«L’arte della guerra»
Dall’Ucraina alle Filippine
Il presidente Obama e la sua squadra per la
sicurezza nazio-nale, guardando al di là della crisi ucraina, sono
impegnati a «forgiare una versione aggiornata della strategia della
guerra fredda per contenere la Russia».
Lo fanno sapere funzionari
dell’amministrazione, specificando che l’obiettivo su cui si concentra
il presidente è «isolare la Russia di Putin recidendo i suoi legami
economici e politici col mondo esterno».
Il primo passo è ridurre sempre
più, fino a interromperla, la fornitura di gas russo all’Europa per
sostituirlo con quello fornito soprattutto da compagnie Usa sfruttando i
giacimenti medio-rientali, africani e altri, compresi quelli degli
Stati uniti che si preparano a esportare gas liquefatto ricavato da
scisti bituminosi.
Qui Washington scopre le carte.
Il margine di superiorità economica degli Stati uniti su scala
globale si sta sempre più riducendo. La Cina è salita al secondo posto
mondiale con un pil in forte crescita già pari alla metà di quello Usa,
seguita da Giappone e Germania, e il pil complessivo dei 28 paesi della
Ue ha superato quello degli Stati uniti.
Per conservare la supremazia economica, essi si basano sempre più sul
settore finanziario, in cui mantengono un netto vantaggio, e sulla
capacità delle loro multinazionali di conquistare nuovi mercati e fonti
di materie prime.
A tale scopo Washington getta sul piatto della bilancia la spada
della propria superiorità militare e di quella della Nato sotto comando
Usa. In tale quadro rientrano la demolizione sistematica, con strumenti
militari, di interi stati (Jugoslavia, Libia e ora Siria) e l’annessione
tramite la Nato di tutti quelli dell’ex Patto di Varsavia, più due
della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss.
Anzi quattro, perché l’Ucraina
era già di fatto sotto controllo Nato prima della crisi. Bastava
aspettare le elezioni del 2015 per avere in Ucraina un presidente che
avrebbe accelerato il suo ingresso ufficiale nell’Alleanza.
Perché allora la decisione, presa a Washington, di organizzare il
putsch che ha rovesciato il presidente eletto Yanukovich (tutt’altro che
ostile all’Occidente), insediando a Kiev gli esponenti più ostili alla
Russia e ai russi della Crimea e dell’Ucraina orientale?
Evidentemente
per spingere Mosca a reagire e dare il via alla strategia di isolamento.
Cosa non facile: la Germania, ad esempio, è il maggiore importatore di
gas russo e verrebbe danneggiata da una interruzione delle forniture.
Washington ha però deciso di non aspettare i governi europei per
imporre alla Russia sanzioni più dure. Ha già l’ok di Roma (la cui
«fedeltà» è nota) e si sta accordando con Berlino e altre capitali.
Obiettivo strategico è quello di un fronte antirusso Usa-Ue, consolidato
da un accordo di libero scambio che permetterebbe agli Usa di
accrescere la loro influenza in Europa.
Stessa strategia nella regione Asia/Pacifico, dove gli Usa puntano al
«contenimento» della Cina. Questa, riavvicinatasi alla Russia, esercita
un crescente peso su scala non solo regionale ma globale e può
vanificare le sanzioni contro Mosca aprendole ulteriori sbocchi
commerciali ad est, in particolare per le esportazioni energetiche.
A tale scopo il presidente Obama ha appena effettuato una visita
ufficiale in Asia. Il Giappone, però, ha rifiutato di firmare l’accordo
di libero scambio che avrebbe aperto il suo mercato ai prodotti agricoli
statunitensi.
In compenso, le Filippine hanno concluso con Washington
un nuovo accordo decennale che permette agli Usa di accrescere la loro
presenza militare nell’arcipelago in chiara funzione anticinese.
Dove non può il dollaro, può la spada.
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