttavia, la Borsa ha bisogno dei piccoli risparmiatori.
Altrimenti, essendo un gioco a somma zero, chi potrebbero spogliare i professionisti dell’azzardo? Da qui l’invito generale, nei tempi del capitalismo ultimo, a diventare tutti azionisti.
Lo chiamano capitalismo democratico: senza dire che esso presenta per il padronato alcuni vantaggi collaterali. Per esempio, se un’azienda paga i suoi lavoratori, in parte, con proprie azioni (come avviene in Usa, e si vorrebbe cominciare a fare in €uropa), su quell’emolumento non deve sborsare i contributi previdenziali.
Cercano di stimolare persino il vostro patriottismo: mettendo i risparmi in Borsa, finanziate le aziende italiane (non è vero: le imprese si finanziano sul mercato dei titoli solo in percentuale marginale; per lo più s’indebitano con le banche, emettono bond od obbligazioni, o presso merchant bank).
Sempre più seducente, si ripete l’urgente invito a investire i risparmi nei fondi, anche per assicurarsi la pensione: tra vent’anni, il vostro pacchetto di azioni avrà preso un bel valore, e potrete cominciare a realizzarlo.
E’ una frode: le azioni, fra vent’anni, saranno quasi sicuramente ribassate.
Per il solo fatto che allora ci saranno meno italiani di oggi, e quindi la domanda di azioni sarà più debole.
Negli anni ’70, un analista americano di nome Gelvin Stevenson provò a confrontare le performances borsistiche secondo le varie classi di reddito: scoprì che chi ha redditi alti vince, e chi ha redditi bassi, tendenzialmente, perde.
E che perde tanto più, quanto più il suo reddito è basso.
Ma la Borsa serve anche per fabbricare perdite, in modo da compensare profitti: sempre per consentire ai signori di sfuggire al fisco.
Tuttavia, la Borsa ha bisogno dei piccoli risparmiatori.
Altrimenti, essendo un gioco a somma zero, chi potrebbero spogliare i professionisti dell’azzardo? Da qui l’invito generale, nei tempi del capitalismo ultimo, a diventare tutti azionisti.
Lo chiamano capitalismo democratico: senza dire che esso presenta per il padronato alcuni vantaggi collaterali. Per esempio, se un’azienda paga i suoi lavoratori, in parte, con proprie azioni (come avviene in Usa, e si vorrebbe cominciare a fare in €uropa), su quell’emolumento non deve sborsare i contributi previdenziali.
Cercano di stimolare persino il vostro patriottismo: mettendo i risparmi in Borsa, finanziate le aziende italiane (non è vero: le imprese si finanziano sul mercato dei titoli solo in percentuale marginale; per lo più s’indebitano con le banche, emettono bond od obbligazioni, o presso merchant bank).
Sempre più seducente, si ripete l’urgente invito a investire i risparmi nei fondi, anche per assicurarsi la pensione: tra vent’anni, il vostro pacchetto di azioni avrà preso un bel valore, e potrete cominciare a realizzarlo.
E’ una frode: le azioni, fra vent’anni, saranno quasi sicuramente ribassate.
Per il solo fatto che allora ci saranno meno italiani di oggi, e quindi la domanda di azioni sarà più debole.
Negli anni ’70, un analista americano di nome Gelvin Stevenson provò a confrontare le performances borsistiche secondo le varie classi di reddito: scoprì che chi ha redditi alti vince, e chi ha redditi bassi, tendenzialmente, perde.
E che perde tanto più, quanto più il suo reddito è basso.
Fino
a pochi anni fa, gli agenti di Borsa – mediatori necessari, se volete
acquistare azioni – erano una casta chiusa, un monopolio. Questi
sacerdoti del mercato e del rischio, stranamente, si erano protetti da
ogni rischio, e dalla concorrenza sui prezzi. Si facevano pagare in
commissioni fisse.
Ancor oggi, che vincano o perdano (coi soldi vostri),
ha poca importanza: loro incassano per ogni transazione che operano a
vostro nome. A volte comprano e acquistano coi soldi vostri, solo per
accrescere il loro onorario.
Diversi anni fa, a New York, un povero
risparmiatore di nome Guy R. Pierce affidò il suo modesto gruzzolo, 3
mila dollari, agli agenti Richard, Ellis & Co. Nel giro di un mese,
Pierce ritrovò il proprio patrimonio ridotto a 110,98 dollari in
liquidità e 50 dollari in azioni.
Come scoprì il giudice a cui il
malcapitato si rivolse, il suo agente era giunto ad operare sul conto
del cliente, in un mese, “fino a 15 acquisti di un solo titolo per
complessivi 31 mila dollari, e altrettante vendite di quel solo titolo
per oltre 26 mila dollari.
In un caso il broker vendette allo scoperto
un titolo per ricomprarlo lo stesso giorno, perdendo in entrambe
le transazioni”. Per questa splendida performance, la Richard, Ellis
& Co. addebitò a Pierce commissioni per 1.022 dollari. Il capitalismo
terminale, finanziario, come tende a retribuire il minimo possibile il
lavoro, così tende a non retribuire il risparmio.
In ogni caso, la sua
vittima predestinata è il lavoratore-produttore, colpito da due parti:
da salariato, e da risparmiatore. Il risparmio è una sciagura, di questi
tempi.
Come Pinocchio, incauto, mostra al Gatto e alla Volpe i suoi
zecchini d’oro, così accade a voi risparmiatori quando mettete il denaro
risparmiato in banca.
In tal modo, il Gatto e la Volpe sono al corrente
di quanto avete. Da quel momento, hanno un solo pensiero: portarvi via i
soldi.
Già il bancario allo sportello, ben istruito, vi fa’ notare che tenete cifre troppo grosse sul conto corrente, che non rende niente (ma non è la banca a fare in modo che non renda niente?).
Mettetelo nei nostri fondi, il vostro capitale. Che rendono il 3, il 5. Detratte, come ovvio, spese e commissioni. A Pinocchio, il Gatto e la Volpe parlarono di un favoloso orto, dove gli zecchini, seminati, avrebbero generato alberi di zecchini, con frutti d’oro.
Già il bancario allo sportello, ben istruito, vi fa’ notare che tenete cifre troppo grosse sul conto corrente, che non rende niente (ma non è la banca a fare in modo che non renda niente?).
Mettetelo nei nostri fondi, il vostro capitale. Che rendono il 3, il 5. Detratte, come ovvio, spese e commissioni. A Pinocchio, il Gatto e la Volpe parlarono di un favoloso orto, dove gli zecchini, seminati, avrebbero generato alberi di zecchini, con frutti d’oro.
Voi risparmiatori venite convinti, né più né meno di Pinocchio, che quel
campo dei miracoli esiste.
E dove sia, lo sa solo il gestore.
Invece, se proprio le cose vanno bene – se la Borsa sale, una situazione in cui anche gli inesperti guadagnano – il gestore sì farà fruttare il vostro risparmio il 7, anche il 18%; ma a voi, fateci caso, sarà attribuito il 4, o il 14%. Il resto, arricchisce i gestori.
Se le cose vanno male in Borsa e il gestore (come sareste capace di fare anche voi) perde, il danno è tutto vostro.
E dove sia, lo sa solo il gestore.
Invece, se proprio le cose vanno bene – se la Borsa sale, una situazione in cui anche gli inesperti guadagnano – il gestore sì farà fruttare il vostro risparmio il 7, anche il 18%; ma a voi, fateci caso, sarà attribuito il 4, o il 14%. Il resto, arricchisce i gestori.
Se le cose vanno male in Borsa e il gestore (come sareste capace di fare anche voi) perde, il danno è tutto vostro.
Edmund Burke, massone, contiguo alla loggia destabilizzante Illuminati, della Baviera
Non
rivedrete più il vostro capitale.
Ve ne daranno due o tre motivi.
Primo: “non le conviene uscire adesso”.
Secondo: “il suo capitale, in
questo momento, non è liquido” (i titoli non sono realmente liquidi,
ossia vendibili in tempi di crisi, di calo rapido dei corsi: nessuno li
compra).
Fino al terminale argomento: “il suo capitale è perduto. Non
sapeva di averlo impiegato in un investimento a rischio?”.
E’ il metodo
del Gatto e della Volpe. Il vostro capitale, per loro, è un fastidioso
passivo: perché devono pagarvi qualcosa, un interesse, un frutto,
sborsandolo di tasca loro. L’attivo, per loro, non è il vostro capitale,
sono i frutti che loro possono introitare, moltiplicati, dal vostro
risparmio.
Quelli, se li tengono loro quanti più possono. Ma allora che
fare? Lasciare i soldi in banca, su conto corrente che non rende niente?
Perché almeno sono liquidi, cioè li potete ritirare in ogni momento?
Ah, poveri imperdonabili Pinocchi: voi ignorate tutto della banca,
ignorate i trucchi del credito, ignorate gli impegni che avete assunto
quando avete messo i soldi in banca.
E’ appunto sulla vostra ignoranza
che ingrassano i finanzieri, gli speculatori, i banchieri.
Il trucco
comincia lì, proprio nella banca. La banca vi fa’ credere che presta il
vostro denaro ad attività produttive. Se avete messo 100.000 euro in
deposito, essa presta – vi fa’ credere – i 100.000 euro a un
imprenditore che chiede un fido. Così spiega la forbice fra il tasso
passivo che paga a voi – l’1 per cento d’interesse, che con l’addebito
delle spese diventa lo 0 per cento, o addirittura un interesse negativo
(e voi già ci perdete, per il solo fatto di aver affidato i soldi alla
banca) – e il tasso attivo che fa’ pagare all’imprenditore,
indebitandolo: il 7%, magari il 12 o più. Voi credete che questo sia il
lucro della banca: 7 meno 1, 12 meno uno. In percentuale su quei 100
mila euro, fa’ un guadagno di 7mila o 12mila.
Un po’ eccessivo, ma
insomma la banca corre dei rischi: l’imprenditore può diventare
insolvente, la banca ha delle spese. Il lucro è legittimo. Così credete
voi.
Ma la banca, sul vostro deposito, in realtà lucra non il 7 ma il
28%, non il 12 ma il 48%. La banca ha davvero scoperto il campo
moltiplicatore degli zecchini; solo, non ve ne fa partecipi. A voi,
riconosce solo l’1 per cento. Come avviene?
Dov’è il trucco?
Il trucco
è: quando voi depositate in banca 100 euro, la banca può creare fra i 10
e i 20 prestiti da 100 euro ciascuno: ossia “crea” moneta per mille o
duemila euro. Nei paradisi fiscali, dove non si richiedono riserve
obbligatorie, anche di più, fino a 10 mila euro. E su tutto quel denaro
inventato e dato a prestito la banca lucra gli interessi.
Ma come fa’ la banca, obietta Pinocchio, a prestare denaro che non ha in
cassa?
Può perché sa che i depositanti non ritireranno tutti insieme la
totalità dei loro depositi, né i debitori realizzeranno di colpo i loro
fidi.
Lo faranno a poco a poco, secondo necessità; lo faranno per lo
più emettendo assegni, non ritirando contanti. Basterà il flusso di
cassa (il debitore paga gli interessi con denaro vero) per consentire
alla banca di pagare contanti ai depositanti, relativamente pochi, che
chiedono soldi veri. Per mantenere il pubblico nell’illusione che la
banca è solvente, che i soldi li ha.
Ma quei soldi, non sono altro che
scritture contabili. Tra l’85 e il 95% del denaro circolante è creato
dalle banche private e sioniste.
Attraverso l’apertura di credito. Moneta-credito.
Moneta
scritturale, come si dice nel gergo della banca. O anche, in America:
moneta creata dall’aria, fiat money.
O come dice Maurice Allais, l’unico
economista Nobel affidabile: moneta creata ex nihilo. “Ex nihilo”: può
essere più chiaro?
Ezra Pound, che aveva compreso il trucco, ne era diventato quasi pazzo
nello sforzo di avvertirne il pubblico, di gridarlo in versi ruggenti,
di svegliare Pinocchio, l’ingannato, dalla sua auto-illusione. Citava di
continuo la definizione che l’Enciclopedia Britannica, monumento del
pensiero politicamente corretto, dava della banca: “la banca lucra gli
interessi dal denaro che crea dal nulla”.
Ogni banca, avendo in cassa
depositi per cento euro, paga per quel deposito l’1 per cento; poi ne
presta almeno 400 al 7%, lucrando 28 euro di interessi. Si può essere
più chiari di così?
Ma Pinocchio continua a dormire: noi, voi. Pound
sapeva anche questo, e citava una frase che il primo lord Rotschild
avrebbe pronunciato nel 1861: “pochissimi capiranno il sistema, e quelli
che lo capiranno saranno occupati a far soldi. Il pubblico
probabilmente non capirà che è contro il suo interesse”.
E’ così.
Talora, in certi momenti roventi della storia economica, specie in Usa,
le banche hanno creato denaro dal nulla in percentuali enormi, senza il
più flebile rapporto coi depositi di cui avevano l’affidamento.
In quei
rari momenti, tragici crack che rovinavano milioni di uomini e donne, il
loro bluff è stato rivelato: troppi depositanti si sono precipitati
allo sportello per riprendersi i soldi, e si è visto che la banca, quei
soldi, non li aveva.
Ma da tempo hanno imparato la quota di espansione
della moneta falsa che non inquieta i gabbati risparmiatori.
Nei
paesi europei, questa quota è fra quattro e sei volte i depositi. Da
noi per esempio, con una riserva obbligatoria del 15%, le banche
possono, su depositi ammontanti a 2 milioni di euro, fare crediti per
11.333.333 milioni: quasi il sestuplo. E sulla differenza, 9.333.333, la
banca estrae gli interessi.
E’ denaro falso. E’ denaro vuoto.
Ma il denaro, anche falso, comanda il
lavoro: l’imprenditore che ha ottenuto un fido fa’ sgobbare gli operai e
funzionare i macchinari, per guadagnare tanto da restituire i ratei del
capitale con gli interessi.
Così il denaro vuoto si riempie con la vera
fonte della ricchezza, che è il lavoro e il sudore degli uomini. Ma
così, la banca preleva continuamente un tributo occulto su tutte le
attività produttive dell’uomo.
Ogni lavoratore, ogni imprenditore, è suo
schiavo.
Basta che la banca espanda il credito (crei pseudo-capitale) e
vedrete i lavoratori accelerare il ritmo, sudare e affannarsi
come burattini impazziti per pagare gli interessi sul debito, su quel
denaro falso; basta che restringa il credito, e i lavoratori saranno
licenziati a migliaia.
Anche se noi, personalmente, non prendiamo a prestito denaro dalle
banche, tuttavia paghiamo degli interessi, senza saperlo, come
consumatori. Infatti ogni prezzo che paghiamo, ogni merce o servizio che
compriamo, contiene un certo ammontare di interessi.
Margrit Kennedy, una economista del centro-studi Hermann Institut Deutschland, ha provato a determinare la quota d’interessi che paghiamo (alle banche) per alcuni servizi pubblici in Germania. Per la raccolta dei rifiuti (un’attività che impiega poche macchine e molta manodopera), tale quota è il 12% del prezzo.
Per l’acqua potabile, il 38%.
Per l’edilizia popolare, il 77%.
In media, su tutti i beni e i servizi, paghiamo il 50% di interessi.
Nei tempi medievali, i sudditi pagavano al signore feudale, o alla Chiesa, “la decima”, ossia solo il 10% dei loro introiti.
Oggi paghiamo cinque volte la decima ai prestatori di capitale.
Il feudalesimo non è tramontato; s’é rafforzato, sotto altra forma. La sola salvezza sarebbe non stare al gioco. Ridurre l’indebitamento delle famiglie e delle industrie, e degli Stati.
Ma le banche non lo consentono: esse vogliono indebitare il mondo, perché il mondo lavori per esse.
Ecco perché Ezra Pound scrisse quella frase strana, per avvertirci: “un popolo che non s’indebita fa’ rabbia agli usurai”. Perché sarebbe ben possibile allo Stato emettere moneta libera da interessi, moneta liberatrice dalla schiavitù delle banche e dalla necessità di lavorare per le banche.
Margrit Kennedy, una economista del centro-studi Hermann Institut Deutschland, ha provato a determinare la quota d’interessi che paghiamo (alle banche) per alcuni servizi pubblici in Germania. Per la raccolta dei rifiuti (un’attività che impiega poche macchine e molta manodopera), tale quota è il 12% del prezzo.
Per l’acqua potabile, il 38%.
Per l’edilizia popolare, il 77%.
In media, su tutti i beni e i servizi, paghiamo il 50% di interessi.
Nei tempi medievali, i sudditi pagavano al signore feudale, o alla Chiesa, “la decima”, ossia solo il 10% dei loro introiti.
Oggi paghiamo cinque volte la decima ai prestatori di capitale.
Il feudalesimo non è tramontato; s’é rafforzato, sotto altra forma. La sola salvezza sarebbe non stare al gioco. Ridurre l’indebitamento delle famiglie e delle industrie, e degli Stati.
Ma le banche non lo consentono: esse vogliono indebitare il mondo, perché il mondo lavori per esse.
Ecco perché Ezra Pound scrisse quella frase strana, per avvertirci: “un popolo che non s’indebita fa’ rabbia agli usurai”. Perché sarebbe ben possibile allo Stato emettere moneta libera da interessi, moneta liberatrice dalla schiavitù delle banche e dalla necessità di lavorare per le banche.
Ma questa prerogativa è, nella corporazione apolide privata €uropa, positivamente vietata dal Trattato
di Maastricht, nell’articolo 104. Perché le banche indebitano, in modo
primario ed essenziale, i governi.
Gli Stati. Questi non possono stampare moneta; devono emettere Buoni del Tesoro, titoli in cui riconoscono il loro debito, e consegnarli alla Banca Centrale, che emette moneta per un valore pari ai titoli emessi.
In tal modo, anche sulla moneta della nazione la banca – perché la Banca Centrale è dovunque proprietà privata delle banche – preleva un interesse, i frutti dei Buoni.
Gli Stati. Questi non possono stampare moneta; devono emettere Buoni del Tesoro, titoli in cui riconoscono il loro debito, e consegnarli alla Banca Centrale, che emette moneta per un valore pari ai titoli emessi.
In tal modo, anche sulla moneta della nazione la banca – perché la Banca Centrale è dovunque proprietà privata delle banche – preleva un interesse, i frutti dei Buoni.
Solo pochi statisti hanno osato stampare moneta di Stato, non gravata da
interessi.
Quei pochi, pochissimi, hanno provato sul loro corpo la rabbia degli usurai apolidi sionisti.
Nessuno di loro è morto tranquillo nel suo letto, tra questi ricordiamo in particolar modo Abramo Lincoln e JF Kennedy.
Quei pochi, pochissimi, hanno provato sul loro corpo la rabbia degli usurai apolidi sionisti.
Nessuno di loro è morto tranquillo nel suo letto, tra questi ricordiamo in particolar modo Abramo Lincoln e JF Kennedy.
Alla fine del 1862 Abramo Lincoln ebbe bisogno di 449 milioni di
dollari di allora per finanziare la guerra di secessione, in pieno
corso. Le banche si offrirono di creare quella moneta con il solito
metodo: ma chiesero il 30% d’interesse, per via dei rischi della guerra
che rendevano lo Stato debitore a rischio d’insolvenza.
Lincoln allora
ricorse al potere che gli veniva dalla costituzione americana, articolo
1: sottopose al Congresso, che l’approvò, la proposta d'emissione di
banconote di Stato (greenback), prestito che il popolo può fare a se
stesso, senza pagare gli interessi.
In piena guerra, si videro
l’agricoltura e l’industria nordiste tornare a fiorire. Il lavoro umano,
comandato da denaro abbondante, riempì quei biglietti di ricchezza
reale.
Nel 1864 Lincoln si ricandidò alla presidenza, dichiarando
pubblicamente la sua intenzione di continuare ad emettere moneta di
Stato, invece che acquistarla ai banchieri di Londra e di Parigi (Rothschild, Warburg, etc .... giudei aschenazi apolidi). Secondo una
tradizione difficile da controllare, il superbanchiere londinese sir
Goschen (ebreo) disse ai suoi pari: “se questa insana politica
finanziaria perdurasse, quel governo fornirà la propria moneta a costo
zero. Non avrà alcun debito.
Avrà tutto il denaro necessario per i suoi
commerci.
Questo governo dev’essere distrutto, o distruggerà ogni
monarchia del mondo”.
Era l’inizio del 1865. Il 14 aprile dello
stesso anno, Lincoln cadeva sotto le revolverate di un sicario.
Era
accaduto già ad Alexander Hamilton, il segretario al Tesoro di George
Washington, fondatore della banca nazionale americana, emettitrice di
banconote di Stato: fu ucciso in duello, non ancora cinquantenne, da uno
spadaccino professionale.
Sarebbe accaduto anche a Hitler, colpevole di
aver ridotto al minimo le transazioni valutarie nei commerci
internazionali, sostituendolo con un sistema di scambio di merci
fisiche.
Anche su Ezra Pound, come sappiamo, calò la vendetta degli usurai.
Egli
aveva cercato di proclamare al mondo il trucco del capitale: i soldati
sionisti americani lo esposero in una gabbia nella Pisa liberata (occupata).
Poi, per 13
anni, fu recluso in manicomio e torturato.
Il più grande poeta americano...............
Floriana Castro
Fonti Giacinto Auriti, Maurizio Blondet
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