lunedì 10 febbraio 2014

La diplomazia del cambio di regime


La diplomazia del cambio di regime

Eric Draitser New Oriental Outlook 10/02/2014

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La registrazione recentemente diffusa dell’assistente del segretario di Stato USA, Victoria Nuland, che cospira con l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina per fabbricare un nuovo governo del Paese, rivela quanto gli Stati Uniti s’infiltrino direttamente negli affari di nazioni sovrane. Tuttavia, invece di un episodio isolato, ciò rientra nella ricca storia degli Stati Uniti della “diplomazia” come mezzo di cambio di regime.
Il 6 febbraio 2014, la conversazione telefonica registrata tra l’assistente del segretario di Stato Victoria Nuland e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina Geoffrey Pyatt,viene svelato. Durante tale telefonata, i due discutono una serie di questioni, tra cui come dovrebbe costituirsi il nuovo governo ucraino e del ruolo specifico dei capi dell’opposizione.
La registrazione svela il fatto che, nonostante la retorica su “democrazia” e “autodeterminazione”, l’intenzione di Washington in Ucraina è usare la crisi politica per imporre un governo favorevole agli interessi occidentali e apertamente ostile a Mosca. Durante la conversazione, Pyatt afferma: “Cerchiamo una lettura molto veloce su dove (Klishko) stia in questa roba… (Una telefonata a Klishko) è la prossima chiamata da fare… Sono contento che tu metta (Jatsenjuk) laddove avviene questo scenario.” Nuland risponde: “Non credo che Klish(ko) debba andare al governo… non credo sia una buona idea… Jats(enjuk) è quello giusto, ha esperienza...”
Questo breve estratto della telefonata illustra molto chiaramente che, piuttosto che limitarsi a sostenere l’opposizione, Nuland e i suoi superiori a Washington la gestiscono direttamente per imporre un governo di loro scelta. Inoltre, dimostra il fatto inevitabile che, con tutta la sua retorica sulla “democrazia”, l’amministrazione Obama, come quelle precedenti, semplicemente l’usa come scusa dell’agenda del cambio di regime volta ad averre vantaggi geopolitici.
Anche se molti osservatori e analisti politici sanno che da decenni gli Stati Uniti utilizzano tali tattiche, ancora molti in politica e nei media corporativi occidentali si rifiutano di riconoscerlo, liquidandolo come mera “speculazione”. La fuga dimostra definitivamente, attraverso prove concrete ed incontrovertibili, che gli Stati Uniti manipolano cinicamente movimenti politici e sociali a livello internazionale.
Paesi diversi, stessa strategia
In tutto il mondo, gli Stati Uniti usano la diplomazia come copertura per la destabilizzazione dei governi che ritiene ostili. Un esempio particolarmente eclatante sono i ripetuti tentativi di rovesciare il governo del Presidente Mugabe e del suo partito ZANU-PF del Zimbabwe. Washington sostiene da tempo l’agente statunitense Morgan Tsvangirai e il suo partito di opposizione noto come  Movimento per il cambiamento democratico (MDC-T), per la loro volontà di attuare ciò che viene eufemisticamente definita “liberalizzazione economica”, linguaggio in codice per collaborazione con il capitale finanziario neoliberista, così come la sua dedizione nel minare il governo cinese, alleato di Mugabe.
Nel 2010, WikiLeaks diffuse i dispacci diplomatici tra l’ex ambasciatore USA in Zimbabwe, Christopher Dell, e i suoi superiori a Washington. I cabli rivelano come gli Stati Uniti abbiano lavorato attivamente a preparare il cambiamento di regime in Zimbabwe. L’ambasciatore Dell scrisse che: “La nostra politica funziona aiutando il cambio qui. Ciò che è richiesto è semplicemente grinta, determinazione e attenzione nel vederlo. Poi, quando finalmente arriva il cambio, dobbiamo essere pronti a muoverci rapidamente per consolidare il nuovo regime… (Tsvangirai) è indispensabile per il cambio di regime, ma forse un peso una volta al potere”.
I cabli mostrano il rapporto intimo esistente tra la cosiddetta opposizione e i suoi sostenitori occidentali. Anche se non è un segreto in Zimbabwe, è una novità per molti in occidente, accuratamente indotti a credere che l’MDC-T e Tsvangirai rappresentino un cambiamento sostanziale e un passo verso una maggiore democrazia. Purtroppo, lo Zimbabwe non è il solo ad essere preso di mira dagli Stati Uniti con un cambio di regime sotto il pretesto della “democratizzazione”.
Il Venezuela è il bersaglio principale del cambio di regime degli Stati Uniti, una volta eletto presidente Hugo Chavez. Giustamente visto come minaccia all’egemonia politica ed economica degli Stati Uniti in Venezuela e tutta l’America Latina, Chavez e il suo governo socialista bolivariano furono oggetto di una serie di strategie volte a destabilizzarlo e rovesciarlo. A parte il colpo di Stato del 2002 che, temporaneamente (per qualche ora) depose Chavez e mise al suo posto un governo di destra filo-USA, Washington fece una serie di tentativi di cambio di regime con la vasta rete di ONG e altre organizzazioni finanziate dall’estero.
In un dispaccio diplomatico pubblicato da Wikileaks, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Venezuela, William Brownfield,  dettaglia la miriade di modi con cui gli Stati Uniti tentavano di infiltrarsi nella base politica di Chavez per crearvi divisioni che potessero essere sfruttate per distruggere il movimento bolivariano.  Brownfield spiegò in dettaglio come gli Stati Uniti utilizzano l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), l’Ufficio Iniziative di Transizione (OTI) e altre organizzazioni per distribuire fondi e fornire assistenza tecnica a una varietà di organizzazioni non governative che lavoravano attivamente contro il legittimo governo di Chavez. A testimonianza di tale impegno costante, basta guardare l’articolo scritto per il Council on Foreign Relations dall’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Venezuela Patrick Duddy, in cui presenta una serie di scenari per la destabilizzazione del governo di Chavez dopo le elezioni del 2012.
Uno degli scenari più sinistri vede l’uso delle violenze nei giorni successivi alle elezioni per delegittimarne i risultati. Ciò fu esattamente quel che avvenne, anche se Chavez e il suo partito poterono mantenere il controllo. Inoltre, si tratta di un segreto di pulcinella che l’opposizione della Democratic Unity Roundtable (MUD) sia solo un burattino della Camera di Commercio e di altri interessi degli Stati Uniti, e che il loro candidato Henrique Capriles sia solo un surrogato di Washington.
Il Venezuela non è certo l’unica nazione latino-americana guidata da un presidente di sinistra carismatico e popolare preso di mira dagli Stati Uniti per un cambio di regime. Bolivia ed Ecuador sono entrambi sulla lista dei nemici di Washington. In realtà, il presidente boliviano Evo Morales compì il passo straordinario di espellere l’USAID, affermando che non vi sono “null’altro che istituzioni statunitensi che cospirano contro il nostro popolo e soprattutto contro il governo nazionale, motivo per cui cogliamo l’occasione per annunciare… che abbiamo deciso di espellere l’USAID“. Morales sottolineò che i programmi dell’USAID hanno “fini politici piuttosto che sociali“. Nonostante le vigorose smentite dei funzionari dell’USAID e della dirigenza politica degli Stati Uniti, vi sono ampie prove a sostegno delle affermazioni del presidente boliviano.
Come in Africa e America Latina, gli Stati Uniti cercarono di manipolare l’opposizione politica per il cambio di regime in Russia. Durante le proteste contro il presidente russo Vladimir Putin, nel 2011-2012, accuse emersero sull’ambasciatore statunitense Michael McFaul secondo cui guidava dall’ombra i capi del movimento d’opposizione. Anche se il dipartimento di Stato e McFaul negarono, la prova fu resa pubblica verificando le accuse. In un video virale caricato su youtube, si vede Boris Nemtsov (co-presidente del partito di opposizione RPR-PARNAS) ed altri esponenti dell’opposizione davanti l’ambasciata USA a Mosca dopo un incontro con l’ambasciatore.
Il rapporto tra l’opposizione russa e gli Stati Uniti si vede in tali associazioni personali, ma anche nell’assistenza finanziaria fornita da organi statunitensi come il National Endowment for Democracy (NED). Ciò era ovviamente parte del programma degli Stati Uniti per destabilizzare il governo di Putin e sostituirlo con un governo fantoccio degli Stati Uniti.
Queste rivelazioni dipingono un quadro assai brutto della politica estera degli Stati Uniti, basata sulla cinica manipolazione di istituzioni apparentemente democratiche. Utilizzando una varietà di tattiche politiche e diplomatiche, Washington proietta il suo potere in nazioni che ritiene essere “contrarie”. In tal modo, gli Stati Uniti rivelano ipocrisia pretendendo di “promuovere la democrazia” mentre operano attivamente nel mondo per minare governi democraticamente eletti.
Eric Draitser è un analista geopolitico indipendente di New York City. È il fondatore di StopImperialism.org e opinionista di RT , in esclusiva per la rivista online “New Oriental Outlook.”

Traduzione di Alessandro Lattanzio   –   SitoAurora

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