domenica 27 settembre 2020

Il sobborgo dimenticato - racconto - Philip Kindred Dick - 1953

 TITOLO ORIGINALE ITALIANO : Il sobborgo dimenticato

IL PENDOLARE

L'ometto era stanco. Si fece lentamente strada in mezzo alla folla che ingombrava l'atrio della stazione, dirigendosi verso la biglietteria. Qui attese con impazienza il suo turno. Tutto, in lui, denotava la stanchezza, dalle spalle curve alla logora giacca marrone che gli pendeva di dosso.

«Avanti il prossimo,» disse con voce gracchiante il bigliettaio, che si chiamava Ed Jacobson.

L'ometto depose sul banco una banconota da cinque dollari. «Mi dia un blocchetto nuovo. Ho finito l'altro.» Parlando, guardò l'orologio appeso alla parete, alle spalle del bigliettaio. «Mio Dio, è davvero così tardi?»

Jacobson prese i cinque dollari. «Bene signore, un blocchetto. Ma per dove?»

«Macon Heights,» rispose l'ometto.

«Macon Heights.» Jacobson consultò l'elenco. «Macon Heights. Non esiste nessun posto che si chiami così.»

La faccia dell'ometto s'indurì, insospettita. «Sta scherzando?»

«Signore, non esiste nessun Macon Heights. Di conseguenza non posso darle nessun blocchetto.»

«Cosa intende dire? Io ci abito!»

«Non m'interessa. Vendo biglietti da sei anni, e quella località non esiste.»

L'ometto spalancò gli occhi sbalordito. «Ma io ho casa là,» ripeté. «Ci torno tutte le sere. Io…»

«Ecco a lei,» disse Jacobson, spingendo verso di lui l'elenco. «Provi a cercarlo.»

L'ometto prese l'elenco e, messosi da una parte, iniziò a studiarlo freneticamente, con le mani che tremavano sempre più man mano che scorreva i nomi delle località.

«Trovato?», domandò Jacobson, con le braccia conserte sul banco. «Non c'è, vero?»

L'altro scosse il capo, annichilito. «Non capisco. Non ha senso. Deve trattarsi di uno sbaglio. Ci deve essere certamente…»

E tutt'a un tratto scomparve. L'elenco cadde per terra. L'ometto era sparito, in un batter d'occhio.

«Per l'anima di Giulio Cesare!», esclamò Jacobson, a bocca aperta. Davanti a lui non c'era più niente, soltanto l'elenco caduto per terra.

L'ometto aveva cessato di esistere.

 

«E allora?», domandò Bob Paine.

«Allora sono uscito ed ho raccolto l'elenco.»

«Se n'era proprio andato?»

«Se n'era andato,» confermò Jacobson asciugandosi il sudore dalla fronte. «Avrei voluto che ci fosse anche lei. È sparito. Come la luce quando si spegne. Così, all'improvviso, senza rumore, senza muoversi.»

Paine accese una sigaretta, appoggiandosi allo schienale della sedia. «L'aveva mai visto prima?»

«No.»

«Che ora era?»

«Pressappoco quest'ora. Verso le cinque.» Jacobson si diresse allo sportello della biglietteria. «Sta arrivando un mucchio di gente.»

«Macon Heights.» Paine sfogliò la guida delle città dello Stato. «Non è citata in nessun elenco. Se ricompare, voglio parlargli. Me lo mandi in ufficio.»

«Ci può contare. Non voglio avere nulla a che fare con lui. Non è naturale.» Jacobson si mise allo sportello. «Sì, signora?»

«Due biglietti di andata e ritorno per Lewsburg.»

Paine schiacciò il mozzicone della sigaretta e ne accese un'altra. «Eppure è strano: ho la sensazione di avere già sentito quel nome.» Si alzò per andare ad esaminare la mappa appesa al muro. «Però non è elencato.»

«Non è elencato perché non esiste,» asserì Jacobson. «Crede che non lo saprei, stando qui dalla mattina alla sera a vendere biglietti?» Tornò a voltarsi allo sportello. «Sì signore?»

«Vorrei un blocchetto per Macon Heights,» disse l'omino, sbirciando nervosamente l'orologio a muro. «E in fretta.»

Jacobson chiuse gli occhi stringendo le palpebre. Quando li riaprì, era ancora davanti a lui, con la sua faccetta rugosa, i capelli radi, gli occhiali, l'aria stanca e la giacca che gli pendeva di dosso.

Jacobson si volse, attraversò l'ufficio e andò da Paine. «È tornato,» comunicò, pallido, inghiottendo a vuoto. «È ancora lui.»

«Lo faccia entrare in ufficio,» disse Paine, con un lampo negli occhi.

Jacobson annuì e tornò allo sportello. «Signore, le spiacerebbe entrare un momento in ufficio?» E indicò la porta. «Il vice-direttore vorrebbe parlarle un attimo.»

L'ometto si rabbuiò. «Che cosa c'è? Il treno sta per partire.» Borbottando fra sé, aprì la porta ed entrò nell'ufficio. «Non mi è mai successa una cosa simile. Sembra che stia diventando proprio difficile comprare un blocchetto. Se perdo il treno, farò causa alla Compagnia…»

«Si accomodi,» disse Paine, indicando la sedia davanti alla scrivania. «Lei è il signore che vuole un blocchetto per Macon Heights?»

«Perché, c'è qualcosa di strano? Cosa diavolo avete tutti quanti? Non potete vendermi un blocchetto come avete sempre fatto?»

«Come… come abbiamo sempre fatto?»

L'ometto si dominava a stento. «Nel dicembre scorso io e mia moglie ci siamo trasferiti a Macon Heights, e da sei mesi viaggio due volte al giorno sui vostri treni, dieci volte alla settimana. Tutti i mesi compro un blocchetto di biglietti.»

Paine si protese verso di lui. «Quale treno prende, signor…?»

«Critchet. Ernest Critchet. Il Treno B. Non conosce nemmeno gli orari?»

«Il Treno B?» Paine consultò l'orario del Treno B, facendo scorrere la matita sulle righe. Non vi compariva nessun Macon Heights. «Quanto dura il percorso? Quanto tempo ci mette?»

«Esattamente quarantanove minuti.» Critchet guardò l'orologio a muro. «Ammesso che riesca a prenderlo.»

Paine fece mentalmente qualche calcolo. Quarantanove minuti. Circa quarantacinque chilometri di distanza dalla città. Si alzò per andare ad esaminare la grossa mappa appesa al muro.

«Cosa c'è che non va?», domandò Critchet in tono nettamente sospettoso.

Paine disegnò sulla mappa un cerchio con un raggio di quarantacinque chilometri. Il cerchio attraversava parecchi centri abitati, nessuno dei quali però si chiamava Macon Heights. E, sulla Linea B, non c'era assolutamente nulla.

«Che tipo di posto è questo Macon Heights?», chiese Paine. «Quanti abitanti ha, più o meno?»

«Non lo so. Forse cinquemila. Io sto quasi tutto il giorno in città. Sono contabile alla Assicurazione Bradshaw.»

«Macon Heights è un posto nuovo?»

«Abbastanza recente. Noi abitiamo in un villino con due stanze da letto che avrà un paio d'anni. E allora?» Critchet si agitava inquieto. «Questo blocchetto?»

«Sono spiacente, ma non posso darglielo,» rispose lentamente Paine.

«Cosa? E perché no?»

«Non serviamo Macon Heights.»

Critchet balzò in piedi. «Che cosa intende dire?»

«Che quel posto non esiste. Osservi la mappa lei stesso.»

Critchet lo fissò a bocca aperta, con un'espressione un po' adirata e un po' stupita. Poi andò, con passo rabbioso, ad esaminare attentamente la mappa.

«È una situazione curiosa, signor Critchet,» mormorò Paine. «Sulla mappa non compare, e non è nemmeno elencata nella guida stradale. Nei nostri orari non c'è. Non abbiamo blocchetti di abbonamento per Macon Heights. Non…»

S'interruppe. Critchet era scomparso. Un attimo prima era lì che studiava la mappa, ed un attimo dopo se ne era andato. Svanito. Scomparso.

«Jacobson!», abbaiò Paine. «Se n'è andato!»

Jacobson sbarrò gli occhi. Gocce di sudore gli spiccavano sulla fronte. «Dunque non c'è più,» mormorò.

Paine era sprofondato nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso nel punto vuoto occupato fino a pochi secondi prima da Ernest Critchet. «Sta succedendo qualcosa, qualcosa di maledettamente strano,» borbottò. Poi afferrò all'improvviso la giacca, e si diresse alla porta.

«Non mi lasci solo!», lo implorò Jacobson.

«Se avrà bisogno di me, mi troverà a casa di Laura. C'è il numero da qualche parte sulla scrivania.»

«Non mi pare il momento di andare a divertirsi con le ragazze.»

Paine aprì l'uscio che dava nell'atrio. «Non credo che ci sarà molto da divertirsi,» asserì cupamente.

Paine salì a due per volta i gradini che portavano all'appartamento di Laura Nichols, e tenne il dito pigiato sul campanello finché la porta non si aprì.

«Bob!», esclamò sorpresa Laura. «A cosa devo…»

Paine la scostò per entrare in casa. «Spero di non disturbarti.»

«No, ma…»

«Cose grandi! Ho bisogno di aiuto. Posso contare su di te?»

«Su di me?» Laura richiuse la porta. L'appartamento, ammobiliato con gusto, era immerso nella penombra. Ad una estremità del profondo divano verde, il giradischi suonava in sordina, in un angolo.»

«Forse sto diventando pazzo.» Paine si lasciò sprofondare nel comodo e fastoso divano verde. «E voglio scoprire se è proprio così.»

«In che modo posso aiutarti?» Laura si avvicinò a passo lento, con le braccia incrociate ed una sigaretta tra le labbra. Si scostò dagli occhi una lunga ciocca nera. «Che cosa vorresti che facessi?»

Paine le sorrise con un'occhiata di apprezzamento per le sue grazie. «Una cosa ti sorprenderà. Voglio che tu vada in città domattina presto, e…»

«Domattina? Dimentichi che sono una ragazza che lavora. E proprio questa settimana, si deve iniziare in ufficio una nuova serie di servizi.»

«Al diavolo tutto quanto! Prenditi una mattinata di libertà. Devi andare alla biblioteca municipale e, se lì non troverai niente, anche al tribunale della Contea ad esaminare gli elenchi arretrati dei distretti fiscali. Cerca finché non l'avrai trovato.»

«Trovato cosa?»

Paine accese una sigaretta con aria pensierosa. «Qualche accenno ad un posto chiamato Macon Heights. Sono sicuro di aver già sentito questo nome. Anni fa, probabilmente. Hai capito che cosa cerco? Guarda nei vecchi atlanti, se necessario. Cerca nelle vecchie annate dei giornali in sala lettura. Vecchie riviste. Rapporti. Proposte della giunta municipale. Proposte di leggi statali.»

Laura si mise lentamente a sedere su un bracciolo del divano. «Stai scherzando?»

«No.»

«Fino a che punto devo risalire?»

«Se occorre, anche fino a dieci anni fa.»

«Santo cielo! Potrei…»

«Cerca finché non avrai trovato qualcosa. Arrivederci a più tardi.» Paine si alzò di scatto.

«Te ne vai? Non mi porti fuori a cena?»

«Mi dispiace,» rispose Paine avviandosi alla porta. «Ho da fare. Sul serio.»

«Fare che cosa?»

«Devo andare a visitare Macon Heights.»

 

Ai lati del treno correva una distesa di campi senza fine, rotta solo di tanto in tanto da qualche casa di contadini. Neri pali telefonici svettavano verso il cielo al crepuscolo.

Paine guardò l'orologio. Ormai non ci mancava molto. Il treno attraversò una borgata. Un paio di stazioni di servizio, qualche chiosco, una fabbrica di televisori. Il convoglio si fermò in stazione con un stridìo di freni. Lewsburg. Scesero alcuni pendolari in giacchetta, con il giornale della sera in mano. Poi le portiere sbatterono ed il treno si rimise in moto.

Paine si adagiò contro lo schienale del sedile, immerso nei suoi pensieri. Critchet era svanito mentre guardava la mappa sul muro. La prima volta era scomparso mentre Jacobson gli faceva vedere l'elenco delle stazioni… Era scomparso nel momento in cui aveva dovuto rendersi conto che non esisteva nessun posto chiamato Macon Heights. Che fosse una traccia? Ma tutto, in quella faccenda, era irreale, come in un sogno.

Paine guardò dal finestrino. Ormai erano quasi arrivati… se Macon Heights esisteva. Campi bruni si stendevano fino all'orizzonte, ai due lati della ferrovia. Campi pianeggianti e ondulati. Pali del telefono. Macchine che correvano lungo la statale, puntini neri che si muovevano rapidamente nel crepuscolo.

Nessun segno di Macon Heights.

Il treno proseguiva la sua corsa rombando. Paine consultò l'orologio. Erano passati cinquantuno minuti. E non aveva visto ancora niente. Niente, tranne i campi.

Risalì il vagone ed andò a sedersi vicino al conducente, un vecchio distinto, con i capelli bianchi. «Hai mai sentito nominare un posto chiamato Macon Heights?», gli domandò.

Paine gli mostrò la sua tessera. «È proprio sicuro di non averlo mai nemmeno sentito nominare?»

«Sicurissimo, signor Paine.»

«Da quanto tempo lavora su questa linea?»

«Undici anni, signor Paine.»

Paine scese alla fermata successiva, Jacksonville, dove salì su un altro Treno B diretto verso la città. Il Sole era tramontato. Il cielo era quasi nero. Si riusciva a malapena a scorgere il panorama, dal finestrino.

Paine si fece attento, trattenendo il respiro. Ancora un minuto. Quaranta secondi. C'era forse qualcosa? Campi pianeggianti. Pali telefonici neri. Un panorama piatto e desolalo, che si stendeva tra una cittadina e l'altra.

Tra? Il treno continuava a correre nel crepuscolo. Paine aguzzò lo sguardo. C'era qualcosa là fuori, sì o no? Qualcosa, oltre i campi?

Sulla campagna si stendeva una densa nube di fumo trasparente. Era una massa omogenea, lunga più di un chilometro. Che cos'era? Non poteva essere fumo del treno: la locomotrice funzionava a nafta. Allora il gas di scarico di qualche camion che percorreva la strada parallela alla ferrovia? Un incendio di sterpaglie ed arbusti? Ma non c'erano tracce d'incendi nei campi.

Improvvisamente il treno incominciò a rallentare, e Paine si fece ancora più attento. Il treno continuava a rallentare, segno che si sarebbe fermato. I freni stridettero, i vagoni sussultarono. Poi, silenzio.

Dall'altra parte della corsia, un uomo alto, con una giacca leggera, si alzò, si mise il cappello, e si avvicinò a passo rapido verso lo sportello. Poi saltò giù dal treno, scendendo a terra, seguito dallo sguardo affascinato di Paine. L'uomo si allontanò dal treno a passo veloce, dirigendosi verso i campi bui. Aveva un'andatura decisa mentre si avviava verso il banco di bruma grigia.

D'un tratto, l'uomo si sollevò. Ora camminava a mezzo metro da terra. Voltò a sinistra, e continuò a sollevarsi in alto… Adesso era a un metro. Camminò per un po' parallelo al suolo, continuando ad allontanarsi dal treno. Poi scomparve nel banco di nebbia. Non c'era più.

Paine percorse tutto il vagone, ma il treno s'era già rimesso in movimento. All'esterno, il paesaggio si muoveva rapidamente all'indietro. Paine trovò il conduttore, che era un giovane dalla faccia paffuta, e stava appoggiato ad una parete del vagone.

«Senta,» ansimò Paine. «Che fermata era?»

«Come?»

«L'ultima fermata! Dove diavolo eravamo?»

«È una fermata che facciamo sempre.» Il giovane si mise una mano in tasca e ne tirò fuori un fascio di orari. Dopo averne scelto uno, lo porse a Paine. «Il B ferma sempre a Macon Heights. Non lo sapeva?»

«È segnato sull'orario.» Il giovane sollevò di nuovo l'orario.

Paine aprì il fascicolo con tanta foga che quasi lo stracciò. Era vero. Macon Heights compariva fra Jacksonville e Lewisburg, e si trovava a quarantacinque chilometri esatti dalla città.

La nuvola di fumo grigio. Quella enorme nuvola andava predendo rapidamente forma, come se stesse nascendo qualcosa. E, in effetti, «qualcosa» stava realmente nascendo.

Macon Heights.

 

La mattina dopo, Paine trovò Laura nel suo appartamento seduta al tavolino della colazione, con indosso un pullover rosa pallido e pantaloni neri. Davanti a sé aveva un mucchio di appunti, una matita, una gomma ed una tazza di latte al malto.

«Com'è andata?», domandò Paine.

«Bene, ho trovato le informazioni che cercavi.»

«Di che si tratta?»

«Ho parecchio materiale,» disse lei, dando una manata al mucchio di fogli. «Ne ho riassunto la maggior parte a tuo beneficio.»

«Sentiamo questo riassunto.»

«Sette anni fa, in agosto, il Consiglio degli amministratori della Contea deliberò che venissero costruiti tre nuovi centri satelliti a poca distanza dalla città. Uno di questi era Macon Heights. Ci fu una lunga discussione. La maggior parte dei commercianti cittadini era contraria al progetto. Diceva che avrebbe portato troppi clienti fuori città.

«Continua.»

«La lotta fu serrata e, alla fine, delle tre cittadine, ne vennero approvate solo due. Waterville e Cedar Groves, ma non Macon Heights.»

«Capisco,» mormorò pensoso Paine.

«Macon Heights uscì sconfitta. La votazione fu il risultato di un compromesso. Due cittadine satelliti invece di tre. Le due approvate vennero costruite subito dopo. Le conosci. Un pomeriggio siamo passati da Waterville. È un bel posticino.»

«Ma Macon Heights non venne approvata.»

«No. Rinunciarono a creare Macon Heights.»

Paine si passò una mano sul mento. «Ecco dunque la storia.»

«Si, questa è la storia. Ma ti rendi conto? Ho perso l'intera paga di una mezza giornata per cercare questa roba. Stasera devi assolutamente portarmi fuori. Forse dovrei trovarmi un altro fidanzato. Comincio a pensare che tu non sia poi l'ideale, come uomo.»

Paine annuì con aria assente. «Sette anni fa.» Poi, un'idea lo colpì all'improvviso. «Il voto? Com'era andata la votazione?»

Laura consultò i suoi appunti. «Il progetto fu bocciato per un solo voto.»

«Un voto solo. Sette anni fa.» Paine uscì sul pianerottolo. «Grazie, tesoro. Incomincio a vederci chiaro. Molto chiaro!»

Appena uscito, prese un tassì e si fece portare di corsa alla stazione, dall'altra parte della città. Strade, insegne, gente, negozi, macchine, sfrecciavano via.

La sua premonizione era stata giusta. Aveva già sentito davvero quel nome. Sette anni prima. Un'aspra discussione al consiglio della Contea per il progetto di una città satellite. Due approvazioni, un rifiuto. Il progetto respinto era stato poi dimenticato.

Ma adesso la città dimenticata iniziava ad esistere, ad assumere forma e consistenza… sette anni dopo. La città, e quella fetta indeterminata di realtà che l'accompagnava. Ma perché? Nel passato era forse cambiato qualcosa? Era sopravvenuta un'alterazione in qualche continuum del passato?

Poteva essere questa la spiegazione. I voti erano stati quasi pari. Per un pelo la costruzione di Macon Heights non era stata approvata. Forse, alcune parti del passato erano instabili. Forse quel particolare periodo di sette anni prima, era stato critico. Un punto focale che, forse, non si era mai completamente «saldato». Che pensiero strano: il passato che cambiava dopo essere avvenuto.

D'un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione. Si rizzò di scatto a sedere. Dall'altra parte della strada, a metà dell'isolato, c'era un'insegna che correva lungo il muro di un piccolo edificio. Mentre il tassì vi passava davanti, Piane aguzzò gli occhi per leggere meglio:

 

ASSICURAZIONI BRADSHAW

NOTAIO

 

Ci pensò sopra un attimo. Era il posto in cui lavorava Critchet. Era sempre esistito? Era già comparso per poi scomparire? Senza capirne il motivo, provò un senso di disagio.

«Più in fretta,» ordinò al conducente.

 

Quando il treno rallentò a Macon Heights, Paine si affrettò ad alzarsi, attraversare la carrozza, e avvicinarsi allo sportello per scendere. Le ruote si fermarono con un cigolìo e Paine balzò a terra, sulla ghiaia vicino ai binari. Poi si guardò intorno.

Nella luce pomeridiana, Macon Heights scintillava mandando barbagli di luce, con le file di case uguali che si allontanavano in tutte le direzioni. Al centro, s'innalzava il tendone di un teatro.

Perfino un teatro… Paine attraversò i binari dirigendosi verso la cittadina. Dietro la stazione c'era un parcheggio che lui attraversò seguendo un vialetto che conduceva ad una stazione di servizio. Dopo di questa iniziava il marciapiede.

Arrivò così alla strada principale, che era fiancheggiata da due file di negozi. Ferramenta. Due bar-drogherie. Un bazar. Grandi magazzini.

Paine continuò a camminare, con le mani in tasca, guardandosi intorno, studiando Macon Heights. Ecco un palazzo alto ed imponente, diviso in appartamenti. Il portiere stava lavando i gradini davanti all'ingresso. Tutto aveva un aspetto nuovo e moderno: le case, i negozi, la pavimentazione stradale, i marciapiedi, i contatori dei parcheggi. Un vigile in divisa stava consegnando un biglietto ad un automobilista. C'erano alberi che crescevano ad intervalli regolari, ben potati e curati.

Paine oltrepassò un grosso supermercato. Fuori, c'era una cesta di frutta, piena di arance e di grappoli d'uva. Paine prese un chicco, e lo portò alla bocca.

Era uva vera. Grossa uva nera, dolce e matura. Eppure, soltanto ventiquattro ore prima, lì non c'era che nuda campagna.

Paine entrò in un bar-drogheria. Sfogliò qualche rivista, poi andò a sedersi al banco ed ordinò una tazza di caffè alla piccola cameriera dalle guance rubiconde.

«Bella città,» osservò, mentre lei gli portava il caffè.

«Sì, non è vero?»

Paine esitò un istante. «Da… da quanto tempo lavora qui?»

«Da tre mesi.»

«Tre mesi?» Paine squadrò la piccola bionda prosperosa.

«Abita qui a Macon Heights?»

«Oh, certo.»

«Da quanto tempo?»

«Circa da due anni.» La ragazza si allontanò per andare a servire un giovane soldato seduto su uno sgabello in fondo al banco.

Paine continuò a sorseggiare il caffè fumando, e nel frattempo osservava le persone che passavano per strada. Gente comune. Uomini e donne. Soprattutto donne. Alcune portavano sacchi di provviste o carrelli per la spesa. Qualche auto passava senza fretta. Era un piccolo centro suburbano tranquillo e sonnolento, abitato da piccoli e medi borghesi. Una cittadina moderna, elegante. Non c'erano quartieri poveri. Solo dei bei villini. Negozi con grandi vetrine ed insegne al neon.

Un gruppo di ragazzi delle Superiori si precipitò schiamazzando nel locale, ridendo e dandosi pacche sulla schiena. Due ragazze con dei golfini dai colori vivaci, presero posto sugli sgabelli vicino a Paine, ordinando una limonata. Chiacchieravano allegre e spensierate; brani della loro conversazione giunsero anche a Paine. Lui le osservava, profondamente assorto nei suoi pensieri. Erano vere, su questo non esistevano dubbi. Labbra ed unghie dipinte di rosso, maglioni e bracciate di libri scolastici. Decine di studenti si affollavano allegri nel bar.

Paine si passò stancamente una mano sulla fronte. Gli sembrava impossibile. Forse era diventato pazzo. La città era reale, assolutamente reale. Doveva essere sempre esistita. Un'intera città non sorge all'improvviso dal nulla, da una nuvola di nebbia grigia. Cinquemila persone, case, strade, negozi.

Negozi. Assicurazioni Bradshaw.

Tutto d'un tratto capì, e si sentì raggelare. Il fenomeno si stava estendendo. Oltrepassati i limiti di Macon Heights, arrivava fino alla città. Anche la città stava mutando. Le Assicurazioni Bradshaw. Il posto dove lavorava Critchet.

Macon Heights non poteva esistere senza coinvolgere anche la città. Erano legate tra loro. Quelle cinquemila persone provenivano dalla città. Lavoravano lì. Vivevano lì parte della loro giornata. Anche la città ne era coinvolta.

Ma fino a qual punto? Quanto era cambiata la città?

Paine gettò sul banco un quarto di dollaro ed uscì dal bar, affrettandosi in direzione della stazione. Doveva tornare in città. Laura esisteva ancora? E lui poteva essere sicuro della sua stessa esistenza?

Si sentì attanagliare dalla paura. Laura, tutto quello che possedeva, i suoi progetti, le sue speranze, i suoi sogni. All'improvviso non gli importò più nulla di Macon Heights. Tutto il suo mondo era minacciato. Adesso una sola cosa contava. Doveva assicurarsi: assicurarsi che la sua stessa vita era ancora reale, che non era stata toccata dal cerchio del cambiamento iniziato con Macon Heights, che si allargava sempre più.

 

«Dove andiamo?» domandò il tassista, allorché Paine uscì di corsa dalla stazione.

Paine gli diede l'indirizzo dell'appartamento. Il tassì s'immerse rombando nel traffico. Paine si sedette nervoso. Fuori dal finestrino, passavano sfrecciando case ed uffici. Gli impiegati stavano già lasciando il lavoro e uscivano a frotte sui marciapiedi, fermandosi a gruppi negli angoli.

Quanto era cambiata la città? Paine si concentrò su una fila di case. Il grande magazzino? Era sempre stato lì, o no? Il negozietto di libri subito dopo. Non ci aveva mai fatto caso, prima.

 

NORRIS: ARREDAMENTI

 

Quello proprio non lo ricordava. Ma come poteva essere certo? Si sentiva confuso. Era davvero sicuro?

Il tassì lo lasciò davanti alla casa. Paine rimase immobile per un attimo, guardandosi intorno. In fondo alla strada il venditore di specialità italiane stava abbassando la tenda del suo negozio. Ma c'era mai stato, prima, quel negozio?

E che cosa ne era stato della grande macelleria di fronte? Adesso c'era soltanto una fila di villette, graziose e linde, seguite da altre case, più vecchie, che sembravano essere là da un bel pezzo. Ma c'era mai stato un macellaio, in quel punto? Le case sembravano solide.

Nella strada a fianco, spiccava l'insegna a strisce colorate di un barbiere. Ma c'era sempre stata, in quel punto, una bottega di barbiere?

Forse c'era sempre stata. Forse no. Era tutto così incerto. Cose nuove comparivano; altre, vecchie, sparivano. Il passato stava mutando e la sua memoria era legata al passato. Come poteva fidarsi della memoria? Come poteva esserne sicuro?

Di nuovo venne attanagliato dal terrore. Laura, il suo mondo…

Paine salì di corsa i gradini d'ingresso, e spinse il portone. Salì di corsa le scale fino al secondo piano. La porta dell'appartamento non era chiusa a chiave. L'aprì, ed entrò, con il cuore in gola, pregando dentro di sé.

Il soggiorno, silenzioso, era immerso nella penombra. Le tende erano appena rialzate. Si guardò attorno atterrito: il divano azzurrino con le riviste sui braccioli, il basso tavolino di quercia bionda, il televisore. Ma la stanza era vuota.

«Laura!», chiamò.

Laura uscì dalla cucina, con aria allarmata. «Bob, cosa fai a casa? È successo qualcosa?»

Paine si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. «Ciao, tesoro.» La baciò, stringendola forte al petto. Era calda e morbida, solida; era indubbiamente reale. «No, niente. Non è successo nulla.»

«Davvero?»

«Davvero.» Paine si sfilò la giacca con mani tremanti e la lasciò cadere sullo schienale del divano. Poi si mise a girare per la stanza, esaminando gli oggetti, e riacquistando man mano fiducia. Il suo divano azzurrino che conosceva così bene, con le familiari bruciature di sigaretta sui braccioli. Il suo vecchio e logoro sgabellino. La scrivania dove lavorava la sera, le canne da pesca appoggiate al muro, dietro la libreria.

Il grosso televisore che aveva comprato il mese passato. Anche quello era rimasto uguale.

Tutto quello che possedeva era rimasto immutato ed intatto, identico a prima.

«Il pranzo sarà pronto soltanto tra mezz'ora,» mormorò Laura slacciandosi il grembiule. «Non ti aspettavo così presto. Sono rimasta tutto il giorno a casa. Ho pulito la cucina. Un rappresentante mi ha lasciato un campione di un nuovo detersivo.»

«Bene, bene.» Paine osservò la sua stampa favorita appesa alla parete. Era un dipinto di Renoir. «Fai pure con comodo. Sono contento di rivedere tutte le mie cose. Io…»

Qualcuno si mise a piangere in camera da letto. Laura si volse di scatto. «Ho paura che abbiamo svegliato Jimmy.»

«Jimmy?»

Laura scoppiò a ridere. «Caro, non ti ricordi nemmeno di tuo figlio?»

«Ma sicuro!» mormorò Paine, un po' contrariato, e seguì Laura lentamente nella stanza da letto. «È stato un attimo… mi pareva così strano. Strano e sconosciuto,» disse, passandosi una mano sulla fronte aggrottata. «Come sfocato.»

Erano in piedi vicino alla culla, a guardare il bambino. Jimmy a sua volta, guardava mamma e papà.

«Sarà stato il Sole,» osservò Laura. «Fa così caldo fuori.»

«Sì, deve essere colpa del Sole. Adesso sto bene.» Paine si chinò a dare un buffetto al bambino. Poi cinse sua moglie con un braccio, attirandola a sé. «Deve essere proprio stato il Sole,» ripeté, guardandola negli occhi, e sorrise.


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Titolo originale: THE COMMUTER

(Amazing, settembre 1953)