martedì 25 marzo 2014

MORO SI SUICIDO'?

 

Nel 1974, 1976 e 1979 furono emessi biglietti di stato da 500 lire con la testa alata del dio Mercurio.

 

Le dimensioni erano 115 x 59 mm.
Si trattava anche in questo caso di un biglietto di stato stampato dal Poligrafico dello Stato.

 

È stata l'ultima emissione repubblicana in cartamoneta, per un controvalore di 450 miliardi di lire dell'epoca.
Circa 200 miliardi di €. attuali.

LO DICHIARA MARRA DIFRONTE A TESTIMONI IN DOCUMENTO INCONFUTABILE : http://www.youtube.com/watch?v=e5eRTq1W9PY

 

Le banche centrali di QUASI tutti i Paesi, spacciate come istituti pubblici, ma in realtà Società per Azioni private possedute generalmente da famiglie di banchieri senza scrupoli, hanno da sempre utilizzato qualsiasi mezzo per occultare la loro vera natura e nascondere l’inganno agli occhi della popolazione.
Negli anni sessanta Aldo Moro decise di finanziare la spesa pubblica italiana attraverso l’emissione di cartamoneta di Stato sgravata da debiti, in tagli da 500 lire, ossia con un “biglietto di Stato a corso legale”.
Con i DPR. 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat venne regolamentata la prima emissione, la serie “Aretusa” (Legge 31-05-1966), mentre il presidente Giovanni Leone regolarizzò con il DPR 14-02-1974, la serie “Mercurio” (DM. 2 aprile 1979), le famose banconote da 500 lire conosciute come “Mercurio alato”.
Già all’epoca la sovranità monetaria dell’Italia era limitata: allo Stato era concesso (chiedetevi, fra l’altro, da chi fosse “elargita” questa concessione) solamente il diritto di conio delle monete attraverso la Zecca, mentre le banconote venivano aquistate dal Fondo Monetario Internazionale. Un po’ come accade oggi, dove ai singoli Paesi europei spetta il diritto di coniare gli euro di metallo ma non le banconote, che vengono emesse dalla Banca Centrale Europea
 Dopo aver autorizzato il conio delle 500 lire di metallo, fece una deroga che permetteva, contemporaneamente, l’emissione della versione cartacea, che poteva in questo modo essere stampata ugualmente dalla Zecca di Stato.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro venne rapito e ucciso il 9 maggio dello stesso anno.
Casualmente, in seguito al tragico avvenimento, l’Italia smise di emettere biglietti di Stato.
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Moro: Pg. Roma chiederà atti a Procura

Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione, racconta all'ANSA la sua inchiesta su Via Fani

 
26-3-2014

Moro: Pg Roma chiederà atti a Procura


ROMA - Sul presunto coinvolgimento dei servizi segreti nelle fasi del sequestro di Aldo Moro, il procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, interpellato dall'ANSA, ha detto che oggi stesso richiederà gli atti di indagine alla Procura di Roma "per le opportune valutazioni".
E verrà ascoltato dai pm romani Enrico Rossi, l'ispettore di polizia in pensione che ha riferito all'ANSA l'esito di una sua inchiesta in base al quale c'erano due esponenti dei servizi a bordo della moto Honda notata in via Fani durante il sequestro.
"E' stato impropriamente fatto riferimento alla mia funzione - ha detto Ciampoli all'ANSA - per riportare opinioni personali di altri. Nel mio ruolo di Procuratore Generale di Roma, informo che oggi stesso chiederò gli atti relativi alla vicenda di cui si parla per l'esercizio di tutti i poteri attribuitimi dall'ordinamento". 
 "Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul sellino posteriore dell'Honda in via Fani quando fu rapito Moro. Diede riscontri per arrivare all'altro.
Dovevano proteggere le Br da ogni disturbo. Dipendevano dal colonnello del Sismi che era lì". Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione, racconta all'ANSA la sua inchiesta.

L'ispettore racconta che tutta l'inchiesta è nata da una lettera anonima inviata nell'ottobre 2009 a un quotidiano. Questo il testo: "Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti.
Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere.
Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente...". L'anonimo fornì anche concreti elementi per rintracciare il guidatore della Honda. "Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più".
Il quotidiano all'epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell'antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 "in modo casuale: non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani".
Sarebbe lui l'uomo che secondo uno dei testimoni più accreditati di via Fani - l'ingegner Marini - assomigliava nella fisionomia del volto ad Eduardo De Filippo. L'altro, il presunto autore della lettera, era dietro, con un sottocasco scuro sul volto, armato con una piccola mitraglietta. Sparò ad altezza d'uomo verso l'ingegner Marini che stava "entrando" con il suo motorino sulla scena dell'azione.

"Chiedo di andare avanti negli accertamenti - aggiunge Rossi - chiedo gli elenchi di Gladio, ufficiali e non, ma la "pratica" rimane ferma per diversi tempo. Alla fine opto per un semplice accertamento amministrativo: l'uomo ha due pistole regolarmente dichiarate. Vado nella casa in cui vive con la moglie ma si è separato. Non vive più lì.
Trovo una delle due pistole, una beretta, e alla fine, in cantina poggiata o vicino ad una copia cellofanata della edizione straordinaria de La Repubblica del 16 marzo con il titolo 'Moro rapito dalle Brigate Rosse', l'altra arma". E' una Drulov cecoslovacca, una pistola da specialisti a canna molto lunga che può anche essere scambiata a vista da chi non se ne intende per una piccola mitragliatrice. Rossi insiste: vuole interrogare l'uomo che ora vive in Toscana con un'altra donna ma non può farlo.
"Chiedo di far periziare le due pistole ma ciò non accade". Ci sono tensioni e alla fine l'ispettore, a 56 anni, lascia. Va in pensione, convinto che si sia persa "una grande occasione perché c'era un collegamento oggettivo che doveva essere scandagliato".
Poche settimane dopo una "voce amica" gli fa sapere che l'uomo della moto è morto e che le pistole sono state distrutte. Rossi attende molti mesi - dall'agosto 2012 - prima di parlare, poi decide di farlo, "per il semplice rispetto che si deve ai morti".

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