Sono passati più di 4 anni dall'immane disastro che colpì il Giappone l'11 marzo 2011, quando uno tsunami causato da un forte terremoto disattivò l'alimentazione e il raffreddamento di tre reattori di Fukushima-Daiichi, provocando un incidente nucleare classificato al grado 7 dall'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica). Da quel giorno una grande quantità di materiale radioattivo si riversa giornalmente nell'Oceano Pacifico.

La contaminazione dell'Oceano Pacifico

Nonostante l'enorme massa d'acqua che lo forma - quasi 1/3 di tutte le acque del globo - che ha contribuito a diluire notevolmente la contaminazione, mantenendo la radioattività a livelli mediamente bassi, non si è riusciti a scongiurare la contaminazione dei frutti di mare presenti nell'Oceano Pacifico. Infatti, in seguito a campioni prelevati dall'AIEA, in base al progetto istituito dalla stessa per monitorare "il possibile impatto delle emissioni radioattive Fukushima nella regione Asia-Pacifico", nelle acque sono stati rinvenuti elementi di cesio, una sostanza radioattiva. Più di recente, ancora, sono state trovate tracce di cesio-134 e cesio-137 nei pressi di Vancouver, Canada. Come sappiamo, il materiale radioattivo può viaggiare in lungo e in largo trasportato dal vento e dalle correnti marine, quindi il rinvenimento delle tracce di cesio anche vicino alle coste del Nord America, contribuisce a creare un quadro allarmante della situazione.

L'incredibile proposta dell'AIEA

Come se non bastasse, la TEPCO (la società giapponese che gestisce l'impianto di Fukushima) ha di recente riferito di essere stata sollecitata, dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica, a prendere in considerazione lo scarico di acqua contaminata dal reattore di Fukushima-Daiichi direttamente nell'Oceano Pacifico. A quanto riferiscono gli addetti ai lavori, tale proposta si baserebbe sul fatto che ci sono troppi serbatoi contenenti acqua contaminata sparsi sul territorio della prefettura di Fukushima e, dato che questo potrebbe risultare nocivo per la decontaminazione della zona e per la popolazione, riversarla in mare con scarichi controllati e monitorati potrebbe essere la soluzione meno dannosa.

I piani di contenimento

Dopo l'iniziale emergenza e gli strumenti utilizzati per arginare le fughe radioattive, sono allo studio tecniche sperimentali per cercare di arginare la continua contaminazione dell'Oceano che, come detto in precedenza, tuttora prosegue. Ultimamente, riferisce Giuseppe Onufrio direttore esecutivo di Greenpeace Italia, "È allo studio la costruzione di un muro di ghiaccio lungo un chilometro e mezzo attorno al sito, per ridurre a un terzo la quantità di acqua radioattiva che viene rilasciata nell'oceano. Il muro dovrebbe resistere sei anni, fino a quando i noccioli dei reattori saranno stati sigillati. L'efficacia di quest'operazione, mai tentata prima, anche secondo alcune fonti ufficiali è tutta da capire e rappresenta l'assurdità della situazione di Fukushima, destinata a durare decenni".