martedì 25 febbraio 2014

Firenze alluvione del 1966: catastrofe naturale o “innaturale”?

 


Firenze alluvione del '66: catastrofe naturale o “innaturale”?

Nubi inseminate, piogge pilotate e invasi straripanti: disastri ambientali e molte domande
PARTE 2
Articolo di NoGeoingegneria

Piazza del Duomo

Da gennaio 1966 a giugno 1968 è stato condotto, nella zona collinare Est di Roma, un esperimento di sistematica inseminazione artificiale delle nuvole per influenzare le precipitazioni. Il mese di ottobre 1966 fu contraddistinto da precipitazioni persistenti e quantitativamente significative soprattutto al centro-nord.
La domanda da fare è: furono effettuate inseminazioni anche in quei giorni? In caso affermativo gli eventi drammatici che seguirono meriterebbero una riflessione estesa.
Ripercorriamo i fatti.
Nelle prime ore di venerdì 4 novembre 1966, in seguito ad una eccezionale ondata di maltempo, ci fu uno dei più gravi eventi alluvionali accaduti in Italia. In meno di 12 ore, la città di Firenze fu invasa da 80 milioni di metri cubi di acqua e fango. Dopo due giorni di pioggia intensa, in poche ore le acque del fiume Arno salirono di sei metri. Mentre gli orafi di Ponte Vecchio cercarono di salvare il salvabile, l’Arno straripò alle 5.30, rompendo gli argini in diversi punti invadendo strade, piazze, case, negozi, musei e chiese.
La gente incredula nel veder annegare la città, si trovò intrappolata. Il livello dell’acqua, che nel pomeriggio raggiunse picchi di oltre 5 metri, superò di gran lunga tutte le precedenti inondazioni (compresa quella del 1844 ritenuta inarrivabile) ma l’allarme venne lanciato solo all’ultimo momento. L’enorme massa di acqua e fango trasportò con sé detriti, automobili e tutto ciò che incontrò sul suo cammino. Quattromila famiglie rimasero senza casa, seimila negozi furono distrutti, sessanta chiese gravemente danneggiate, migliaia di opere lesionate, centinaia di strutture devastate e qualcuno perse la vita.
L’acqua così come era salita velocemente, altrettanto velocemente defluì, lasciando dietro di sé uno scenario apocalittico.
Si sparsero immediatamente le voci che la causa era l’apertura delle dighe. Un elicottero sorvolò i bacini e li trovò vuoti, racconta chi ha vissuto quelle ore.
Ma la versione ufficiale disse altro (1).


Nei giorni successivi l’ENEL diramò un dettagliato rapporto sull’accaduto, in cui stimava la quantità d’acqua che aveva colpito Firenze: circa 250 milioni di metri cubi, di cui 120 provenienti dall’alto corso dell’Arno, il resto dagli affluenti a valle delle dighe, in particolare il fiume Sieve. Un tecnico dei Lavori Pubblici stimò la quantità d’acqua in 400 milioni di metri cubi. La portata del fiume al massimo della piena venne stimata in 4000-4500 metri cubi al secondo.
I fiorentini – scrisse Mario Carniani in Firenze guerra e alluvione – “non potevano capire, senza motivazioni convincenti, perché nessuno avesse dato l’allarme. Qualcuno a Firenze sapeva che ci sarebbe stata un’eccedenza di acqua dovuta allo svuotamento dei bacini artificiali ormai stracolmi. Il Genio Civile e l’Enel lo sapevano, ma non fu dato nessun preavviso alla città. Perché essa non fu avvertita in tempo della piena che già la minacciava, che, tra l’altro, aveva già colpito il Valdarno? Perché la Martinella di Palazzo Vecchio [la campana che l’11 agosto del ’44 aveva annunciato l’insurrezione di Firenze] non venne suonata?” (Carniani, Paoletti 1991, 174).
Un appunto dalla Protezione Civile Provincia di Arezzo non nasconde il ruolo delle dighe e sintetizza (doc pagina 9):
Si ricorda che la diga di La Penna, collassando la notte del 4 novembre 1966, contribuì a creare i gravi problemi che si verificarono in Valdarno e nella città di Firenze.

 

Il giornalista Diego Giorgi nel 2004 scrisse in prima pagina dell’edizione di Firenze dell’Unità:

Levane e La Penna quante bugie su quelle dighe

«Dove devo andare per la diga di Levane?», «Quale, quella che nel ‘66 portò a tutti l’acqua in casa?». Il ritornello è sempre lo stesso: le piene dell’Arno, soprattutto quelle originano alluvioni disastrose, sono figlie delle dighe di Levane e di La Penna. I due invasi, posti nell’Arno ad una cinquantina di chilometri da Firenze (l’indotto di La Penna si trova qualche chilometro più a monte rispetto a quello di Levane) sono stati costruiti negli anni ‘50 per la produzione di energia idroelettrica… L’ingegner Amelio Brunelli ha spiegato il comportamento dell’invaso in condizioni di piena. «La diga – ha chiarito – è come una vasca da bagno: una volta che si è colmata d’acqua, strabocca fuori. Prima che questo succeda, i nostri tecnici aprono le paratie del bacino e fanno uscire un quantitativo d’acqua mai superiore all’acqua che defluisce nell’alveo (…) l’acqua che entra è la stessa che fuoriesce, «e associare le piene all’apertura delle paratie della diga, – ha concluso Brunelli – è sbagliato e scorretto» FONTE
Lo scienziato/storico del Dipartimento CNR Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo Walter Palmieri, ricercatore che indaga sul dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno continentale riassume le condizioni, il ruolo e funzionamento delle dighe nella sua
Storia del dissesto e delle catastrofi idrogeologiche in Italia dall’Unità ad oggi,
spiega le cause del disastro di Firenze basandosi sulle sue ricerche personali:
Di particolare gravità sono (…) le innumerevoli modifiche al regime idraulico e qui l’elenco è lungo: cementificazione degli alvei e dei valloni, opere di captazione e utilizzo delle acque eseguite senza i dovuti accorgimenti, estrazione di ghiaia dal letto dei torrenti, irrigidimento del sistema idrografico, deviazioni del corso dei fiumi, etc. Valga per tutti l’esempio dell’alluvione che, forse più di ogni altra, è rimasta nella memoria collettiva degli italiani: quella del 1966. In quella circostanza un ruolo causale di primo piano ebbero due dighe idroelettriche, quelle di Levane e La Penna, costruite alcuni anni prima con scarsa attenzione alla possibilità di reggere la portata di eventi pluviometrici molto intensi. La loro tardiva e improvvisa apertura (per evitarne il crollo) fece così “affluire all’Arno tutta in una volta una ragguardevole massa d’acqua” che finì col sommergere Firenze.
Il dato aggiuntivo che parla di manipolazioni meteorologiche avvenute in quegli anni, meriterebbe ulteriori indagini.
Una sistematica manipolazione delle piogge, di cui parlaquesto documento, fu messa in pratica anche nel periodo delle piogge devastanti? Le inseminazioni di nubi, per favorire le piogge, si svolsero dal ’66 al ‘68 su una zona ad est di Roma. Il Lazio però non è la Toscana, potrebbe obiettare qualcuno, come potrebbbe aver influito sulla piena in zona toscana? Le esperienze di “cloud seeding” mostrano che modificare le condizioni atmosferiche in un luogo può provocare cambiamenti nella circolazione atmosferica altrove:
“..the spatial extent of the positive extra area seeding effects may extend to a couple hundred kilometers” (L’estensione spaziale della superficie supplementare positiva degli effetti della semina possono estendersi ad un paio di centinaia di chilometri).
FONTE
E’ lecito chiedersi: tra ottobre e novembre del 1966 furono modificate le condizioni atmosferiche?
Potrebbe essere.
Segue la traduzione del sommario del documento “A biennial systematic test of some newly-developed cloud-seeding nucleants, under orographic conditions”
Durante il periodo che va dal gennaio 1966 al giugno 1968, è stato condotto nelle colline del Prenestino a Est di Roma, un esperimento di sistematica inseminazione artificiale delle nuvole. L’obiettivo era di valutare se l’uso di nuclei di condensazione giganti mono-dispersi (unità singole) emettenti elettroni, e di nuclei di condensazione giganti per la formazione del ghiaccio, Al2S3, entrambi recentemente sviluppati nei nostri laboratori , potrebbero aumentare le precipitazioni su un’area adiacente al sito di dispersione dell’aerosol, Il metodo di valutazione ha interessato il confronto tra le precipitazioni cadute durante la settimana che seguì la dispersione di circa 15 kg di materiale particolato in forma di aerosol, con le precipitazioni raccolte durante la quindicina seguente a quel periodo. I risultati mostrano che, nonostante una quantità relativamente piccola di nuclei di condensazione utilizzati per le operazioni di semina, e nonostante un piano apparentemente non del tutto idoneo alla valutazione dei dati, gli indici normalizzati e cumulati degli eventi di precipitazione, associati a quei periodi di tempo su tutta l’area considerata, indicano aumenti significativi durante l’estate e l’autunno, e diminuzioni significative durante la stagione invernale (2).
Se pochi chili di sostanze seminate hanno avuto un effetto così esteso nel tempo, quali saranno gli effetti su vasta scala delle inseminazioni con nanoparticelle?
Quali sono gli effetti sull’equilibrio atmosferico e quindi su clima e meteo dopo 60-70 anni di manipolazioni globali?

Esistono tecnologie in grado di creare siccità, piogge anche alluvionali, tsunami e terremoti che vengono applicate per modificare il tempo e il clima.

Le conferenze sui cambiamenti climatici escludono questa realtà dalle loro agende e riflessioni. 
PERCHE’?

NOTE:

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